T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 18-05-2011, n. 735

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente è proprietaria dei mappali 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 17, 18 del fg. 14, nonché comproprietaria per un mezzo dei mappali 20 e 21 del medesimo foglio, tutti interessati dalla procedura espropriativa finalizzata alla realizzazione dell’intervento di miglioramento della viabilità SS345 tratto ConcesioVilla Carcina, per una superficie quantifica in 10.304 mq: estensione che, però, secondo la ricorrente, non sarebbe stato dato di conoscere sino all’adozione del piano d’esproprio allegato alla deliberazione 15/00.

A prescindere da tale quantificazione, comunque anche quest’ultimo provvedimento non consentirebbe, secondo parte ricorrente, la esatta individuazione delle aree interessate.

A prescindere da tale precisazione, con il primo ricorso è stata impugnata, in via principale, la deliberazione con cui è stata approvata, nel 1999, una variante al progetto già precedentemente approvato, nonché tutti gli atti ad essa collegati, deducendo le seguenti censure:

1.1. violazione della legge n. 241/90 ed in particolare reiterata violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90. Il Comune avrebbe omesso di comunicare gli atti della procedura espropriativa direttamente all’odierna ricorrente, il cui subentro nella titolarità dei beni espropriati era ben noto al Comune stesso. A prescindere da ogni altra considerazione rispetto al pregresso, quindi, l’Amministrazione ben avrebbe potuto sopperire alle lamentate omissioni di comunicazione almeno a decorrere dalla formulazione dell’istanza di accesso da parte della stessa I., così da consentire a quest’ultima l’eventuale presentazione di osservazioni rispetto a tutti gli atti fino a quel momento adottati;

1.2. violazione della disciplina urbanistica ed in primis della L.R. 23/97, che tutelano la partecipazione al procedimento che, nel caso di specie, avrebbe potuto contribuire all’iter istruttorio, introducendo elementi innovativi di valutazione;

1.3. carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione. L’Amministrazione avrebbe omesso l’attesa, adeguata, articolata e tecnicamente supportata motivazione delle sofferte scelte progettuali operate. Le lamentate carenze di motivazione e di istruttoria sarebbero tanto più evidenti comparando le premesse dei diversi provvedimenti succedutisi nel tempo, che si riferiscono ad obiettivi ben diversi tra di loro: il progetto preliminare tendeva, dichiaratamente, a migliorare la percorribilità della SS345 (alleggerendo l’elevato tasso di transitabilità sull’unica arteria di fondovalle), mentre nella delibera del Consiglio comunale n. 24/99 si legge che "il nuovo collegamento viario nel tratto ConcesioVilla Carcina dovrà essere regolamentato, per quanto riguarda la viabilità e la velocità, in modo tale da non divenire strada ad alto scorrimento e da non costituire alternativa alla SS345 per i mezzi pesanti". Inoltre sarebbero state analizzate anche esigenze derivanti dalla realizzazione di un insediamento residenziale, l’accordo relativo al quale risalirebbe al 1996 e quindi non potrebbe giustificare, come fatto sopravvenuto, una variante progettuale;

1.4. incompetenza dell’organo che ha sottoscritto le principali relazioni tecniche richiamate in delibera e conseguente violazione della legge n. 241/90. Tali relazioni sarebbero state, infatti, sottoscritte dal Sindaco, anziché dal responsabile dell’Ufficio tecnico;

1.5. violazione dell’art. 25 della legge n. 109/94: la perizia di variante approvata non sarebbe supportata da alcuna delle motivazioni che, secondo tale norma, consentono di fare ricorso all’istituto;

1.6. eccesso di potere conseguente alla mancata valutazione, nella scelta dell’area da espropriare, della reale situazione dei luoghi e della possibilità di soluzioni alternative.

Si è formalmente costituito in giudizio il Comune di Concesio che, così come la controinteressata I.D.M. S.r.l., si è limitato ad eccepire l’infondatezza del ricorso, senza spiegare specifiche difese.

Nelle more del giudizio, la Comunità Montana della Valle Trompia, con nota 5706 del 12 ottobre 1999, notificava l’avviso di avvio della procedura espropriativa per la realizzazione dell’opera che – l’odierna ricorrente lo avrebbe appreso solo a seguito dell’esercizio del diritto di accesso – era stata approvata con deliberazione del Consiglio della Comunità Montana dell’1 luglio 1997, n. 112 (avente ad oggetto "miglioramento transitabilità della SS345 della Valle Trompia da Concesio a Gardone V.T. – tratto da Concesio a Villa Carcina – Approvazione progetto esecutivo").

Ne è conseguita la notifica di un nuovo ricorso nel quali sono stati dedotti:

2.1. violazione dell’art. 7 della legge n. 241/90, non avendo ammesso la ricorrente alla partecipazione al procedimento preordinato all’approvazione del progetto relativo a "miglioramento transitabilità della SS345 della Valle Trompia da Concesio a Gardone V.T. – tratto da Concesio a Villa Carcina – Approvazione progetto esecutivo". Partecipazione che era stata individuata come necessaria per la legittimità del provvedimento da parte delle giurisprudenza (TAR Brescia, 17 settembre 1998, n. 774, Cons. Stato, Ad. Plen. n. 6 del 1996);

2.2. violazione dell’art. 11 della legge n. 865/71 per omessa indicazione, nei provvedimenti impugnati, dell’indennità di esproprio offerta agli espropriandi: dichiarazione di pubblica utilità e indicazione dell’indennità di esproprio dovrebbero, secondo parte ricorrente, avvenire contestualmente, tenendo conto, a tal fine, della differenza tra indicazione dell’indennità dovuta e indicazione generica delle spese per l’acquisizione delle aree;

2.3. illegittimità derivante dal fatto che la dichiarazione di pubblica utilità sarebbe stata pronunciata dal Consiglio direttivo, anziché dal competente (secondo l’art. 50 della L.R. 70/83) Presidente;

2.4. eccesso di potere, violazione del giusto procedimento e carenza di motivazione: l’impugnato decreto regionale fa riferimento al progetto esecutivo approvato dalla Comunità Montana Valle Trompia, richiamando a tal fine un piano particellare allegato allo stesso, che risulterebbe, però, diverso e successivo rispetto a quello rilasciato alla ricorrente in sede di accesso agli atti (tale confusione sarebbe frutto delle successive varianti approvate, che renderebbero complessivamente contradditorio il comportamento dell’Amministrazione).

In conseguenza del procedere dell’iter preordinato alla realizzazione dell’opera ed avverso la nuova approvazione del progetto sono stati successivamente dedotti, con ricorso sub R.G. 607/00:

3.1. violazione degli artt. 7 e 10 della legge n. 241/90: le comunicazioni effettuate sarebbero da qualificarsi come formali e fittizie. Basti pensare che la comunicazione del 22 marzo 2000 è pervenuta il 25 marzo e fissava il termine per l’accesso e il deposito di memorie al 28 marzo; il provvedimento è stato adottato il 29 marzo;

3.2. violazione della normativa urbanistica ed in particolare della L.R. 23/97, nonché ingiustificato aggravamento del procedimento. L’istituto della variante accelerata sarebbe stato impiegato in modo patologico, non essendo stato esso finalizzato alla semplificazione del procedimento;

3.3. carenza, illogicità e contradditorietà della motivazione: l’esame degli atti impugnati porrebbe in luce una serie perdurante e aggravata di insanabili omissioni istruttorie e di contraddizioni ed illogicità motivazionali e progettuali (la possibile incidenza sul fiume Mella era da tempo nota, il PAI era acquisito sin dal 1999, perciò non si comprende perché sia divenuto rilevante solo nel 2000, il nuovo progetto ritorna ad incidere sulla fascia di rispetto del fiume, in ogni caso, a prescindere dal parere favorevole del magistrato del Po, vi sarebbe un’assoluta mancanza di studi, gravi carenze istruttorie e gravi contradditorietà, cui non è posto rimedio neanche con la deliberazione n. 15/00). In ogni caso il progetto originario era stato dichiaratamente redatto per poter ottenere il finanziamento regionale FRISL al fine di adottare una situazione tampone della grave situazione della viabilità. Secondo parte ricorrente vi sarebbe sproporzione tra il grave sacrificio imposto alla ricorrente e il risultato, limitato ad una mera soluzione tampone;

3.4. carenza di motivazione e sviamento di potere: la localizzazione dell’opera sarebbe avvenuta sul piano politico e non tecnico;

3.5. violazione dell’art. 25 della legge 109/94: nessuna delle ipotesi individuate da tale norma si sarebbe verificata nel caso di specie;

3.6. eccesso di potere per violazione dei criteri di buona amministrazione.

Con successivo primo ricorso per motivi aggiunti, appreso dell’esistenza di atti presupposti, la ricorrente ha impugnato anche quest’ultimi deducendo:

3.7. carenza di istruttoria e difetto di motivazione, laddove la deliberazione n. 68/00 dà atto della mancanza di osservazioni ed opposizioni, nonostante la pendenza di ben tre ricorsi antecedenti alla sua adozione;

3.8. violazione della legge n. 109/94 e del regolamento di attuazione, in quanto i provvedimenti adottati non si pongono nemmeno il problema delle illegittimità già dedotte;

3.9. eccesso di potere per sviamento ed illogicità, in quanto le varianti apportate al progetto non consentirebbero più il raggiungimento delle finalità progettuali originariamente perseguite e ciononostante comporterebbero certi e gravissimi sacrifici dei diritti della ricorrente.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti parte ricorrente ha quindi:

3.10. ribadito come le violazioni all’art. 7 della legge n. 241/90 siano state "costanti" per tutto il complesso iter seguito, la reiterazione delle varianti urbanistiche abbia di fatto eluso la finalità semplificatoria riconosciuta alla variante c.d. "accelerata" di cui alla L.R. 23/97, proprio il succedersi degli atti abbia evidenziato carenza di motivazione e di istruttoria, nonché approssimazione nell’azione;

3.11. illegittimità dell’occupazione quale effetto dell’impossibilità di individuare l’area di cui è stata autorizzata l’immissione in possesso. Il decreto di occupazione d’urgenza, infatti, fa riferimento al piano particellare allegato alla delibera di Giunta n. 506 del 2000, da cui emerge una superficie interessata di 5660 mq, non corrispondente con quella oggetto di espropriazione, pari a mq 4317;

3.12. incompetenza del Comune a disporre l’espropriazione e l’occupazione d’urgenza.

Si è costituito in giudizio il Comune di Concesio, evidenziando come tutti i ricorsi presentati abbiano in comune la dedotta carenza di motivazione ed istruttoria che renderebbe del tutto incomprensibile ed incoerente l’assoggettamento a procedura espropriativa della proprietà del ricorrente, peraltro in ragione di progetti che renderebbero assolutamente incerta l’individuazione della superficie interessata (quantificata dalla ricorrente in 10.304 mq). Esso ha, quindi, eccepito in primo luogo l’irricevibilità del ricorso nella parte in cui è volto a censurare la legittimità di atti impugnati ben al di là della scadenza del termine per l’impugnazione decorrente dalla loro piena conoscenza: ciò in particolare per le deliberazioni contenenti anche la variante urbanistica, in relazione alle quali il dies a quo deve essere individuato nell’ultimo giorno del rituale deposito, mentre rispetto agli altri atti sarebbe la stessa ricorrente ad ammetterne la conoscenza.

Nel merito, il Comune sostiene l’insindacabilità della localizzazione dell’opera pubblica e delle scelte tecniche operate se non appaiono manifestamente irrazionali o illogiche, a causa della forte connotazione discrezionale di tali attività amministrative. Peraltro, la non corretta indicazione dei beni da espropriare potrebbe inficiare il procedimento solo laddove determinasse un’incertezza sulla loro individuazione che, nel caso di specie, non sarebbe stata dimostrata, essendo stati puntualmente individuati sia i mappali interessati, che il nominativo del relativo proprietario, nonché, nel decreto di occupazione d’urgenza, anche la superficie da occupare.

Sul piano della motivazione, le deliberazioni n. 14 e n. 15 del 2000 sarebbero ampiamente motivate dalla necessità, oltre che di attuare le scelte operate a livello sovracomunale (che hanno visto coinvolti Regione, Provincia, Comunità Montana, Conferenza di servizi), di evitare la realizzazione di una strada nella zona soggetta a inondazione dalle normali piene del Fiume Mella.

Peraltro, rispetto a tali provvedimenti, l’interesse della ricorrente al loro annullamento non sarebbe, secondo il Comune, pienamente dimostrato, posto che con esse l’area di esproprio della proprietà della ricorrente è più che dimezzata (passando da 10.278 mq della precedente soluzione, a quella di mq 4.317).

Nessuna confusione sarebbe stata operata tra progetto preliminare ed esecutivo, avendo il Comune optato per l’applicazione delle disposizioni dell’art. 1, commi 4 e 5 della legge n. 1/78, finalizzate a far discendere la variante urbanistica dall’approvazione anche del progetto preliminare: fattispecie prevista dal comma 8 dell’art. 14 della legge n. 109/94.

Sarebbe, invece, la ricorrente ad operare confusione tra l’istituto della variante urbanistica (collegata, nel caso di specie, a numerosi dei provvedimenti impugnati e necessaria per adeguare lo strumento urbanistico alle scelte progettuali via via operate) e quello della variante "in corso d’opera" di cui all’art. 25 della legge 109/94.

In ogni caso le scelte progettuali operate sarebbero debitamente supportate, a livello di motivazione, dalla necessità di rispettare l’accordo di programma raggiunto tra i soggetti coinvolti.

Con riferimento al lamentato mancato invio di una nuova comunicazione di avvio del procedimento in relazione all’adozione della deliberazione n. 14/00, il Comune sostiene che essa non fosse necessaria, in quanto l’obbligo si sarebbe imposto solo con riferimento al progetto definitivo ed esecutivo, contenenti la dichiarazione di pubblica utilità. Tant’è che il 14 marzo 2000 è stato convocato un incontro con tutti i proprietari, cui ha fatto seguito, il 22 marzo 2000, l’invio dell’avviso di avvio del procedimento preordinato alla dichiarazione di pubblica utilità, ricevuto dalla società il 24 marzo 2000.

Si è costituita in giudizio anche la Comunità Montana della Val Trompia. Essa, chiarito che il ricorso per motivi aggiunti, pur richiamando gli atti della Comunità nell’ottica di rappresentare la pretesa "confusione progettuale", non ha espressamente dedotto alcuna censura in relazione agli stessi, ha ribadito quanto rappresentato anche dall’ente espropriante in ordine alla legittimazione del Comune all’adozione del decreto di occupazione d’urgenza. Secondo le due amministrazioni, l’esercizio delle funzioni di autorità espropriante da parte del Comune deriva ed è legittimato dall’apposito accordo in tal senso raggiunto da tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opera in questione. Peraltro, parte ricorrente non avrebbe individuato quale specifica norma sarebbe stata violata optando per tale soluzione organizzativa.

Parte ricorrente ha, quindi, depositato una memoria rappresentando, in vista della camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, come l’area interessata dai lavori non coinciderebbe né con quella di cui al piano particellare, nè con quella individuata dal decreto di occupazione d’urgenza. Il tutto a prescindere dal deposito di materiali su di un fondo di proprietà della ricorrente non interessato dalla procedura espropriativa. Nella relazione tecnica allegata si evidenzia, altresì, come l’Ufficio tecnico comunale sostenesse la circostanza per cui "il riferimento grafico probante è la tavola di progetto esecutivo e non la planimetria del particellare d’esproprio in quanto alla scala grafica 1:2000 il tracciato è puramente indicativo". Al contrario, parte ricorrente sostiene che l’unico documento idoneo ad individuare le aree da espropriare sarebbe il piano particellare d’esproprio, posto che gli altri elaborati del progetto non consentirebbero di individuare i limiti d’esproprio. Nel caso di specie, poi, confrontate le risultanze del piano particellare con le previsioni del progetto (tenuto conto del completo corpo stradale, comprensivo di marciapiedi e scarpate laterali), esse risulterebbero perfettamente coincidenti ed ammontanti a mq 5660, con la conseguenza che deve ritenersi che il piano particellare fosse perfettamente coerente con il progetto approvato, ma non anche con le previsione del decreto di occupazione d’urgenza.

Con ordinanza n. 484/01, questo Tribunale ha disposto una verifica in contradditorio, volta ad accertare l’esatta consistenza dei compendi fatti oggetto di occupazione in esecuzione del relativo decreto, da condursi alla stregua del piano particellare d’esproprio e sulla base delle mappe in scala 1:2000. In esito a tale ordine il verificatore, individuato in nome e per conto del Direttore dell’Area tecnica della Provincia di Brescia, ha precisato che la superficie oggetto di esproprio risulta essere pari a 5681 mq, a fronte dei 4317 previsti dal decreto di occupazione: ciò in conseguenza dell’aumento della superficie occupata dei mappali 7, 17 e 6, dell’interessamento ex novo del mappale 3 (per soli 6 mq) e dell’eliminazione dell’occupazione del mappale 20. Nella propria relazione il verificatore dà atto dell’osservazione del tecnico comunale secondo cui si sarebbe dovuto provvedere alla sovrapposizione anche del tracciato individuato con il progetto esecutivo sulle mappe; operazione, questa, a cui si è opposto il tecnico di parte ricorrente, in quanto non coerente con il dispositivo dell’ordinanza di verificazione.

A seguito di ciò, questo Tribunale ha disposto la sospensiva con riferimento esclusivamente alla superficie esuberante rispetto a quella di 4317 mq di cui è stata autorizzata l’occupazione. Le parti hanno, peraltro, richiesto una integrazione delle operazioni di verificazioni che tenesse conto della reale occupazione delle aree, risultata essere diversa.

Questa è stata disposta con ordinanza n. 542/01, in esito alla quale è emerso che la superficie interessata risultava pari a 4440 mq, in ragione del rilievo effettuato, ovvero a mq 4619, calcolando la stessa sull’estratto mappa catastale utilizzato per la redazione del piano particellare.

In ragione di ciò, e ritenuto prevalente l’interesse alla realizzazione dell’opera, la sospensiva è stata rigettata.

In vista della pubblica udienza fissata, dopo precedenti rinvii strumentali a consentire la prosecuzione di trattative in corso tra le parti, per il 27 aprile 2011, parte ricorrente ha depositato una propria memoria nella quale, ricostruito schematicamente l’oggetto del contendere, ha ribadito le proprie tesi circa l’illegittimità dei provvedimenti censurati, in particolare per violazione della garanzia di partecipazione al procedimento e per omissione della notificazione degli atti endoprocedimentali succedutisi nel contorto iter procedimentale che ha portato ai provvedimenti preordinati all’esproprio da ultimo impugnati. La molteplicità degli atti progettuali successivamente adottati e modificativi dei precedenti avrebbe contribuito a creare quella confusione che avrebbe poi ingenerato le lamentate incongruenze rilevate in ordine all’indicazione dell’esatta entità delle aree oggetto di acquisizione.

Parte ricorrente ha quindi, richiesto, in primo luogo, la designazione di un consulente tecnico d’ufficio per accertare l’esatta consistenza della superficie in questione, insistendo comunque per l’annullamento degli atti impugnati.

Anche il Comune ha depositato memorie in vista della pubblica udienza, richiamando anche le pronunce di questo Tribunale n. 886/2001 e 887/2001, con cui sono stati respinti analoghi ricorsi avverso i medesimi provvedimenti censurati con quelli in esame.

Rinviando a quanto già precedentemente affermato, il Comune eccepisce, in specie, l’improcedibilità dei primi due ricorsi notificati dalla ricorrente, nonché l’infondatezza dell’ultimo e dei relativi motivi aggiunti, accentrando l’attenzione su come il reale oggetto del contendere sia da limitarsi alle conseguenze dell’accertato esubero di superficie occupata. L’infondatezza delle censure relative alla partecipazione al procedimento ed alla pretesa violazione della L.R. 23/97 e dell’art. 1 della legge 1/78 sarebbero già state accertate nelle sopra richiamate sentenze. Con riferimento, invece, all’occupazione di una maggiore superficie di quella indicata nel decreto d’urgenza, respinta ogni richiesta di C.T.U. in quanto le perplessità espresse dalla ricorrente circa le operazioni di verificazione non sarebbero idonee ad escludere l’attendibilità dei risultati riscontrati, questa comunque non inficerebbe la legittimità degli atti impugnati, in quanto circostanza attinente alla loro materiale esecuzione. Non risulta, peraltro, impugnato il successivo decreto d’esproprio, cui avrebbe fatto seguito il pagamento dell’indennità, né formulata alcuna domanda risarcitoria, con la conseguenza che non si ravvisa, da parte del Comune, alcun interesse all’accertamento della reale superficie occupata. Conclude, quindi, il Comune, per il rigetto dell’impugnativa.

Parte ricorrente ha replicato sostenendo che il contenzioso generato dai ricorsi in esame sia più ampio e complesso di quello che ha già originato la pronuncia di questo Tribunale, benché relativo alla medesima procedura espropriativa. Ne discenderebbe l’impossibilità di estendere automaticamente le conclusioni cui è addivenuto questo Tribunale nella sentenza già adottata. In ogni caso l’intervenuto occupazione di una superficie indubbiamente superiore (ancorchè di soli 123 metri, secondo le risultanze dell’ultima verificazione) avrebbe determinato il presupposto per l’annullamento dei provvedimenti impugnati, con conseguente legittimazione a proporre, separatamente, come espressamente ammesso anche dal sopravvenuto codice del processo amministrativo, una successiva domanda risarcitoria (che parte ricorrente si è espressamente riservata).

Alla pubblica udienza le cause, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, sono state trattenute in decisione.
Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei tre ricorsi in epigrafe indicati, per ragioni di evidente connessione oggettiva e soggettiva: si tratta, infatti, di ricorsi proposti dalla stessa società proprietaria contro il medesimo Comune (e gli altri enti pubblici coinvolti nella complessa vicenda espropriativa) ed aventi ad oggetto i provvedimenti successivamente adottati nel corso dell’iter del procedimento, ovvero successivamente conosciuti benché presupposti rispetto a quelli impugnati.

Appare chiara, quindi, l’opportunità, oltre che la necessità, di decidere congiuntamente le suddette impugnazioni.

Invero il primo ricorso (R.G. 1236/99) non può che essere dichiarato improcedibile. Come chiarito dalla stessa ricorrente nella propria memoria del 26 marzo 2011, esso ha ad oggetto principalmente la variante tecnicoprogettuale del progetto esecutivo costituente variante al PRG n. 24 del 14 aprile 1999, successivamente revocata dal Comune di Concesio. L’avvenuta rimozione di tale provvedimento in autotutela implica, infatti, il venir meno dell’oggetto stesso del contendere, anche con riferimento agli ulteriori atti presupposti e richiamati da suddetta deliberazione.

Analogamente improcedibile risulta, per le stesse ragioni ora evidenziate, il ricorso sub R.G. 1374/99, nella parte in cui ha ad oggetto una pluralità di atti relativi a previsioni progettuali che, anche se ipoteticamente "recuperate" a seguito dell’annullamento della deliberazione n. 24/99, sono state poi successivamente superate dalle scelte progettuali operate in sede di conferenza di servizi e che, passando attraverso l’adozione di una pluralità di ulteriori atti, ha poi condotto all’approvazione del progetto definitivo di cui alla deliberazione n. 506 del 22 novembre 2000 e del progetto esecutivo di cui all’atto deliberativo del Consiglio direttivo della Comunità Montana n. 2 del 2001.

Il ricorso è, invece, inammissibile nella parte in cui ha ad oggetto l’avviso di avvenuto deposito degli atti relativi alla procedura espropriativa, in quanto tale atto deve ritenersi privo di autonomia lesiva: esso ha, infatti, natura di atto meramente preordinato a notiziare l’espropriando e garantire a questi un’adeguata partecipazione al procedimento.

Rispetto all’impugnazione della deliberazione del Consiglio comunale di Concesio n. 14 del 29 marzo 2000, di revoca della deliberazione del Consiglio comunale n. 24 del 14 aprile 1999 avente ad oggetto: "opere complementari finalizzate al miglioramento della viabilità SS345 tratto ConcesioVilla Carcina. Approvazione di variante tecnica senza aumento di spesa e previsione variante ai sensi della L.R. 23/97", nonché degli allegati alla stessa rappresentati dalla relazione tecnica e dal verbale della conferenza di servizi svoltasi il 24 maggio 1999, invece, il Collegio ritiene di poter ravvisare la carenza di interesse eccepita dal Comune. Tale provvedimento, infatti, (e con esso i suoi allegati) ha condotto ad una scelta progettuale migliorativa per la ricorrente.

Non risulta dimostrato, quindi, un interesse concreto ed attuale alla rimozione del medesimo, pur potendosi intuire la strumentalità dell’accertamento di un’eventuale illegittimità del provvedimento rispetto all’obiettivo di evidenziare una più generalizzata confusione ed incoerenza nella gestione del procedimento nel suo complesso.

Ciò chiarito in rito, il merito del ricorso sub R.G. 607/00 non può essere correttamente affrontato se non ricostruendo brevemente la cronistoria dell’opera che l’Amministrazione intende realizzare, la quale prende le mosse, come comprovato dalla documentazione depositata, dalla deliberazione n. 31 del 15 maggio 1996, con cui il Consiglio comunale di Concesio ha approvato il "protocollo d’intesa" con la Comunità Montana di V.T. e il Comune di Villa Carcina per la realizzazione delle opere complementari finalizzate a migliorare la transitabilità della SS n. 345 nel tratto ConcesioGardone V.T., contenente delega alla Comunità stessa per la presentazione della domanda di finanziamento e l’appalto e la realizzazione dell’opera; ai Comuni residuava l’onere di assicurare la disponibilità delle aree.

Il progetto preliminare di detto intervento, predisposto dalla Comunità Montana, è stato approvato dal Comune di Concesio con delibera n. 47 del 30 maggio 1997, che oltre ad integrare una variante urbanistica per la localizzazione dell’opera, equivaleva a dichiarazione di pubblica utilità.

Con successiva deliberazione n. 90 del 18 novembre 1997, il Comune di Concesio approvava, quindi, il progetto esecutivo (predisposto sempre dalla Comunità) che, però, conteneva una modifica della localizzazione che ha comportato una nuova variante urbanistica, approvata definitivamente con l’accoglimento dell’unica osservazione presentata (osservazione alla variante urbanistica) e dando applicazione alla sopravvenuta L.R. n. 23/97 che ha disciplinato l’istituto della variante semplificata.

Sono state, quindi, rilevate esigenze di modifica del tracciato nella frazione S. Vigilio e ciò ha determinato l’approvazione (con delibera n. 24 del 14 aprile 1999) di un’apposita variante tecnica, di rilevanza anche urbanistica. Quest’ultima previsione è stata revocata, ripristinando così la soluzione progettuale risultante dalle deliberazioni n. 90/1997 e n. 53/1998, con deliberazione n. 14 del 29 marzo 2000, resa necessaria dalla ravvisata interferenza della localizzazione dell’opera frutto della variante del 1999 con la fascia di esecuzione (fascia B) del fiume Mella (così come risultante dal "Progetto di piano stralcio per l’assetto idrogeologico" acquisito in data 26 luglio 1997).

Per coordinare le diverse posizioni dei soggetti coinvolti, la Comunità Montana ha, quindi, convocato una conferenza di servizi che ha trovato un accordo unanime, l’attuazione del quale, però, ha evidenziato un, seppur minimo, contrasto con il PRG allora vigente che ha reso necessaria una nuova approvazione del progetto preliminare ai fini della variante urbanistica ai sensi della L.R. 23/97, poi definitivamente approvata con deliberazione n. 68 del 6 settembre 2000.

Ne è seguita l’approvazione del progetto definitivo (deliberazione n. 506 del 22 novembre 2000), depositato per trenta giorni in libera visione al pubblico, previo avviso affisso all’albo pretorio e pubblicato nel F.A.L. della Provincia e, conseguentemente, la successiva approvazione del progetto esecutivo da parte della Comunità Montana che ha, quindi, sollecitato il Comune all’acquisizione delle aree necessarie all’esecuzione dei lavori.

Il Comune di Concesio ha, quindi, disposto l’occupazione d’urgenza a favore della Comunità Montana, prevedendo l’occupazione di una superficie di proprietà della ricorrente pari a mq 4317, avente destinazione meramente agricola per l’allora vigente PRG.

Ed è proprio della legittimità di tale atto, nonché di quelli presupposti, che si controverte nell’unico ricorso (corredato dai successivi motivi aggiunti) tra quelli proposti da parte ricorrente non colpito da improcedibilità.

Le censure dedotte, peraltro, possono essere ricondotte a tre profili principali: quello della violazione degli obblighi connessi alla tutela della partecipazione al procedimento, della carenza di motivazione, anche in quanto le ultime scelte progettuali non risponderebbero più agli obiettivi perseguiti e della violazione della legge n. 109/94.

Il Collegio ritiene di non poter ravvisare la dedotta lesione della garanzia di partecipazione al procedimento, considerato che seppur non risulti smentito che nessuna specifica comunicazione di avvio del procedimento è stata inviata con riferimento all’approvazione di quei progetti che avevano valore di variante urbanistica, tale circostanza non inficia la legittimità dei provvedimenti adottati in esito alla conclusione del procedimento stesso.

All’epoca dei fatti l’allora vigente normativa non prevedeva un tale obbligo, con la conseguenza che, anche con riferimento alle varianti urbanistiche c.d. "puntuali" e cioè specificamente dirette a rendere la scelta progettuale compatibile con lo strumento urbanistico, non era prevista alcuna forma personalizzata di comunicazione dell’avvio del procedimento ed il dies a quo per l’impugnazione della nuova previsione urbanistica così adottata veniva fatto coincidere con l’ultimo giorno della pubblicazione all’albo dell’avviso relativo all’intervenuta approvazione dell’atto.

Solo l’entrata in vigore del DPR 327/01 e delle sue previsioni ha imposto lo specifico obbligo di comunicazione, nel caso di adozione di varianti puntuali e non generali, ai soggetti direttamente incisi dall’imposizione del vincolo preordinato all’esproprio, in un’ottica maggiormente garantista.

Correttamente, quindi, nessuna comunicazione di avvio del procedimento ha preceduto l’approvazione della deliberazione n. 14 del 2000, volta alla revoca della precedente deliberazione n. 24/99, ma non equivalente a dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, nonché della deliberazione n. 15/2000 di approvazione del progetto preliminare di variante al tracciato e conseguente variante urbanistica.

Successivamente, con specifico riferimento al procedimento di approvazione del progetto definitivo (avvenuta con deliberazione n. 506 del 22 novembre 2000) la partecipazione della ricorrente è stata ampiamente garantita, ancorchè la stessa non abbia presentato alcuna osservazione che, proprio in ragione di ciò, non poteva avere alcuna risposta, come invece avrebbe preteso parte ricorrente. Non poteva rilevare, infatti, nell’ambito strettamente amministrativo del procedimento, quanto già dedotto dalla I. nei ricorsi depositati. Solo la materiale produzione, nel corso del procedimento, di puntuali osservazioni avrebbe potuto ingenerare la legittima pretesa ad una puntuale risposta alle osservazioni stesse che desse conto del giudizio di bilanciamento operato.

Con riferimento, infine, al decreto di occupazione d’urgenza, il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi dall’orientamento costante della giurisprudenza che, dalla storica sentenza dell’Adunanza plenaria n. 14 del 1999, ha negato la necessità di una previa comunicazione di avvio del procedimento preordinato all’adozione di tale atto. Del procedimento espropriativo in senso stretto, poi, la ricorrente è stata notiziata mediante puntuale comunicazione dell’avviso di avvenuto deposito dei relativi atti, come dimostrato dalla stessa impugnazione dell’avviso di avvio del procedimento.

Rispetto alla lamentata carenza di motivazione, invece, va rilevato che il fatto che, come specificato nella delibera del Consiglio comunale n. 24/99, il progettato collegamento viario non fosse destinato a divenire strada ad alto scorrimento e, quindi, a costituire un’alternativa alla SS345 per i mezzi pesanti, non necessariamente contrasta con l’obiettivo originario di migliorare la percorribilità della SS345 (alleggerendo l’elevato tasso di transitabilità sull’unica arteria di fondovalle). Quest’ultimo, infatti, può essere perseguito anche offrendo alle sole automobili una viabilità alternativa rispetto alla citata strada statale. Né si comprende come la realizzazione del sottopasso precluderebbe di per sé il raggiungimento dell’obiettivo del miglioramento della viabilità. Infine la legittimità dell’approvazione del progetto esecutivo non sembra revocabile in dubbio per effetto della variante di progetto introdotta per dare risposta alle nuove esigenze di viabilità connesse ad un accordo di programma relativo alla realizzazione di un insediamento residenziale del 1996: se si può condividere la tesi secondo cui tale situazione non può dirsi sopravvenuta, la preesistenza della medesima non può di per sé precludere di analizzare la medesima nell’ottica dell’individuazione, in sede progettuale, di una soluzione che possa soddisfare anche tali esigenze, non antecedentemente considerate. Del resto nel ricorso non si accenna al momento in cui l’insediamento residenziale è stato realizzato: momento in cui l’esigenza può essere divenuta attuale e che è necessariamente successivo a quello di approvazione dell’accordo di programma.

In ogni caso, ferma restando l’irrilevanza delle precedenti, la scelta progettuale da ultimo sposata con la deliberazione n. 15/2000 (che ha determinato, a monte, la revoca del progetto precedentemente approvato) risulta essere ampiamente motivata dalla necessità di evitare i rischi idrogeologici connessi alla soluzione precedente. Non si vede, peraltro, come la mera traslazione dell’opera (per di più dimezzando la superficie di proprietà privata interessata) possa inficiare di per sé il raggiungimento dell’obiettivo perseguito, ferma restando l’originaria destinazione della strada.

Alla luce di tali considerazioni, nonché di quanto rappresentato nel provvedimento con cui il progetto è stato approvato deve, quindi, ritenersi che lo stesso fosse adeguatamente motivato.

Nessuna violazione appare ravvisabile con riferimento alla legge n. 109/94. Al di là delle generiche doglianze, infatti, il ricorso non riesce ad evidenziare effettive violazioni delle precise prescrizioni connesse all’approvazione dei progetti delle opere pubbliche che, ancorchè attraverso un procedimento molto complesso e spesso oggetto di revisione, risultano, invece, essere state rispettate.

Ciò chiarito, in linea anche con i precedenti di questo stesso Tribunale aventi ad oggetto i medesimi provvedimenti (sentenze n. 886 e 887 del 2001), il Collegio ritiene di poter condividere le conclusioni del Comune laddove individua il reale elemento del contendere nelle conseguenze derivanti dall’accertata occupazione di una superficie superiore a quella autorizzata.

Ciò a prescindere dalla richiesta, da parte della ricorrente, di consulenza tecnica i cui esiti non potrebbero in alcun modo rilevare nel ricorso in esame.

Quest’ultimo, infatti, tende all’annullamento del decreto di occupazione d’urgenza e di tutti gli atti pregressi, ma il fatto che la superficie occupata sia risultata essere diversa da quella prevista dagli elaborati progettuali è questione attinente alla mera fase di esecuzione degli atti impugnati, la quale, per ciò stesso, non può incidere sulla legittimità dei medesimi.

Essa potrebbe avere refluenza solo su un’eventuale domanda risarcitoria, in relazione alla quale il danno potrebbe essere commisurato alla reale superficie, ma una tale istanza non è stata formulata nell’ambito del giudizio, con la conseguenza che ogni accertamento della effettiva consistenza esula dalla cognizione di questo Collegio.

A prescindere, quindi, da ogni considerazione in ordine al fatto che la mancata impugnazione del decreto d’esproprio potrebbe incidere sulla permanenza di un interesse concreto ed attuale alla pronuncia, anche il ricorso sub R.G. 60700, nella parte in cui non deve dichiararsi improcedibile, nonché i successivi ricorsi per motivi aggiunti, non possono trovare accoglimento.

Le spese del giudizio possono essere, però, compensate tra le parti in causa, atteso che, considerato il procedimento nel suo complesso, il comportamento dell’Amministrazione, seppur legittimo, è risultato essere defatigatorio e poco lineare; il che ha senz’altro influito sulla capacità di parte ricorrente di una corretta ricostruzione di tutte le vicende, in specie in un periodo come quello anteriore all’entrata in vigore del DPR 327/01 e alla pronuncia dell’Adunanza plenaria n. 14/1999, in cui non risultavano ancora chiari quali fossero gli obblighi imposti all’Amministrazione in un’ottica di garanzia della partecipazione degli espropriandi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti:

– dispone la riunione degli stessi;

– dichiara improcedibili i ricorsi sub R.G. 1236/99 e 1374/99;

– dichiara in parte inammissibile il ricorso sub R.G. 607/00 e per la parte rimanente lo respinge;

– respinge i ricorsi per motivi aggiunti proposti nell’ambito del ricorso sub R.G. 607/00;

– dispone la compensazione delle spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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