Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-04-2011) 18-05-2011, n. 19648 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o e Nardo Giuseppe.
Svolgimento del processo

1. Il Tribunale del riesame di Milano, con ordinanza del 15 ottobre 2010, ha confermato l’ordinanza del 22 settembre 2010 del GIP del medesimo Tribunale con la quale veniva disposta la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di L.F., indagato per il delitto di usura aggravata della forza d’intimidazione promanante da sodalizio mafioso.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, lamentando l’insussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato così come ascritto, l’insussistenza dell’aggravante della forza d’intimidazione mafiosa nonchè l’insussistenza delle esigenze cautelari.
Motivi della decisione

1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento, essendo, peraltro, ai limiti dell’inammissibilità vertendo, innanzitutto, su circostanze già sottoposte all’esame del Giudice del merito.

A ciò si aggiunga come le contestazioni all’impugnata ordinanza si risolvano soprattutto in riletture dei fatti di causa che non hanno diritto di cittadinanza in un giudizio di legittimità. 2. In ogni caso, l’asserzione defensionale del ricorrente in merito all’insussistenza degli elementi di fatto da cui desumere la sua partecipazione al contestato delitto di usura non è condivisibile avendo il Tribunale evidenziato che la partecipazione del L. all’episodio in danno di T.G. non sia stata meramente occasionale nè frutto della semplice presenza alle richieste usurarie poste in essere dal clan Valle; per inciso, il L. è marito di V.M., anch’essa partecipe all’associazione a delinquere.

Dalla pagina 3 alla pagina 4 dell’impugnata ordinanza il Giudice del riesame ha, con dovizia di particolari, evidenziato il ruolo dell’odierno ricorrente nell’associazione mafiosa calabrese facente capo alla famiglia Valle e dal complesso delle emergenze istruttorie (in particolare dalle incontestate intercettazioni telefoniche riportate alle pagine 2 e 3 dell’ordinanza) si evince come, contrariamente a quanto affermato, l’attività delittuosa del ricorrente si sia sostanziata non in una episodica interessenza di affari ma nell’essere in pratica una longa manus dello stesso clan. 3. L’esistenza della contestata aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 è stata ritenuta, con logica motivazione del Giudice di merito, sulla base di precedenti provvedimenti giurisdizionali che lo stesso ricorrente evidenzia (v. sub motivo b) del ricorso) anche se ne diminuisce la portata, parlando di una mera "analisi storico- sociale" del fenomeno mafioso che, viceversa, risulta corroborata dal riferimento al contenuto delle esperite indagini istruttorie.

4. Quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari il rigetto dei precedenti motivi implica che non viene scalfita la presunzione legale di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 quanto al tipo di misura cautelare applicabile.

Inoltre, anche in questo caso correttamente in diritto e con motivazione pienamente logica, il Giudice a quo ha evidenziato l’esigenze che sottendono alla fondatezza dell’impugnato provvedimento in relazione all’ari delle misure cautelari stesse.

Quanto alla richiesta di estensione al ricorrente del divieto della custodia in carcere, previsto dall’art. 275 c.p.p., comma 4, a cagione della custodia in carcere anche della propria moglie pur in presenza di prole minore di anni tre va osservato che la disposizione, costituendo un’ipotesi di norma eccezionale, in quanto deroga all’ordinario potere del Giudice di scegliere, nello spettro delle misure cautelari, la più adeguata a salvaguardare le esigenze della collettività, non può essere applicata analogicamente (v.

Cass. Sez. 4, 16 luglio 2009 n. 42516).

5. Il ricorso va, in definitiva, rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Deve farsi, inoltre, luogo alle comunicazioni di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni ex art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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