Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-09-2011, n. 18928 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La S.r.l. Toreador ha impugnato l’avviso di rettifica relativo all’IVA per l’anno 1995, emesso, a seguito di verifica della Guardia di Finanza, per omessa registrazione di corrispettivi, pari a L. 544.916.510. Il ricorso della contribuente è stato accolto dalla CTP di Varese, con decisione confermata dalla CTR della Lombardia, che, con sentenza n. 44.47.05, depositata il 4.10.2005, resa nei confronti della curatela del fallimento della Società contribuente, nelle more dichiarato, ha ritenuto che, in assenza di un coefficiente di correzione rappresentativo del dato reale, il metodo utilizzato dall’Ufficio, basato sull’applicazione della percentuale di ricarico medio, era inidoneo a sorreggere la rettifica.

L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza, in base a un unico, articolato, motivo. La contribuente non ha presentato difese.
Motivi della decisione

Col proposto ricorso, l’Agenzia, deducendo violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 56 e dell’art. 2697 c.c., nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, afferma che l’impugnata sentenza non ha tenuto conto che la ricostruzione induttiva dei ricavi è legittima, in presenza di uno scostamento abnorme tra la percentuale di ricarico media di settore e quella applicata. Nella specie, l’incremento del 18,31%, dichiarato dalla contribuente, costituiva un dato inaccettabile, tenuto conto, da una parte, del ricarico medio nel settore, oscillante tra il 70 ed il 120%, e, dall’altra, dell’ampiezza dei locali, del canone di locazione corrisposto, del numero dei dipendenti, delle autovetture e delle attrezzature dell’ufficio, del negozio e del laboratorio, elementi che la sentenza non aveva valutato, e che avevano condotto alla determinazione della percentuale di ricarico del 34,66%, pure in considerazione del periodo in cui la Società aveva venduto in regime di saldi.

Il motivo è infondato. L’impugnata sentenza ha affermato, trascrivendo un passo motivazionale della decisione di prime cure, espressamente condiviso, che la rettifica "è esclusivamente basata sull’esame della percentuale di ricarico, sulle medie del settore e sui prodotti individuati fra quelli maggiormente commercializzati e più rappresentativi". A fronte di tale affermazione, la ricorrente non precisa, affatto, dove e con quali considerazioni aveva dedotto, in prime cure ed in appello, che la determinazione della percentuale di ricavi aveva, invece, tenuto conto dell’incidenza degli altri elementi (dimensioni dei locali, numero di dipendenti, dotazioni dell’impresa), in tesi, ignorati dalla CTR, e ciò, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso che impone in esso vengano indicati, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perchè il giudice di legittimità possa avere la completa cognizione dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo.

L’asserita abnormità del divario esistente tra la percentuale di ricarico operata dalla contribuente rispetto a quella di settore è stata, poi, esclusa dalla CTR, laddove ha rilevato come lo "scarto teorico che non sarebbe stato contabilizzato (L. 544.916.000) rispetto al volume d’affari dichiarato per il 1995 dalla società (L. 4.018.303.000) rappresenta il 13,56 per cento e può essere collocato nell’ambito di plausibile variabilità/aleatorietà commerciale di settore". Questa Corte (Cass. n. 26341 del 2009) ha condivisibilmente affermato, in tema di accertamento dell’IVA, che il ricorso al metodo induttivo, pur ammissibile, in presenza di contabilità formalmente regolare (ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54) – quando l’attendibilità della stessa risulti inficiata da presunzioni contrarie, anche semplici, purchè gravi, precise e concordanti, nonchè (del D.L. n. 331 del 1993, ex art. 62-sexies convertito nella L. n. 427 del 1993) in presenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del D.L. n. 331 cit., art. 62-bis – è illegittimo quando l’accertamento si fondi sull’unica presunzione dello sbilancio tra costi e ricavi, senza fare riferimento alcuno a studi di settore od indagini statistiche mirate, nè evidenziare che lo stato economico della ditta presenta caratteristiche di stranezza, singolarità e contrasto con elementari regole economiche di esperienza, tali da renderlo immediatamente percepibile come inattendibile secondo il senso comune.

L’impugnata sentenza, che si è attenuta ai suddetti principi, è, pure, immune dalle censure anche motivazionali che le sono rivolte, tenuto conto che la motivazione è coerente sotto il profilo logico- formale, e che la denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce, affatto, al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda.

Non vi è da statuire sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimata.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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