T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 18-05-2011, n. 1269 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con bando spedito in G.U.U.E. il 6 agosto 2010, L.I., in qualità di Centrale di acquisto istituita dalla Regione Lombardia, ha indetto una procedura di gara finalizzata alla selezione di soggetti con i quali stipulare una convenzione quadro per la fornitura biennale di farmaci (suddivisa in più lotti) in favore degli Enti del Servizio Sanitario Regionale.

Ritenendo che la disciplina di gara contenesse, da un lato, clausole in grado di alterare il meccanismo di formulazione delle offerte, dall’altro, disposizioni suscettibili di incidere in maniera imprevedibile sulle condizioni di esecuzione del rapporto, la ricorrente ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe deducendo:

1. l’illegittimità, sotto vari profili, dell’art. 1.4 del disciplinare di gara e dell’art. 30 dello schema di convenzione, nella parte in cui prevedono l’imposizione a carico delle future aggiudicatarie di una commissione di transazione parametrata al fatturato (primi quattro motivi di ricorso);

2. l’illegittimità dell’art. 1.1 del disciplinare di gara, dell’art. 3 dello schema di convenzione e dell’art. 1 del capitolato tecnico per la violazione dell’art. 11 del R.D. n. 2440/1923 per mancata previsione dell’applicazione dell’istituto del cosiddetto "quinto d’obbligo" anche in ipotesi di riduzione del fabbisogno rispetto ai quantitativi ipotizzati in sede di gara (quinto motivo di ricorso), nonché, in relazione alla previsione del mancato riconoscimento del diritto di esclusiva in capo all’aggiudicataria (sesto motivo);

3. l’illegittimità degli artt. 15 e 17 dello schema di convenzione nella parte in cui disciplina le penali in caso di inadempimento anche parziale della prestazione appaltata (motivo 7.1); degli artt. 3 e 12 dello schema di convenzione e degli artt. 2.3 e 3.4 del capitolato tecnico relativamente alla previsione di obbligazioni aggiuntive a carico dell’aggiudicatario (motivo 7.2); degli artt. 17 e 18 dello schema di convenzione in relazione alla possibilità di recesso unilaterale prevista in capo alla Stazione appaltante al venir meno del rapporto di fiducia nei confronti del fornitore (motivo 7.3); dell’art. 5.3 del disciplinare in relazione alla prevista possibilità di non aggiudicare la gara in presenza di offerte ritenute non convenienti (motivo 7.4).

Con decreto n. 1162 del 28 ottobre 2010 è stata concessa la tutela cautelare monocratica.

L.I., costituitasi in giudizio, ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, stante la mancata contestazione di profili incidenti sulla possibilità di partecipazione alla gara e la mancata indicazione dei lotti cui è rivolto un potenziale interesse della ricorrente che renderebbe indeterminato l’oggetto del ricorso.

Nel merito, conformemente alla posizione espressa dalla Regione Lombardia, anch’essa costituitasi in giudizio, ha contestato le avverse censure, chiedendo la reiezione del ricorso.

Con decreto presidenziale n. 1170/2010 è stata concessa la tutela cautelare d’urgenza e nella camera di consiglio dell’11 novembre 2010 il Tribunale ha accolto l’istanza di sospensione "limitatamente alla clausola che stabilisce la commissione di transazione".

All’esito della pubblica udienza del 23 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalle resistenti sul presupposto che il bando verrebbe in questa sede impugnato relativamente a profili inidonei a precludere la partecipazione della ricorrente alla gara.

E’ noto al Collegio il principio in base al quale le clausole contenute nei bandi di gara e non preclusive della partecipazione devono di norma essere impugnate unitamente agli atti che di esse fanno applicazione in quanto, precedentemente a tale momento, il partecipante alla procedura di gara sarebbe privo di un interesse concreto ed attuale all’impugnazione; deve rilevarsi, tuttavia, che la giurisprudenza ha individuato un’eccezione a detto principio in presenza di prescrizioni suscettibili di incidere sulla formulazione della domanda di partecipazione impedendo al concorrente di elaborare un’offerta congruamente ponderata. (Cons. St., Ad. Plen., 23 gennaio 2003, n. 1)

Individuata nei descritti termini la lesione allegata dalla ricorrente diviene irrilevante la mancata specificazione dei singoli lotti in relazione ai quali sussiste l’interesse a ricorrere in quanto con il presente ricorso è tutelata una posizione che preesiste a detta specificazione, essendo pregiudicata, nella prospettazione della ricorrente, la stessa possibilità di formulare una offerta competitiva e, quindi, di partecipare alla gara con la piena consapevolezza degli obblighi che si andranno ad assumere.

Quanto al merito, con i primi quattro motivi di ricorso, la ricorrente ha denunciato l’illegittimità della disciplina di gara nella parte in cui prevede, a carico degli aggiudicatari, una "commissione di transazione", cosiddetta "transaction fee", pari allo 0,1% del fatturato realizzato per "tutta la durata della convenzione e dei singoli Contratti di Fornitura stipulati dagli Enti Contraenti" da corrispondere a L.I. quale rimborso delle spese sostenute dalla Regione Lombardia per la realizzazione della "Centrale Acquisti Regionale", di cui al decreto regionale n. 7237 del 21 luglio 2010.

Con il primo motivo, la ricorrente rileva che la suddetta commissione, in quanto avente natura di prestazione patrimoniale imposta, in assenza di una specifica previsione normativa, si porrebbe in contrasto con la riserva di legge di cui all’art. 23 della Costituzione.

Con il secondo motivo viene dedotto che l’imposizione della "transaction fee" si connoterebbe ulteriormente di illegittimità in quanto comporterebbe di fatto uno sconto sul prezzo di fornitura imposto dalla Stazione appaltante a prescindere dalla volontà negoziale e dalle valutazioni imprenditoriali dei concorrenti, che si vedrebbero costretti alla formulazione di una offerta in posizione di sostanziale squilibrio economico con lesione del principio di concorrenza e aggravamento della partecipazione alla gara.

Con il terzo motivo R. ha dedotto l’incompetenza della Amministrazione all’adozione di misure che si traducono nella sostanziale determinazione di uno sconto sul prezzo del farmaco che, sulla base della disciplina vigente in materia, non viene autonomamente stabilito dalle aziende produttrici ma all’esito di una articolata procedura di negoziazione con la Pubblica Amministrazione condotta sulla base di criteri prestabiliti ( Deliberazione C.I.P.E. del 1 febbraio 2001) che determina il prezzo massimo di cessione al Servizio Sanitario Nazionale e l’eventuale sconto obbligatorio.

Con il quarto motivo, è stato contestato che il criterio di determinazione del contributo, parametrato al fatturato sarebbe privo di ogni correlazione con le spese effettivamente sostenute per lo svolgimento della gara.

Il primo motivo di ricorso è fondato nei termini di cui alla seguente motivazione, apparendo illegittima la contestata "transaction fee" con assorbimento delle ulteriori doglianze riferite al medesimo profilo.

Premette, al riguardo, il Collegio che, con la L. 27.12.2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), sono state introdotte innovative misure per la razionalizzazione e il contenimento della spesa pubblica, facendo riferimento relativamente all’approvigionamento di beni e di servizi da parte delle Amministrazioni statali centrali e periferiche, fatta espressa eccezione per gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, alle convenzioniquadro previste dagli artt. 26 della L. 23.12.1999, n. 488 e 58 della L. 23.12.2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001). Con la prima disposizione il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica è stato autorizzato a stipulare, nel rispetto della vigente normativa in materia di scelta del contraente e con procedure competitive tra primarie società italiane ed estere, convenzioni con le quali l’impresa prescelta si impegna ad accettare, sino alla concorrenza della quantità massima complessiva stabilita dalla convenzione ed ai prezzi e condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura di beni e servizi deliberati dalle Amministrazioni dello Stato anche con il ricorso alla locazione finanziaria. Con la successiva norma è stato stabilito che le suddette convenzioni sono stipulate dalla Concessionaria per i servizi informatici pubblici (CONSIP) per conto del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e devono indicare, anche al fine di tutelare il principio della libera concorrenza e dell’apertura dei mercati, i limiti massimi dei beni e dei servizi espressi in termini di quantità nel quadro del loro previsto periodo di efficacia.

Con l’art. 1, comma 449 della L. n. 296 del 2006 il sistema è stato conformemente richiamato, attribuendo al Ministro dell’economia e delle finanze di stabilire con proprio decreto entro il gennaio di ogni anno, tenuto conto delle caratteristiche del mercato e del grado di standardizzazione dei prodotti, le tipologie dei beni e dei servizi per le quali tutte le Amministrazioni centrali e periferiche, ad esclusione degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e di quelle universitarie, sono tenute ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioniquadro. E’ stato, altresì, contestualmente previsto che le restanti Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1 del D.lgs. 30.3.2001, n. 165 possano ricorrere alle stesse convenzioni, oltre che a quelle stipulate dalle centrali di acquisto regionali o interregionali di cui al successivo art. 455 ovvero utilizzarne i parametri di prezzoqualità come limiti massimi per la sottoscrizione dei relativi contratti; che, infine, gli enti del Servizio sanitario nazionale sono in ogni caso tenuti ad approvvigionarsi utilizzando le convenzioni stipulate dalle ridette centrali regionali di riferimento.

Tale processo di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica per gli occorrenti beni e servizi per le Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato, perseguito tramite la prefissione dei relativi prezzi non più da parte di queste ultime, ma attraverso le citate convenzioniquadro stipulate dalla CONSIP, si completa con l’introduzione della carta d’acquisto elettronica per i pagamenti di limitato importo (art. 1, comma 451), con il negozio elettronico da istituirsi nel quadro delle stesse convenzioni (art. 1, comma 452) e con una novella previsione (art. 1, comma 453), in base alla quale il Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni della pubblica amministrazione, è stato autorizzato ad introdurre "meccanismi di remunerazione sugli acquisti da effettuare a carico dell’aggiudicatario delle convenzioni di cui all’art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488".

Con tale ultima disposizione ha fatto dunque ingresso nell’ordinamento giuridico un modello di gestione degli acquisti da parte delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato che appare caratterizzato da un prelievo sugli acquisti a favore del bilancio dello Stato da stabilirsi di concerto dai due indicati Ministri.

Per l’identico fine del contenimento e della razionalizzazione della spesa per l’acquisto di beni e servizi l’art. 1, comma 455 ha, poi, attribuito alle Regioni la potestà di "costituire centrali di acquisto anche unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza ai sensi dell’articolo 33 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in favore delle amministrazioni ed enti regionali, degli enti locali, degli enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio".

La previsione normativa ha trovato attuazione a livello regionale con L.r. n. 33/2007 che, all’art. 1, comma 3, dispone che "in attuazione dei commi 449 e 455 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (…), le funzioni di centrale di committenza di cui all’articolo 33 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (…) a favore dei soggetti indicati nell’articolo 1, comma 455 della legge 296/2006, sono svolte da L.I. S.p.A., che opera come Centrale regionale acquisti".

Al successivo comma 4, la medesima L.r. ha specificato che è compito della Centrale acquisti "a) stipulare convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488 (…), in cui le imprese aggiudicatarie si obbligano ad accettare, sino a concorrenza della quantità massima stabilita da ciascuna convenzione, ai prezzi e alle altre condizioni ivi previsti, ordinativi di fornitura emessi dai soggetti di cui al comma 3; b) aggiudicare appalti di beni e servizi destinati ad uno o più soggetti di cui al comma 3; c) concludere accordi quadro ai sensi dell’articolo 59 del d.lgs. 163/2006 e istituire sistemi dinamici di acquisto ai sensi dell’articolo 60 del d.lgs. 163/2006 destinati ai soggetti di cui al comma 3".

In attuazione della richiamata norma regionale la Regione Lombardia ha stabilito con decreto dirigenziale n. 3939 del 18 aprile 2007 di "sperimentare modalità di autofinanziamento dei costi di funzionamento" della nuova Centrale regionale acquisti, inserendo nei bandi e nelle convenzioni da stipularsi l’impegno dei fornitori a "corrispondere, a titolo di parziale rimborso delle spese sostenute dalla regione Lombardia per la realizzazione del progetto, una percentuale sul transato da definire in sede di bando, convenzione o accordo".

L’entità della contribuzione è stata da allora stabilita con decreto dirigenziale e da ultimo con decreto n. 7237 del 21 luglio 2010, impugnato in questa sede, con il quale è stato confermato "il meccanismo di remunerazione sulle procedure di acquisto della Centrale Regionale Acquisti da effettuare a carico dell’aggiudicatario" fissando l’importo in "una percentuale sul transato, non superiore all’1,3%", in seguito definita, ai fini della gara per cui è causa, nello 0,1%, del fatturato.

Osserva, al riguardo, il Collegio che, mentre l’art. 1, comma 453 della L. n. 296/2006, stabilisce che, con decreto interministeriale, possono essere previsti meccanismi di remunerazione sugli acquisti a carico dell’aggiudicatario nei termini già esposti, un’identica previsione non compare nel successivo comma 455: il che prospetta il dubbio che il relativo prelievo sugli acquisti possa essere effettuato, come puntualmente contesta la ricorrente che assume l’illegittimità del provvedimento impugnato stante l’assenza di una puntuale base normativa.

A parere del Collegio tale ordine d’idee deve essere condiviso.

La lettura dell’art. 1, comma 455 trova la propria premessa nella considerazione che non pare ragionevole e comunque non rispondente alla ratio istitutiva del modello statale ipotizzarne il trasferimento nell’ordinamento regionale limitatamente alla sola previsione della costituzione delle centrali di committenza, privando conseguentemente queste ultime della possibilità di un finanziamento computato in percentuale sull’ammontare maggiore o minore degli acquisti; una tale lettura della norma porrebbe, infatti, gli oneri di progettazione e di espletamento delle gare a carico esclusivo del bilancio regionale, che si giova peraltro a tal fine dei correlati flussi finanziari da parte dello Stato.

D’altra parte se l’interesse pubblico da perseguire prioritariamente è quello del contenimento della spesa, oltre alla sua razionalizzazione, al vuoto normativo derivante dal mancato, formale richiamo di "meccanismi di remunerazione della spesa sugli acquisti da effettuare a carico dell’aggiudicatario", non può che supplire l’interprete, potendosi ipotizzare la voluntas legis di mantenere l’identica ratio normativa: ossia che identiche centrali di committenza, destinate a operare tramite la stipula di convenzioni o di accordiquadro o di altre procedure concorsuali, trovino la stessa disciplina sul piano del recupero dei ridetti costi di progettazione e di espletamento delle gare, senza pregiudizio per il bilancio delle Regioni, analogamente a quanto avviene per lo Stato.

Se dunque lo strumento individuato dalla legge può e deve apparire unitario sul territorio nazionale del tutto indipendentemente dagli acquisti effettuati per le Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e dalle Regioni o da più Regioni insieme per quelli regionali a diversa conclusione deve pervenirsi quanto all’individuazione dell’autorità preposta a stabilire quale debba essere di volta in volta in quest’ultima sede il "meccanismo di remunerazione" da porre a carico delle imprese che partecipino alle gare, attesa la peculiare natura di tale ultima previsione.

Ne discende che l’individuazione del Ministro dell’economia e delle finanze di concerto con quello per le riforme e le innovazioni della pubblica amministrazione – contenuta nel comma 453 dell’art. 1 – quale autorità preposta a regolare con proprio decreto il recupero in discorso, non può che significare che anche in sede regionale debba replicarsi l’identico modello.

Ne consegue, pertanto, che l’istituzione della Centrale acquisti in sede regionale non può essere legittimamente associata al prelievo a titolo di "transaction fee" sul fondamento di un mero provvedimento dirigenziale e, quindi, di un atto inidoneo a determinare una diretta imputazione della decisione ad organi di governo dell’Ente investiti di responsabilità politica.

Per tale ragione la prodotta censura va dunque accolta.

Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente censura la lex specialis di gara rilevando l’indeterminatezza dei quantitativi di prodotto oggetto della fornitura.

In altri termini, si lamenta la mancata previsione della possibilità, da parte dell’impresa concorrente, di sciogliersi dal vincolo contrattuale o di ottenere una rinegoziazione del prezzo nel caso in cui la fornitura del prodotto, ragguagliata alle effettive esigenze terapeutiche, si riveli inferiore di oltre un quinto rispetto ai quantitativi preventivati in sede di gara.

Tale possibilità sarebbe prevista unicamente con riferimento ad eventuali aumenti delle prestazioni contrattuali richieste senza alcuna corrispondente previsione in caso di diminuzione in analoga percentuale e, quindi, senza alcun vincolo o minimo garantito.

Ne deriva che i concorrenti sarebbero tenuti a formulare un prezzo destinato a rimanere invariato per tutta la durata del rapporto senza avere alcuna garanzia circa il quantitativo minimo di prodotti che dovranno fornire, stante la natura meramente indicativa dei fabbisogni complessivi presunti specificati dalla disciplina di gara (art. 1.1 del disciplinare di gara e art. 1 del capitolato tecnico): sarebbe in tal modo violato l’art. 11 che, stante l’identità della ratio, contempla l’istituto sia in caso di aumento che in caso di diminuzione del fabbisogno.

La censura è infondata.

Le contestate disposizioni, che peraltro replicano disposizioni di legge (di cui all’art. 26, comma 1, della L. n. 488/1999 ribadita dall’art. 1, comma 4, lett. a) della L.r. n. 33/2007) sono riferite alla convenzione quadro, mentre lo specifico profilo qui dedotto, ovvero le quantità che costituiranno oggetto della fornitura appaltata, saranno disciplinate dalle convenzioni che verranno stipulate fra le Imprese aggiudicatarie e le singole strutture del Sistema Sanitario regionale.

L’infondatezza della tesi della ricorrente è dimostrata dallo schema di convenzione predisposto dalla Stazione appaltante che, all’art. 3 punto 6, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, stabilisce che "relativamente a ciascun Contratto di Fornitura, l’ente Contraente ha facoltà di richiedere al Fornitore, nel periodo di efficacia del contratto medesimo, la riduzione delle prestazioni contrattuali fino alla concorrenza di 1/5 (un quinto) dell’Importo della Fornitura, ai sensi dell’art. 11 del R.D. 18/11/1923, n. 2440"

L’istituto del cosiddetto "quinto d’obbligo", pertanto, una volta stipulate le convenzioni con gli Enti interessati, troverà applicazione anche in ipotesi di riduzione dei quantitativi concordati.

La circostanza che in sede di predisposizione della disciplina di gara non siano specificati "tetti minimi" è conseguenza, come certamente noto agli operatori di settore, dell’oggettiva impossibilità di determinare ex ante il fabbisogno di ogni singola struttura.

Con il sesto motivo di ricorso viene denunciato sotto altro aspetto l’art. 3 dello schema di convenzione in quanto introdurrebbe un ulteriore elemento di indeterminatezza laddove precisa che "le attività, forniture e servizi oggetto della Convenzione e dei singoli contratti di forniture non sono affidate al Fornitore in esclusiva e, pertanto, gli Enti Contraenti… potranno affidare, in tutto o in parte, le stesse attività, forniture e servizi anche a soggetti terzi diversi dal medesimo fornitore".

La clausola consentirebbe alla Stazione appaltante di eludere la disciplina di evidenza pubblica procedendo ad affidamenti in deroga alle risultanze concorsuali affidando segmenti di fornitura a soggetti estranei alla gara o, addirittura partecipanti non risultati aggiudicatari che, una volta conosciute le offerte delle concorrenti affidatarie, potrebbero offrire condizioni migliorative.

La censura è infondata.

L’interesse azionato dalla ricorrente è per questo aspetto tutelato in via immediata dalla legge che impone il ricorso allo strumento della convenzione.

La precisazione (che nel contesto di una gara riservata ad operatori di settore con consolidata presenza nel mercato di riferimento, altro non fa che richiamare una facoltà implicita della Stazione appaltante) è imposta dalla necessità di rispettare il principio di continuità terapeutica e di libertà di prescrizione medica e, pertanto, è ristretta ad ipotesi assolutamente eccezionali quali (a titolo esemplificativo) carenze di produzioni o ritardi negli approvvigionamenti che potrebbero determinare la sospensione delle terapie in atto, eventuali prescrizioni dei medici rivolta ad altro farmaco non prodotto dall’aggiudicataria o all’eventualità di entrata in commercio di nuovi farmaci.

Si tratta all’evidenza di possibilità di scelta che, stante il rilievo delle posizioni coinvolte, in alcun caso potrebbe essere incisa dalla legge di gara o da qualsiasi altra fonte anche di rango superiore.

Con il settimo motivo sono stati dedotti ulteriori profili di illegittimità dello schema di convenzione, ove sarebberp imposti oneri gravosi ai concorrenti quali l’accettazione di vincoli ed obblighi aggiuntivi, creando un evidente squilibrio di oneri e diritti.

In primo luogo (7.1) si censura l’art. 15 nella parte in cui prevede, in caso di ritardo nella consegna, l’applicazione di una penale pari al 3% del valore "della fornitura oggetto dell’inadempimento", elevabile al 5% in caso di consegna richiesta con priorità, per ogni giorno lavorativo, salvo il maggior danno "ovvero pari a 100 Euro per ogni giorno di ritardo nella consegna del materiale per il Sito e/o della reportistica o ancora pari a 50 Euro per ogni giorno di ritardo nella comunicazione di determinate informazioni".

A norma dell’art. 17 l’applicazione di dette penali potrebbe costituire anche causa di risoluzione del contratto in caso di applicazione di penali per importi complessivi superiori al 10% del fatturato.

Il dedotto mezzo è infondato.

La rilevanza degli interessi coinvolti legittima, infatti, la previsione, da parte della Stazione appaltante, di meccanismi di autotutela sul piano contrattuale a fronte di qualsiasi forma di inadempimento con il solo limite del rispetto dei canoni di ragionevolezza e proporzionalità, rettamente applicabili anche nell’area della riserva amministrativa.

Nel caso di specie alcuna violazione dei citati parametri è rinvenibile nell’operato della Stazione appaltante, che ha ancorato l’applicazione delle contestate penali, peraltro in misura che appare congrua, al verificarsi di eventi di obiettiva gravità (ritardi, difformità di prodotto, gravi inosservanze della disciplina convenzionale in tema di consegna o assistenza, pluralità di reclami).

In secondo luogo sono stati censurati gli artt. 3 e 12 dello schema di convenzione e degli artt. 2.3 e 3.4 del capitolato tecnico (7.2), deducendo che introdurrebbero uno squilibrio economico determinato dalle ivi previste prestazioni aggiuntive, quali il trasporto e la consegna dei farmaci, la gestione dei resi e dell’indisponibilità, l’assistenza alla fornitura, l’elaborazione di report specifici previsti dalla convenzione e la fornitura di tutti i dispositivi per la somministrazione, nonché l’assistenza alla fornitura mediante call center, un responsabile della fornitura e un collaboratore scientifico.

La censura deve essere disattesa, essendo agevole replicare che le ridette modalità di prestazione della fornitura di cui alla convenzione con le singole strutture sanitarie od ospedaliere integrano modalità capaci di rendere costantemente trasparente l’invio dei farmaci con possibilità di avere di volta in volta referenti cui rivolgersi senza alcuna opacità nello svolgimento del rapporto contrattuale: vale ricordare, infatti, che nella specie si tratta di forniture di tutto rilievo nel territorio regionale, per cui l’onere finanziario aggiuntivo indotto dal necessario rispetto delle viste prescrizioni ben potrà essere oggetto di analisi da parte delle aziende produttrici e trasferito sui prezzi offerti sulla base di un normale meccanismo di traslazione dei costi.

Analoghe argomentazioni valgono per respingere la dedotta illegittimità degli art. 17 e 18 dello schema di convenzione (7.3) nella parte in cui consentirebbero la risoluzione del contratto in presenza di condizioni e presupposti non chiaramente determinati, lasciati alla arbitraria volontà della stazione appaltante "ovvero comunque eccessivamente rigorosi per giustificare la risoluzione e/o recesso dal contratto": anche sotto questo profilo, invero, le graduate sanzioni ivi previste appaiono ben intelligibili da parte delle imprese e segnalano loro l’obiettiva rilevanza della puntuale, tempestiva consegna dei farmaci, il che appare strumento di governo delle prestazioni nella piena trasparenza dei reciproci diritti e obblighi vigenti tra le parti.

Con un ultimo ordine di doglianze (7.4) è stata denunciata l’illegittimità dell’art. 5.3 del disciplinare di gara nella parte in cui prevede che la Stazione appaltante si riserva di non procedere ad aggiudicazione in caso di offerta ritenuta non conveniente.

Anche questa censura è egualmente infondata in quanto la clausola contestata, sotto un primo profilo, recepisce una facoltà riconosciuta dall’art. 81, comma 3, del D.Lgs. n. 163/2006, che consente "di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto del contratto"; sotto altro profilo, è espressione di un generale potere di ritiro di atti pregressi che non siano pervenuti all’auspicata conclusione, il che non potrà che avvenire tramite l’adozione di un provvedimento ad hoc impugnabile davanti al giudice amministrativo.

Va comunque rilevato al riguardo che la dedotta inapplicabilità della norma in questione alle gare aggiudicate mediante il criterio del prezzo più basso non trova riscontro nel dato normativo (tanto che il comma 1 dell’art. 81 le menziona al pari di quelle aggiudicate mediante il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa); ne deriva che la concreta lesività di un’ipotetica applicazione della clausola non potrà dunque che essere valutata in relazione alle modalità di esercizio del potere e, in particolare, alla motivazione dell’eventuale provvedimento di non aggiudicazione.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto in parte e, in particolare, con riferimento al primo motivo di ricorso avente ad oggetto la "transaction fee".

Le spese, stante la reciproca soccombenza, sono compensate.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei termini di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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