T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 18-05-2011, n. 1279 Motivazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto Progr. 230/2009, la società esponente presentava al Comune di Milano denuncia di inizio attività (DIA), ex art. 41 LR 12/2005, per interventi di sopralzo di un edificio condominale esistente, sito in via Ripamonti 184, per ricavare due piani ad uso residenziale e due piccoli laboratori ad uso artigianale.

Al termine dell’istruttoria e dopo richieste di documentazione integrativa da parte dell’Amministrazione, quest’ultima, con atto in data 25.3.2010, ordinava la sospensione dei lavori e contestualmente dava avviso dell’avvio del procedimento finalizzato all’annullamento del titolo abilitativo formatosi a seguito della citata DIA.

Contro il suddetto atto era proposto il gravame principale, con domanda di sospensiva, per i motivi che possono così essere sintetizzati:

1) violazione di legge con riferimento all’art. 23 del DPR 380/2001 e dell’art. 42 della LR 12/2005, del principio di tipicità e nominatività del provvedimento amministrativo ed eccesso di potere per sviamento rispetto alla causa tipica del provvedimento;

2) violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, dei principi di nominatività e tipicità dei provvedimenti amministrativi ed eccesso di potere per difetto di motivazione;

3) violazione dell’art. 21 quater della legge 241/1990;

4) eccesso di potere per illogicità e perplessità;

5) violazione dell’art. 1 della legge 241/1990 con riferimento al principio di proporzionalità e lealtà, eccesso di potere per illogicità e perplessità;

6) violazione di legge con riferimento al disposto dell’art. 42 della legge regionale 12/2005 e dell’art. 27 e seguenti del DPR 380/2001, all’art. 3 della legge 241/1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione;

7) violazione di legge con riferimento all’art. 1 della legge 241/1990 con riferimento al principio di tutela del legittimo affidamento;

8) violazione di legge con riferimento all’art. 21 nonies della legge 241/1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione.

Si costituiva in giudizio il Comune di Milano, concludendo per la reiezione del gravame.

In esito all’udienza cautelare del 23.6.2010, l’istanza di sospensione era respinta, per difetto del periculum in mora, con ordinanza n. 626/2010.

Con successivo provvedimento datato 22.9.2010, il Comune di Milano disponeva l’annullamento in autotutela del titolo abilitativo formatosi a seguito della presentazione della DIA del 16.1.2009 di cui è causa.

Contro tale atto di autotutela, era proposto ricorso per motivi aggiunti, con ulteriore richiesta di misura cautelare, per i motivi così sintetizzabili:

1) violazione di legge con riferimento all’art. 21 nonies della legge 241/1990;

2) ulteriore violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, dell’art. 3 della legge 241/1990 ed eccesso di potere per difetto di motivazione, travisamento ed illogicità;

3) eccesso di potere per illogicità, violazione di legge con riferimento alle sanzioni di cui al DPR 380/2001 ed in particolare all’art. 37, eccesso di potere per difetto di motivazione ed illogicità derivata;

4) violazione di legge con riferimento all’art. 38 del DPR 380/2001;

5) violazione di legge con riferimento agli articoli 7 e 10 della legge 241/1990 ed eccesso di potere per contraddittorietà.

All’udienza in camera di consiglio del 13.1.2011, fissata per la discussione della domanda cautelare sui motivi aggiunti, la sospensiva era rinviata al merito.

Alla successiva pubblica udienza del 5 maggio 2011, la causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1 Con il ricorso principale, l’atto comunale del 25.3.2010 è impugnato nella sola parte in cui contiene l’ordine di sospensione dei lavori seguiti alla DIA del 16.1.2009.

Sotto tale profilo, il gravame deve reputarsi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione (ai sensi dell’art. 35 comma 1°, lett. c del D.Lgs. 104/2010, codice del processo amministrativo), visto che l’ordine di sospensione dei lavori ha ormai perso efficacia, per scadenza del termine massimo di legge, fissato in quarantacinque giorni dall’art. 27, comma 3°, del DPR 380/2001, come del resto già evidenziato nell’ordinanza cautelare n. 626/2010.

Permane, invece, l’interesse alla decisione dei motivi aggiunti di ricorso, proposti contro il provvedimento di annullamento in autotutela del titolo edilizio.

2.1 Con il primo motivo aggiunto, la società ricorrente lamenta la violazione, da parte del Comune di Milano, dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, articolo relativo all’annullamento d’ufficio dei provvedimenti amministrativi.

Attraverso la determinazione gravata con i motivi aggiunti, infatti, l’Amministrazione locale ha disposto, in autotutela e richiamando appunto il citato art. 21 nonies, l’annullamento del titolo abilitativo formatosi a seguito della presentazione della DIA del 16.1.2009.

Il Comune ha dato pertanto applicazione all’art. 19 della legge 241/1990, nel testo vigente prima delle modifiche introdotte con il D.L. 78/2010, in forza del quale la presentazione della denuncia di inizio attività non precludeva alle Amministrazioni l’esercizio del potere di autotutela ai sensi del più volte richiamato art. 21 nonies.

Nel caso di specie, il Comune (cfr. doc. 2 della ricorrente depositato il 21.12.2010 oppure il doc. 11 del resistente), ha ravvisato numerosi profili di illegittimità del titolo formatosi a seguito della DIA, fra cui, in particolare, la violazione dell’art. 41 sexies della legge 1150/1942, articolo secondo il quale, nelle nuove costruzioni, devono essere reperiti apposti spazi a parcheggio nella misura di 1 metro quadrato ogni 10 metri cubi di costruzione.

L’insufficiente dotazione di parcheggi, continua il provvedimento impugnato, oltre ad assurgere a motivo di illegittimità del titolo edilizio, costituisce anche la "ragione di pubblico interesse", che a norma dell’art. 21 nonies comma 1°, giustifica l’esercizio del potere di autotutela; in quanto, perlomeno a detta dell’Amministrazione, la dotazione minima di parcheggi appare essenziale per garantire l’ordinato assetto del territorio e per soddisfare le esigenze di traffico e di mobilità, di importanza rilevante in una città come Milano (cfr. ancora il doc.11 del resistente).

L’esponente contesta la valutazione svolta dal Comune, sostenendo in primo luogo di avere perfettamente rispettato, nella nuova edificazione, il rapporto di 1mq/1mc, previsto dalla legge 1150/1942.

In particolare (cfr. pag. 6 dei motivi aggiunti e tabella allegata al doc. 4 della ricorrente depositato il 21.12.2010), a fronte di un volume in progetto di 981,16 metri cubi, la dotazione minima di parcheggi sarebbe pari a 98,12 metri quadrati (981,16: 10), così reperiti:

– box di proprietà della ricorrente posti al piano terra, 42,82 metri quadrati,

– posti auto ricavabili dall’area scoperta esterna (parte comune dell’edificio ex art. 1117 del codice civile), 52,134 metri quadrati;

– posti ricavabili da un’area di manovra (anch’essa parte comune), 81,37 metri quadrati.

In pratica, come spiegato dettagliatamente nelle memorie difensive finali, l’esponente, al di là dei box di sua esclusiva proprietà (pari a 42,82 mq), pretenderebbe di ricavare posti auto, per garantire la dotazione minima di legge, da spazi comuni del condominio e questo in base alla considerazione che, essendo la società ricorrente condomino con 605/1000 quote millesimali, gli spazi comuni sopra indicati (cortile condominiale al piano terreno e area di manovra al piano interrato), potrebbero essere utilizzati come posti auto da M. Srl nella misura pari alle quote millesimali di condominio (605/1000 ovverossia 60,5 per cento).

A sostengo della propria pretesa, la ricorrente richiama giurisprudenza civile che, a suo dire, riconoscerebbe la legittimità dell’uso del cortile comune per la sosta di autovetture, oltre a giurisprudenza amministrativa che consente, al fine del reperimento dello standard minimo di parcheggi, l’utilizzo di aree pertinenziali esterne all’edificio (si veda, ad esempio, TAR Campania, Salerno, sez. II, 7.4.2003, n. 243 o anche, più recentemente, TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 19.4.2011, n. 208).

La tesi della ricorrente non può trovare accoglimento.

Per quanto riguarda la giurisprudenza amministrativa da ultimo citata, che il Collegio conosce e condivide, il riferimento alla stessa non appare assolutamente rilevante nel caso di specie, visto che nella presente controversia non è in discussione la realizzazione di parcheggi su aree esterne all’edificio, bensì l’utilizzo di aree condominiali interne al fabbricato per realizzare la dotazione minima di parcheggi.

A tale ultimo proposito, non può condividersi l’argomentazione difensiva attorea, per la quale il cortile condominiale sarebbe normalmente utilizzabile quale area di parcheggio per gli autoveicoli dei condomini.

Sull’uso del cortile, in mancanza di previsioni specifiche del regolamento condominiale o di deliberazioni assembleari sul punto, non può che applicarsi la generale previsione dell’art. 1102 del codice civile, per la quale ogni partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, "purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso", tenuto conto che lo stesso partecipante "non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti" (sul divieto di estensione del diritto del singolo in danno degli altri comproprietari, si veda Cassazione civile, sez. II, 7.3.2011, n. 5385).

Nel caso di specie, la realizzazione sul cortile condominiale di veri e propri posti auto per parcheggio, aventi natura stabile nel tempo e caratterizzati dalla continuità nell’utilizzo (essendo permanentemente a "servizio" delle nuove costruzioni), finirebbe per sottrarre definitivamente all’uso comune la maggior parte delle aree condominiali interessate (60,5 per cento, come già sopra ricordato), ponendosi così in contrasto con l’art. 1102 citato e rischiando altresì di porre le premesse per una eventuale usucapione di parte del cortile condominiale a vantaggio di un singolo condominio.

L’esponente non ha, peraltro, prodotto alcun documento dal quale possa desumersi il consenso degli altri condomini alla realizzazione di posti auto nel cortile comune; al contrario risulta dalla produzione documentale di parte resistente, l’opposizione del Condominio all’intervento edilizio della società ricorrente (cfr. docc. 3 e 4 del Comune, vale a dire le lettere dell’Amministratore e del legale del Condominio di contrarietà alla realizzazione delle opere di cui è causa).

Quanto alla giurisprudenza civile sull’uso del cortile condominiale per parcheggio, la stessa (compresa quella citata da parte ricorrente, vale a dire Cassazione civile n. 13879/2010 e 2255/2000), ritiene compatibile con la previsione dell’art. 1102 c.c. il solo parcheggio temporaneo o sporadico di autovetture nel cortile comune, ma non certo la realizzazione permanente di posti auto nel medesimo, come nel caso di specie, visto che il rispetto del rapporto di cui alla legge 1150/1942 implica necessariamente il reperimento di spazi e l’occupazione in via esclusiva e permanente del cortile comune con le autovetture (cfr. Cassazione civile, sez. II, 21.1.2009, n. 1547 e 24.2.2004, n. 3640 e, fra le corti di merito, Tribunale di Bari, sez. III, 29.10.2009, n. 3237; Tribunale di Ariano Irpino, 4.11.2008 e Tribunale di Roma, sez. XII, 10.6.2002).

In conclusione, la pretesa della società esponente di ricavare posti auto da spazi condominiali è infondata, per cui gli unici parcheggi realmente reperiti sono quelli di proprietà, pari a 42,82 metri quadrati (cfr. doc. 7 della ricorrente depositato il 25.3.2011), quindi in misura ben inferiore al rapporto minimo di 98,12 metri quadrati, rapporto ammesso dalla stessa ricorrente.

Ciò premesso, risulta di conseguenza corretta l’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato, per il quale la verifica della dotazione minima di parcheggi è stata effettuata dalla società tenendo conto di parcheggi "di proprietà di terzi" (l’espressione non è felicissima sul piano tecnicogiuridico, tuttavia dal provvedimento e dalle relazioni istruttorie richiamate, si comprende la correttezza dell’argomentazione dell’Amministrazione).

La palese insufficienza della dotazione minima di parcheggi ben può assurgere a motivo di autotutela amministrativa, visto che tale mancanza finisce per porsi in contrasto con una pluralità di interessi pubblici, da reputarsi prevalenti, non solo di tipo prettamente urbanistico in quanto relativi all’ordinato uso del territorio ma anche concernenti la corretta regolamentazione del traffico e l’ordinata mobilità urbana; interessi, come ovvio, di vitale importanza in una città come Milano (si ricordi che la giurisprudenza esclude che la Pubblica Amministrazione possa autorizzare nuove costruzioni in mancanza della misura minima di parcheggi di cui al citato art. 41 sexies; cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10.12.2010, n. 8706 e Cassazione civile, sez. II, 13.1.2010, n. 378).

Neppure potrebbe sostenersi che l’intervento in autotutela sia avvenuto dopo un termine non ragionevole: infatti, a fronte della DIA del 16.1.2009 ed alla comunicazione di inizio lavori del 31.8.2009 (cfr. doc. 6 della ricorrente depositato il 14.6.2010), sono state più volte chieste dagli uffici integrazioni istruttorie, non ritenendosi esaustiva la documentazione depositata dalla società, che non poteva quindi vantare alcun ragionevole affidamento sulla legittimità della propria condotta.

Il primo motivo aggiunto deve pertanto rigettarsi.

2.2 Nel secondo motivo aggiunto, viene lamentata ancora la violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990 e dell’art. 3 della legge 241/1990, con riguardo ai vari punti del provvedimento impugnato, nei quali sono indicate le varie ipotesi di illegittimità riscontrate dal Comune in relazione al titolo abilitativo formatosi sulla DIA del 2009.

Sul punto, occorre premettere che il provvedimento di autotutela è fondato in effetti su una pluralità di motivi, autonomi fra loro, fra i quali assume particolare rilevanza quello relativo alla mancanza della dotazione minima di parcheggi ai sensi dell’art. 41 sexies della legge 1150/1942, motivo che è stato diffusamente trattato al punto 2.1 della presenta narrativa in diritto, nel quale il Tribunale ha concluso per la fondatezza del rilievo comunale e di conseguenza per la reiezione della specifica censura mossa dalla ricorrente.

Ciò premesso, non può che richiamarsi il pacifico indirizzo giurisprudenziale per il quale, in caso di un provvedimento amministrativo basato su più motivi autonomi, ciascuno dei quali idoneo a darne giustificazione, appare sufficiente che sia verificata la legittimità di uno solo per escludere l’annullamento del provvedimento in sede giurisdizionale (cfr. fra le tante, TAR Lazio, sez. II quater, 6.12.2010, n. 35404).

Di conseguenza, non appare dubbio che il passaggio motivazionale del provvedimento attinente alla mancanza di dotazione minima di parcheggi assurga a ragione giustificatrice autonoma del provvedimento stesso (anzi, la circostanza è stata addotta anche a sostegno dell’esercizio del potere di autotutela), sicché la legittimità dell’argomentazione comunale sul punto esclude ogni invalidità del provvedimento impugnato.

Deve pertanto rigettarsi anche il secondo motivo aggiunto.

2.3 Con il terzo motivo aggiunto, viene denunciata la presunta illegittimità dell’ordine di ripristino, contenuta nel provvedimento impugnato, oltre alla violazione dell’art. 37 del DPR 380/2001.

Il mezzo è infondato, in quanto le opere oggetto della DIA del 16.1.2009, costituiscono senza dubbio interventi soggetti a permesso di costruire o meglio, visto l’art. 41 comma 1° della legge regionale della Lombardia n. 12/2005 (che consente la sostanziale piena alternatività fra permesso di costruire e denuncia di inizio attività), soggetti a DIA alternativa a permesso di costruire, ai sensi dell’art. 22 comma 3° del DPR 380/2001.

La società esponente era ben consapevole di tale qualificazione, visto che la stessa DIA del 16.1.2009 reca l’espressa indicazione di "ex regime concessorio" (cfr. doc. 1 del resistente) e tenuto altresì conto che attraverso l’intervento si volevano realizzare due piani ad uso residenziale con 9 nuove unità immobiliari, oltre a due laboratori ad uso artigianale (cfr. il citato doc. 1, pag. 4), ed appare ovvio che tale complessa operazione edilizia era volta alla edificazione di una "nuova costruzione", ai sensi dell’art. 22, comma 3°, sopra menzionato.

Ciò premesso, l’art. 37 del DPR 380/2001 risulta inapplicabile nella presente fattispecie, tenuto conto che il medesimo riguarda le ipotesi di DIA di cui ai commi 1° e 2° del DPR 380/2001, vale a dire le ipotesi di denuncia di inizio attività non alternativa al permesso di costruire, mentre, giova ricordarlo, le opere di cui è causa rientrano nel terzo comma del citato art. 22 del Testo Unico dell’edilizia.

Di conseguenza, una volta accertata l’illegittimità del titolo formatosi sulla DIA di cui è causa, altro non poteva il Comune che disporne l’annullamento ed ordinare il ripristino della situazione preesistente agli interventi edilizi illegittimi.

Anche il terzo motivo aggiunto deve pertanto respingersi.

2.4 Nel quarto motivo aggiunto, si denuncia la presunta violazione dell’art. 38 del DPR 380/2001, norma in base alla quale, in caso di annullamento del permesso di costruire o di altro titolo edilizio, il Comune si limita ad applicare una sanzione pecuniaria, qualora non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino.

La censura è però priva di pregio, se si tiene conto del prevalente indirizzo giurisprudenziale per il quale l’art. 38 citato può trovare applicazione nel solo caso di annullamento di titoli edilizi per ragioni meramente formali e non sostanziali, giacché l’annullamento del titolo, al pari del resto della sua mancanza originaria (cfr. per tale ipotesi l’art. 31 del DPR 380/2001), non può che determinare, quale ordinaria conseguenza, la sanzione reale del ripristino dello stato dei luoghi, quale strumento per garantire il rispetto della legalità in materia edilizia e urbanistica (si veda, per la corretta esegesi dell’art. 38 del Testo Unico, la fondamentale sentenza del TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 10.9.2010, n. 17398, con la copiosa giurisprudenza ivi richiamata).

Nel caso di specie, l’annullamento è fondato sul dato sostanziale della mancanza della dotazione minima di parcheggi, senza contare che la stessa ricorrente, nella propria memoria ex art. 10 della legge 241/1990 (cfr. doc. 10 del resistente), non ha addotto concreti e seri elementi fattuali per l’eventuale applicazione del citato art. 38.

2.5 Nel quinto ed ultimo motivo aggiunto, si lamenta la violazione sia dell’art. 7 sia dell’art. 10 della legge 241/1990.

Anche tale censura è infondata, visto che attraverso la lettura sia del provvedimento impugnato sia dei rapporti istruttori degli uffici tecnici comunali, l’esponente è stata posta nelle condizioni di conoscere le ragioni tecniche e giuridiche poste alla base del provvedimento impugnato, ragioni che costituiscono altresì replica alla propria memoria difensiva del 23.4.2010, depositata nel procedimento amministrativo (cfr. doc. 10 del Comune).

Sul punto, preme ancora ricordare che, secondo la giurisprudenza amministrativa, l’obbligo di esame delle memorie procedimentali non impone una analitica confutazione in merito ad ogni argomento utilizzato dalle parti, essendo sufficiente che l’iter motivazionale renda nella sostanza percepibile la ragione del mancato adeguamento dell’azione amministrativa alle deduzioni difensive del privato, circostanza questa verificatasi nel caso di specie (vedesi Consiglio di Stato, sez. V, n. 7472/2010 e sez. VI, n. 1439/2010).

In ogni caso e fermo restando quanto sopra esposto, nel caso di specie può trovare agevole applicazione l’art. 21 octies comma 2° della legge 241/1990, avendo l’Amministrazione dato prova che il contenuto del provvedimento non poteva essere diverso da quello in concreto adottato.

3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti,

– dichiara il ricorso principale improcedibile;

– respinge il ricorso per motivi aggiunti.

Condanna la società ricorrente al pagamento a favore del Comune di Milano delle spese di causa, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge (IVA e CPA).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *