T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 18-05-2011, n. 741

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 2.10.1997 e depositato il 23.10.1997, la G.A. s.n.c. e i sig.ri L.B., G.G. e Z.B., proprietari di un’area compresa nel territorio del Comune di Cazzago San Martino (mappali 37, 38, 39 e 61 del fg. 18 per una superficie di circa 30.000 mq) e destinati a "zona per attrezzature urbane", impugnano gli atti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per:

1. violazione degli artt. 32 e 35 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e dell’art. 1 della legge n. 1/78. La deliberazione del consiglio comunale n. 88 del 29.11.1995 di approvazione del progetto preliminare del centro sportivo comunale di Cazzago San Martino non fa alcun riferimento alla necessità di adottare una variante all’allora vigente piano regolatore generale a causa della intervenuta decadenza dei vincoli, né, genericamente alla legge n. 1/78. Alla stessa non potrebbe, quindi, essere attribuito valore di variante urbanistica, con la conseguenza che la successiva approvazione del progetto definitivo da parte della Giunta introdurrebbe una variante urbanistica la cui adozione avrebbe dovuto essere riservata al Consiglio e per ciò stesso sarebbe illegittima. Ciò anche nonostante la ratio acceleratoria della legge n. 1/78;

2. violazione dell’art. 1 della legge 1/78 e degli artt. 50 e 51 della L.R. n. 70/83. La deliberazione della Giunta comunale n. 293 dell’1 luglio 1997 sarebbe illegittima in quanto con essa è stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera nonostante la variante urbanistica fosse stata, ai sensi della legge n. 1/78, soltanto adottata e non ancora approvata. La dichiarazione di pubblica utilità adottata in assenza di un valido ed efficace vincolo preordinato all’esproprio e, quindi, in assenza della conformità urbanistica, sarebbe di per sé illegittima. Ciò sarebbe espressamente previsto anche dalla legge regionale n. 70 del 1983, il cui articolo 51, comma 1 subordina la scelta delle aree da espropriare al rispetto degli strumenti urbanistici vigenti o di quelli adottati e trasmessi alla Regione per l’approvazione;

3. violazione dell’art. 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, per indeterminatezza dei termini della dichiarazione di pubblica utilità fissati nella deliberazione di approvazione del progetto esecutivo;

4. violazione delle leggi di spesa che imporrebbero l’indicazione dei mezzi finanziari necessari alla realizzazione dell’opera. L’importo di spesa considerato sarebbe assolutamente insufficiente a consentire l’esecuzione dell’opera, con la conseguenza che il provvedimento di approvazione del progetto dovrebbe ritenersi illegittimo;

5. violazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90, in quanto il Comune avrebbe dovuto dare comunicazione personale dell’avvio del procedimento, particolarmente lesivo per i ricorrenti che, quindi, avevano diritto di partecipare al procedimento.

Si è costituito in giudizio il Comune, eccependo puntualmente l’infondatezza delle censure dedotte, così come ribadito nella memoria depositata in vista della pubblica udienza.

Anche parte ricorrente, peraltro, ha ribadito le proprie posizioni, insistendo, in particolare sull’assoluta inadeguatezza della spesa prevista per le espropriazioni e sulla sussistenza dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento anche con riferimento all’approvazione del progetto preliminare.

In vista della pubblica udienza parte ricorrente ha depositato una dichiarazione di rinuncia agli atti del ricorso, non notificata alla controparte e quindi priva dei requisiti specifici di cui all’art. 84 della legge n. 104/2010.

Alla pubblica udienza la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Il Collegio non può che dare atto della dichiarata rinuncia agli atti del giudizio.

Peraltro appare rilevante, ai fini della ripartizione delle spese del giudizio, il fatto che, con proprio precedente rappresentato dalla sentenza n. 113 del 2002, questo Tribunale si è pronunciato sulla legittimità della stessa deliberazione del consiglio comunale n. 88 del 29.11.1995 di approvazione del progetto preliminare del centro sportivo comunale di Cazzago San Martino; ciò con specifico riferimento al medesimo vizio di incompetenza dedotto nel ricorso R.G. 105/98, proposto da altri proprietari interessati dalla medesima procedura espropriativa.

In tale occasione si è avuto modo di precisare che la delibera di approvazione del progetto adottata dalla Giunta (sia essa riferita al progetto definitivo e/o esecutivo) deve "considerarsi come esecutiva di quella adottata dal consiglio comunale ed inerente l’adozione del progetto preliminare dell’opera. Inoltre, il ricorso alla particolare procedura acceleratoria prevista dalla citata norma giustifica l’intervento della giunta, dotata di competenza generale residuale per il combinato disposto degli artt. 32 e 33 della legge 8.6.1990, n. 142 (Cons. di Stato, Sez. IV, 17.1.1995, n. 23; 20.3.2000, n. 1471).".

Accertata la sussistenza della competenza all’adozione dell’approvazione del progetto avente efficacia di variante urbanistica in capo alla Giunta comunale, anche la seconda censura non merita positivo apprezzamento, atteso che la deliberazione n. 293 del 1997, nel pieno rispetto dell’allora vigente normativa, nel dare atto dell’effetto di variante urbanistica connesso all’approvazione del progetto, ne dispone la trasmissione alla Regione per l’approvazione e prevede, al punto 12 del dispositivo, di dare mandato al Sindaco affinchè, una volta ottenuta l’approvazione regionale del progetto in variante allo strumento urbanistico ed il finanziamento dell’opera svolga tutte le procedure necessarie per l’acquisizione dell’area".

In linea di principio deve ritenersi che la approvazione del progetto esecutivo equivalga a dichiarazione di pubblica utilità, la cui efficacia è, peraltro, nel caso in cui sia intervenuta una variante urbanistica, necessariamente subordinata all’avvenuta trasmissione del progetto alla Regione per l’approvazione.

In altre parole l’effetto della dichiarazione di pubblica utilità, contenuta, in conformità a quanto previsto dalla legge, nel provvedimento di approvazione del progetto esecutivo, non si produce sino a che non sia intervenuta la prevista trasmissione del progetto stesso alla Regione per la sua approvazione sotto il profilo urbanistico.

Tale principio è ben espresso nella sentenza del Consiglio di Stato, IV, 27 dicembre 2006, n. 7898 in cui si legge: "ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, la variante urbanistica implicita mediante l’approvazione del progetto di opera pubblica è approvata con le modalità di cui agli articoli 1e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167: pertanto, l’approvazione del progetto e la conseguente variante urbanistica esplicano i loro effetti solo dopo l’approvazione regionale. Infatti, solo con quest’ultimo atto la modifica della destinazione urbanistica acquista efficacia, laddove la sola adozione della variante non è idonea a far conseguire gli effetti di dichiarazione di pubblica utilità del progetto dell’opera approvata, né a sorreggere gli ulteriori atti della procedura ablativa (C.d.S., sez. IV, 7 settembre 2000, n. 4702; 11 marzo 1999, n. 262; 30 aprile 1998, n. 702; sez. V, 23 marzo 2004, n. 1351): a ciò consegue non solo che il termine triennale di validità degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità, nonché di urgenza e indifferibilità dei lavori, derivanti dall’approvazione dei progetti di opere pubbliche, decorre dalla data della delibera regionale di approvazione della variante (C.d.S., sez. IV, 10 novembre 1998, n. 1475), in quanto solo dopo l’approvazione regionale diventa attuale l’interesse del privato ad impugnare l’approvazione del progetto che ne costituisce il presupposto (C.d.S., sez. IV, 6 febbraio 1995, n. 73).".

Anche nel caso di specie, quindi, ferma restando la legittimità della dichiarazione di pubblica utilità in uno con l’approvazione del progetto, l’efficacia della stessa deve ritenersi fosse subordinata alla previa approvazione regionale: condizione quest’ultima, che risulta essere stata rispettata, nel caso di specie, posto che il provvedimento stesso posticipa ogni ulteriore atto esecutivo ad un momento successivo alla sopravvenuta approvazione regionale.

Anche il terzo motivo, nel quale i ricorrenti lamentano la mancata indicazione o, comunque, l’indicazione incerta, dei termini di inizio e fine dei procedimenti espropriativi e dei lavori, che risulterebbero dover intervenire rispettivamente entro 36 e 72 mesi decorrenti dall’approvazione regionale della variante – avvenimento futuro ed incerto – deve essere disatteso.

Ciò, ancora una volta, in conformità alla precedente sentenza di questo Tribunale n. 113/2002 in cui si afferma il principio secondo il quale tale modalità di indicazione dei termini è da ritenersi sufficiente ad integrare il rispetto dell’art. 13 della legge 2359/1865, considerato che sino all’approvazione della variante la dichiarazione di pubblica utilità deve ritenersi, come si è già avuto modo di precisare, priva di effetti.

Tale indicazione appare, quindi, idonea a garantire quella delimitazione temporale degli effetti della dichiarazione di pubblica utilità che il legislatore ha inteso perseguire nell’imporre la fissazione dei termini di inizio e fine lavori ed espropriazioni quantomeno nel primo atto della procedura espropriativa.

Con la quarta censura vengono dedotti in giudizio profili finanziari che non incidono, invero, sulla legittimità del provvedimento. Risultano rispettate, infatti, le norme che, quantomeno in base alla normativa all’epoca vigente, imponevano l’individuazione delle fonti di finanziamento. Del resto, come già affermato da questo Tribunale nella sentenza n. 113/2002, la prova dell’adeguatezza dell’impegno finanziario si desume necessariamente dal fatto che l’opera è stata sostanzialmente ultimata e pagata, conformemente alle imputazioni di spesa.

Infine debbono ritenersi pienamente rispettati gli artt. 7 e 8 della legge n. 241/90, considerato che la partecipazione al procedimento, che è stata omessa solo nella preventiva fase dell’approvazione del progetto preliminare, è stata pienamente garantita con riferimento agli atti effettivamente e concretamente lesivi della posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti, rappresentati dai provvedimenti di approvazione del progetto (la comunicazione di avvio del procedimento è stata trasmessa, infatti, il 27 febbraio 1997).

Nessuna norma imponeva, prima dell’entrata in vigore del DPR 327/2001, l’obbligo di comunicazione dell’avvio di un procedimento avente ad oggetto né l’approvazione del progetto, né la previsione di un’eventuale variante urbanistica. Peraltro, con riferimento ad entrambe i profili appare chiaro come il primo atto concretamente lesivo non possa che essere considerato il progetto definitivo, che equivale anche ad adozione di variante urbanistica, con la conseguenza che il principio della partecipazione al procedimento deve ritenersi perfettamente rispettato.

La virtuale soccombenza di parte ricorrente per le ragioni ora esposte appare idonea a determinare la condanna della stessa al pagamento delle spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per il sopravvenuto difetto di interesse attestato in sede di rinuncia.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, oltre ad I.V.A., C.P.A. e rimborso forfetario delle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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