Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-04-2011) 18-05-2011, n. 19610 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con ordinanza in data 15 luglio 2010 il Tribunale di Benevento rigettava la richiesta di riesame, proposta nell’interesse di F.G., avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Benevento il 16.6.2010 ed avente ad oggetto un capannone industriale e le relative attrezzature di lavorazione del marmo sintetico di proprietà del F., indagato per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di sindacato cautelare, riteneva il Tribunale, sulla base delle risultanze investigative, sussistente il fumus dei reati ipotizzati, risultando chiaramente che il F. svolgeva l’attività di lavorazione marmo senza essere in possesso di alcuna autorizzazione e senza alcun titolo autorizzativo ed aveva depositato rifiuti costituiti dagli scarti dell’attività svolta. Ricorreva poi il periculum in mora potendo essere aggravate le conseguenze dei reati accertati.

Quanto all’eccezione relativa all’esistenza di giudicato cautelare, il Tribunale ne rilevava l’assoluta infondatezza, essendo stato il precedente decreto di sequestro preventivo annullato per difetto di motivazione.

2) Ricorre per cassazione F.G., a mezzo del difensore, per violazione di legge ed assoluta mancanza di motivazione in ordine ai rilievi sollevati dalla difesa.

Il decreto di sequestro preventivo è stato emesso dopo che il Tribunale del riesame aveva annullato quello precedente e senza che fosse intervenuto alcun elemento nuovo. Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità, assume che il Tribunale ha completamente ignorato le deduzioni difensive in ordine alla regolarità dell’attività del F., dei macchinari utilizzati e della mancanza di prove in ordine ai reati contestati.

3) Il ricorso è infondato.

3.1) Quanto all’eccezione di esistenza di giudicato cautelare, non c’è dubbio che in tema di applicazione di misure cautelari reali il principio del ne bis in idem e ostativo alla reiterazione della misura medesima quando il giudice sia chiamato a riesaminare nel merito gli stessi elementi già ritenuti insufficienti o insussistenti; non sussiste, invece, alcuna preclusione alla reiterazione del provvedimento di sequestro quando il precedente sia stato dichiarato inefficace solo per vizio meramente formale (cfr.

Cass. pen. sez. 3 n. 37706 del 22.9.2006).

Come ha evidenziato il Tribunale e come risulta chiaramente dall’ordinanza del Tribunale del riesame del 9 giugno 2010, il decreto del GIP del 20.5.2010 fu annullato perchè non conteneva "… neppure in forma sintetica la descrizione degli elementi della fattispecie concreta limitandosi ad una mera elencazione delle norme violate senza alcun richiamo, neppure per relationem, alla motivazione posta a fondamento della richiesta di sequestro preventivo di tal che dal contenuto del decreto suddetto non è possibile valutare nè la sussistenza in astratto della fattispecie di reato contestate nè delle specifiche ragioni che legittimano il mantenimento del vincolo sui beni in sequestro". Lo stesso Tribunale, nel disporre la restituzione di quanto in sequestro all’indagato, evidenziava che erano fatti salvi "… eventuali ulteriori provvedimenti che il P.M. ritenesse di dover adottare".

Ineccepibilmente, pertanto, il Tribunale ha ritenuto che la suddetta motivazione non impedisse l’emissione dell’ulteriore decreto di sequestro "non essendo intervenuta nel caso di specie alcuna delibazione da parte di questo Tribunale sulla sussistenza dei presupposti legittimanti la misura precedentemente adottata". 3.2) In ordine alla sussistenza del fumus e del periculum in mora, va premesso che, a norma dell’art. 325 c.p.p., il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge.

Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 2/2004, Terrazzi), nel concetto di violazione di legge può comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art. 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall’art. 606 c.p.p., lett. E), nè tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento.

Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008 – Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

La motivazione del Tribunale non può dirsi certamente apodittica o apparente.

I giudici del riesame, quanto al fumus dei reati ipotizzati, hanno infatti rilevato che dalla c.n.r. del 20 maggio 2010 e dai verbali di sequestro del Corpo forestale dello Stato emergeva che l’attività di lavorazione del marmo si svolgeva senza alcuna autorizzazione, che il capannone era stato realizzato senza alcun titolo e che su un’area di mq. 50,00 sita in prossimità dell’entrata principale del capannone erano illecitamente stoccati direttamente sul terreno gli scarti della lavorazione del marmo e che su altra area erano stoccati rifiuti speciali costituiti da ferro e barattoli. Il ricorrente, in modo meramente assertivo, si limita ad affermare "la regolarità dell’attività svolta".

Non può, poi,essere revocato in dubbio che la libera disponibilità del bene potesse, come sottolineato dal Tribunale, determinare "la reiterazione delle plurime condotte delittuose accertate da parte del proprietario ed aggravare le conseguenze dei reati accertati".
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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