Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-04-2011) 18-05-2011, n. 19585 Costruzioni abusive Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il Tribunale di Roma, sez. dist. di Ostia, con sentenza del 15.4.2009, condannava A.S. e A.G., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 1 di arresto ed Euro 7.000,00 di ammenda per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 ascritto al capo a), limitatamente, quanto alla prima, alla realizzazione di interventi di ristrutturazione di un manufatto di mq. 93 oggetto di concessione in sanatoria del 20.11.2002 ed alla realizzazione in aderenza di altro manufatto di mq.30 e, quanto al secondo, alla realizzazione di interventi di ristrutturazione e modificazione della destinazione d’uso di un manufatto di mq.80 oggetto della concessione in sanatoria del 15.1.2003.

La Corte di appello di Roma, con sentenza del 7.7.2010, in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati appellanti in ordine ai reati loro ascritti per intervenuta prescrizione, revocando l’ordine di demolizione.

2) Ricorrono per cassazione A.S. e A.G..

Dopo una premessa in fatto denunciano, con il primo motivo, la violazione di legge, nonchè la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della illiceità della condotta ed alla non condonabilità delle opere. I giudici di appello si limitano a rinviare alla sentenza di primo grado senza argomentare in ordine ai rilievi contenuti nell’atto di appello.

Inoltre la sospensione del 26.1.2005 era assolutamente illegittima (essendo stata disposta erroneamente prima di aver sentito i testi) per cui la prescrizione era maturata già alla data di 5.6.2008 e quindi prima della sentenza del Tribunale.

Con il secondo motivo denunciano la violazione di legge ed il difetto di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione parziale del dibattimento.

3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) Va ricordato che, "in presenza di una (già avvenuta) causa di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato è precluso alla Corte di cassazione un riesame del fatto finalizzato ad una eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Il sindacato di legittimità circa la prospettata mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2 deve essere invece circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad un pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule ivi prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, come sopra si è apprezzato, deve prevalere l’esigenza della definizione di processo (cfr. cass. sez. 5, 22.6.2005, Borda; Cass. Sez. 4 n.16466 del 6.3.2008), Ne deriva come corollario che, in presenza di una causa estintiva del reato, l’accertamento della evidenza della insussistenza del fatto o della mancata commissione dello stesso da parte dell’imputato o infine che il fatto non è previsto dalla legge come reato, deve avvenire, come precisato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, sulla base degli atti "dai quali la Corte di Cassazione sia in grado di desumere le suddette evidenze" e cioè unicamente "dalle sentenza impugnata e – se trattasi di sentenza di appello – dalla sentenza di primo grado" (cfr.Cass.pen.sez.6 n.6593 del 2008). Ne discende ulteriormente, da un lato, che non è consentito disporre la parziale rinnovazione del dibattimento (palesemente incompatibile con l’obbligo della immediata declaratoria della causa estintiva del reato) e, dall’altro, che non è possibile disporre l’annullamento della sentenza per vizi di motivazione relativi al mancato proscioglimento nel merito. Invero "all’applicazione di causa estintiva del reato è sottinteso il giudizio relativo all’inesistenza di prova evidente circa la non ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito. In tal caso, pertanto, la decisione è insindacabile in sede, di legittimità sotto il profilo dei vizio di motivazione, posto che un eventuale annullamento con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio, resa impossibile dall’obbligo di declaratoria della causa estintiva (cfr. Cass.sez.5 n.l3110del 2008; Cass.sez. 4, 4.12.2002, Rocca; Cass.sez. 1, 22.10.1994, Boiani; Cass.sez. 5, n. n.1653 del 21.10.1992-Marino ed altri).

Il giudizio di appello o di cassazione, in presenza di una causa estintiva del reato, è quindi un "giudizio pieno" ma, esclusa la possibilità di una rinnovazione del dibattimento, l’accertamento delle condizioni per un proscioglimento nel merito va fatto sulla base degli atti.

Tali principi sono stati ribaditi dalle sezioni unite, con la sentenza n. 35490 del 28.5.2009, con la quale è stato riaffermato che "In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la vantazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento". Le sezioni unite hanno ribadito, altresì, che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità, nè vizi di motivazione, nè nullità di ordine generale (cfr. sent.n.35490/2009 cit.).

3.1.1) La Corte territoriale, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ha ritenuto, rinviando sul punto legittimamente alla diffusa motivazione della sentenza di primo grado (non contrastata dai rilievi difensivi) che difettasse la prova dell’innocenza degli imputati. Del resto, che dagli atti non emergesse tale prova è implicitamente riconosciuto dagli stessi ricorrenti, i quali continuano ad insistere nella richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento.

Anche in riferimento alla non condonabilità delle opere (per non essere state ultimate entro il 31 marzo 2003) le argomentazioni del primo giudice erano totalmente condivisibili. Peraltro, la Corte territoriale ha fatto riferimento alla non condonabilità al solo fine di ritenere illegittima la sospensione (ai fini della decorrenza della prescrizione).

Infine, correttamente, stante la intervenuta causa di estinzione del reato, la Corte di merito ha, implicitamente, disatteso la richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento.

3.2) Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ciascuno, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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