T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 18-05-2011, n. 4316

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente è cittadino russo al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato politico con provvedimento del 31/1/01.

E’ giunto in Italia insieme alla sua famiglia (moglie e tre figli), ed essendosi integrato nella società italiana, con istanza presentata nel 2006 ha chiesto – così come tutti i membri della sua famiglia – la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. e) della L. 91/92.

Il ricorrente ha sempre lavorato in Italia, ed in particolare, nel periodo intercorrente tra il 2002 ed il 28 febbraio 2009, ha prestato la propria attività lavorativa alle dipendenze della società Rotoplast S.r.l. con sede in Borgo a Mozzano (LU).

Nel mese di gennaio 2009 la società Rotoplast S.r.l. ha avviato la procedura di mobilità per riduzione del personale, conclusasi con la risoluzione del rapporto, comunicata il 20 febbraio 2009.

In seguito alla risoluzione del rapporto di lavoro il ricorrente ha ottenuto benefici economici dall’azienda (la retribuzione per il mese di febbraio 2009, il T.F.R. pari ad Euro 1.329,97, la somma lorda di Euro 5.500 quale incentivo all’esodo con un piano di pagamento rateale).

Fino al luglio 2009 il ricorrente ha quindi percepito il complessivo pagamento di Euro 6.924,99; inoltre dal mese di marzo 2009 al mese di ottobre 2009, ha beneficiato dell’indennità di mobilità concessa per tre anni percependo la somma mensile di Euro 781,07 pari all’80% della retribuzione; ha ricevuto anche la somma di Euro 2.993,29 per aver riscattato il Fondo Gomma Plastica.

Inoltre, alla data del 7 ottobre 2009, il ricorrente ha stipulato un nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze del Sig. M.A., con retribuzione mensile di Euro 850,00 oltre ai ratei della tredicesima mensilità, ferie e T.F.R. per complessivi Euro 1.059,87 mensili.

In seguito all’invio del preavviso di diniego per mancanza di reddito, il ricorrente ha trasmesso all’Amministrazione tutta la documentazione necessaria a dimostrare il possesso dei requisiti reddituali, precisando di poter contare anche sull’ausilio dei suoi familiari; inoltre, in data 8 ottobre 2009 – il giorno successivo alla stipulazione del nuovo contratto di lavoro – ha provveduto ad inviare copia del nuovo contratto di lavoro al Ministero dell’Interno in modo da dimostrare l’esistenza dei requisiti reddituali per la concessione della cittadinanza italiana, peraltro già concessa ad altri suoi familiari.

Con il provvedimento impugnato, il Ministero dell’Interno – preso atto dello stato di disoccupazione del ricorrente – ha respinto la sua domanda al fine di evitare che con l’attribuzione della cittadinanza egli potesse usufruire delle provvidenze previste per i cittadini in stato di indigenza che graverebbero ulteriormente sul bilancio dello Stato.

Ha quindi ritenuto che non ricorresse l’interesse pubblico alla concessione della cittadinanza italiana.

Avverso detto provvedimento il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di impugnazione:

1. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, comma 2, della L. 5/2/92 n. 91.

Sostiene il ricorrente che il decorso del termine di due anni dalla data di presentazione della domanda di concessione della cittadinanza precluderebbe all’Amministrazione di respingerla.

2. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e dell’art. 10 bis della L. 241/90 in relazione all’art. 9 comma 1, lett. e) e 16 commi 2 e 9 bis della L. 5/2/92 n. 91.

Deduce il ricorrente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato in quanto il Ministero si sarebbe limitato ad indicare il suo stato di disoccupazione senza tener conto della documentazione prodotta attestante l’esistenza di una situazione reddituale nei limiti legali tale da garantire l’indipendenza economica.

3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 comma 1 lett. e) e dell’art. 16 comma 2 della L. 91/92 per omessa e/o errata valutazione dei presupposti per la concessione della cittadinanza italiana.

L’Amministrazione non avrebbe valutato tutti i mezzi economici di cui disponeva il ricorrente dopo il licenziamento, né avrebbe considerato l’apporto economico offerto dalla famiglia.

Il provvedimento dell’Amministrazione sarebbe illogico perché la richiesta di concessione della cittadinanza sarebbe stata respinta soltanto perché per pochi mesi – dal marzo al settembre 2009 – egli avrebbe perso il lavoro senza tener conto degli ausili economici percepiti in quel periodo.

Insiste quindi per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione intimata si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

All’udienza pubblica del 10 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Come meglio dedotto in narrativa, il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Ministero dell’Interno ha respinto la sua richiesta di concessione della cittadinanza italiana in considerazione della insufficienza di reddito, tenuto conto del suo stato di disoccupazione.

Con il primo motivo di gravame lamenta il ricorrente la violazione dell’art. 8 comma 2 della L. 91/92, sostenendo che – una volta trascorsi due anni dalla proposizione della domanda di concessione della cittadinanza – l’Amministrazione non avrebbe potuto più adottare un provvedimento di diniego.

La censura è infondata, in quanto la disposizione si riferisce ai soli casi di concessione della cittadinanza italiana ai soggetti che risultano legati da un rapporto di coniugio con cittadini italiani: questi casi sono stati ritenuti dal Legislatore meritevoli di un trattamento giuridico di particolare favore – che si concretizza in una notevole riduzione del margine di discrezionalità rimesso all’Amministrazione – in ragione dell’esigenza di tutelare l’istituto della famiglia, di rilevanza costituzionale (cfr., tra le altre, T.A.R. Lazio Sez. I ter 473/2010 n. 3320; C.d.S., Sez. VI, 16 marzo 2009, n. 1533).

Con gli ulteriori motivi di impugnazione lamenta il ricorrente il difetto di motivazione e l’illogicità del provvedimento.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, il provvedimento di concessione della cittadinanza è atto altamente discrezionale in quanto l’Amministrazione, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale (Cons. Stato, sez. I, 17 giugno 1998, n. 3145/98 e 28 luglio 1998, n. 2254/96).

L’insufficienza dei mezzi economici può infatti ostare alla realizzazione di tali finalità, e quindi, l’Amministrazione può negare la concessione della cittadinanza italiana sulla base di considerazioni di carattere economico patrimoniale, relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474).

Occorre poi considerare, come già in precedenza anticipato, che l’art. 9 della citata legge n. 91/92 si limita ad indicare i presupposti per l’ammissibilità della domanda di cittadinanza; ma tali requisiti sono necessari, ma non sufficienti per conseguire il beneficio, né costituiscono una presunzione di idoneità al conseguimento dell’invocato status.

Le determinazioni in materia sono infatti assistite da latissima discrezionalità: l’atto concessorio (o denegatorio) in questione costituisce atto c.d. di "alta amministrazione".

Detto genere di atti, infatti, ha una valenza, di alta amministrazione ed implica, in quanto tale, un elevato tasso di discrezionalità, sia nell’accertamento, sia soprattutto nella valutazione dei fatti acquisiti al procedimento. Di conseguenza, il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Cons. Stato, Sez. VI, 26/7/2010 n. 4862).

Il parametro sindacatorio è quindi quello della abnormità/irragionevolezza, e si estende, ovviamente, all’elemento "sfavorevole" al richiedente valorizzato dall’Amministrazione e sotteso al diniego.

Nel caso di specie tale elemento è rappresentato dal reddito prodotto dal ricorrente ritenuto dall’Amministrazione insufficiente a garantirne l’agevole sostentamento in Italia, tenuto del suo stato di disoccupazione.

A questo proposito il ricorrente ha dedotto il vizio di carenza di motivazione e di illogicità del provvedimento in quanto l’Amministrazione:

– non avrebbe tenuto conto dell’esistenza di redditi diversi da quelli da lavoro subordinato (documentati in sede procedimentale) di entità superiore al limite minimo previsto in materia;

– non avrebbe considerato neppure la sua condizione familiare, in violazione della propria circolare prot. n. K.60.1 del 5 gennaio 2007;

– ed infine non avrebbe considerato l’intervenuta stipulazione di un nuovo contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato prima dell’adozione del provvedimento di diniego della concessione della cittadinanza, fatto sopravvenuto puntualmente comunicato al Ministero.

La censura è fondata.

Il diniego della cittadinanza italiana – motivato sull’insufficienza reddituale – deve tenere conto, al fine di valutare la sua capacità di far fronte ai doveri di solidarietà economica e sociale e ove l’interessato sia inserito in un nucleo familiare, di tutta la situazione complessiva dei redditi di cui il soggetto possa fruire.

Non è necessaria la percezione di un reddito di carattere retributivo o stabile, ma è sufficiente provare il possesso di mezzi di sussistenza idonei (T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 02 luglio 2009, n. 6397; T.A.R. Veneto, Sez. III, 28/4/08 n. 1138).

Inoltre, il diniego di cittadinanza italiana nei confronti di chi sia titolare di redditi annui inferiori a quelli previsti dall’art. 3 D.L. n. 382/89, convertito con modificazioni dalla L. n. 8/90, deve tener conto – al fine di valutare la sua capacità di far fronte ai doveri di solidarietà economica e sociale e ove l’interessato sia inserito di un nucleo familiare -, anche dei redditi di cui il soggetto possa fruire in quanto appartenente a detto nucleo (T.A.R. Lazio Sez. I 4/4/06 n. 2377).

Nel caso di specie, il ricorrente – benché posto in mobilità per riduzione del personale da parte della ditta presso cui lavorava – ha documentato la percezione di redditi anche nel breve periodo di disoccupazione (indennità di mobilità, T.F.R., riscatto Fondo Gomma Plastica, incentivo all’esodo da parte della società presso cui lavorava); ha poi documentato di essere inserito in un nucleo familiare dove gli altri componenti della famiglia erano percettori di reddito e dunque potevano contribuire al suo sostentamento; infine ha comunicato con raccomandata dell’8 ottobre 2009 di aver stipulato un nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato, elemento – questo – che da solo fa venir meno il presupposto sulla base del quale è stato adottato il provvedimento impugnato, non potendo più considerarsi il ricorrente disoccupato.

Ne consegue la fondatezza del ricorso con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese processuali sostenute dal ricorrente che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille/00) oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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