T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 18-05-2011, n. 911 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

verbale;
Svolgimento del processo

Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 20 febbraio 2009 e depositato il successivo 24 febbraio, il sig. G.M. chiedeva l’annullamento, previa misura cautelare, del decreto con il quale la Prefettura di Lucca aveva respinto l’istanza presentata nel suo interesse dal titolare dell’Istituto Vigilanza Privata F. spa per il rilascio del decreto di guardia particolare giurata e della relativa licenza di porto di pistola a tassa ridotta, richiamando a fondamento due note, del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Lucca e della Questura di Lucca, in cui era espresso parere sfavorevole al rilascio dei titoli in questione in quanto l’interessato non possedeva il requisito soggettivo della buona condotta per non aver tenuto, nel corso degli ultimi anni, un comportamento irreprensibile e immune da pregiudizi, con frequentazione di persone pericolose per la sicurezza pubblica che incidevano sul requisito dell’affidabilità, indispensabile per i titolari di delicate autorizzazioni di polizia.

Il ricorrente, lamentava, in sintesi, quanto segue.

"1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3, legge 241/90; eccesso di potere per difetto di motivazione; criticità della motivazione per relationem; omissione dei documenti de ralatis. Carenza di istruttoria".

I pareri sfavorevoli erano solo richiamati ma non allegati, non consentendo così di comprendere la motivazione sostanziale del provvedimento e di svolgere un corretto contraddittorio procedimentale.

"1bis) In via incidentale: sull’illegittimità del diniego all’accesso. Violazione/falsa applicazione dell’art. 3, c.1, lett. b, DM 415/94 e della legge n. 241/90. Istanza istruttoria".

L’accesso ai documenti era stato negato illegittimamente, in quanto gli atti, pur essendo in generale non ostensibili, dovevano essere uniti a provvedimenti soggetti a pubblicità e comunicazione diretta all’interessato.

Comunque, la motivazione era insufficiente ed illogica perché non richiamava il contenuto preciso dei pareri negativi degli organi di P.G.

"2) Violazione art. 3, legge n. 241/90: secondo profilo. Eccesso di potere per illogicità e genericità della motivazione. Violazione del principio di uguaglianza ( art. 3 Cost.) e delle libertà fondamentali)".

Il giudizio secondo il quale il ricorrente aveva avuto frequentazioni pericolose era meramente soggettivistico e privo dell’indicazione degli elementi certi su cui si era fondato, in base all’attualità del comportamento quale elemento decisivo nella valutazione della buona (e non più ottima) condotta, secondo la conclusione originata dalla sentenza della Corte Costituzionale in argomento n. 311 del 1996 e ribadita in molti arresti giurisprudenziali.

"3) Violazione/falsa applicazione della legge (articolo 138 TULPS)".

Il pretendere una condotta irreprensibile ed immune da pregiudizi equivaleva a reintrodurre il requisito dell’ottima condotta invece non più ritenuto attuale dal Giudice delle Leggi.

"4) Violazione art. 3, legge n. 241/90. Eccesso di potere per difetto di motivazione; insufficienza, illogictà, contraddittorietà della motivazione; contraddittorietà tra atti. Violazione del principio di uguaglianza ( art. 3 Cost.) e delle libertà fondamentali. Violazione dell’art. 97 Cost.".

Il provvedimento impugnato non teneva conto che il ricorrente aveva già lavorato per diverso tempo e in tempi recenti quale guardia particolare giurata, con regolare decreto prefettizio di riconoscimento e conseguente licenza di porto pistola, del 2005 e del 2007, per cui non si comprendeva come, a fronte del rilascio in questione, si riteneva il ricorrente non più in grado di svolgere il medesimo lavoro per assenza dei requisiti soggettivi richiesti, senza indicare i fatti specifici che avrebbero portato al drastico mutamento di giudizio. Inoltre, il ricorrente era stato costretto a riconsegnare la licenza nel 2008 dopo avere concluso un rapporto di lavoro a tempo determinato con altra impresa del settore, salva restituzione al bisogno invece non consentita, obbligando il nuovo datore di lavoro a ricominciare da capo l’"iter" per il rilascio. Né si rinvenivano nel frattempo particolari precedenti penali, se non una sentenza di assoluzione in seguito a opposizione di decreto penale di condanna per fatti risalenti al 2002.

"Violazione/falsa applicazione legge n. 241/90; violazione del principio del giusto procedimento"

Non era stato tenuto in alcun conto l’apporto procedimentale del ricorrente, liquidato con formula di mero stile, senza che, per questo, sia comunque richiedibile a carico dell’interessato l’onere della prova del requisito della buona condotta.

Il ricorrente chiudeva la sua esposizione chiedendo il risarcimento del danno legato alla mancata assunzione presso l’impresa richiedente.

Si costituivano in giudizio le amministrazioni indicate in epigrafe, chiedendo la reiezione del ricorso.

La fase istruttoria era integrata con le due ordinanze indicate in epigrafe e il ricorrente depositava una memoria, ad ulteriore illustrazione delle sue tesi.

Con l’ordinanza cautelare pure sopra indicata, questa Sezione accoglieva la domanda cautelare, ai fini del riesame della fattispecie.

Non ottemperando l’amministrazione in termini solleciti, il ricorrente notificava istanza di esecuzione, ex art. 21, comma 14, l.n. 1034/71, rilevando che erano decorsi 90 giorni dal provvedimento cautelare e dalla conoscenza dello stesso da parte dell’amministrazione.

Previa intimazione a provvedere o a comunicare l’eventuale adozione di nuovo provvedimento di cui all’ordinanza collegiale delle Sezione Terza di questo Tribunale in composizione feriale in epigrafe indicata, il Ministero dell’Interno depositava un’ulteriore memoria, ove specificava di avere revocato il provvedimento di diniego impugnato dopo nuova istruttoria, chiedendo la dichiarazione di cessazione della materia del contendere mentre il ricorrente depositava un’ulteriore memoria in cui contestava la conclusione relativa alla cessata materia del contendere, dovendo l’amministrazione dare luogo non solo alla revoca del provvedimento impugnato ma anche all’adozione di un provvedimento conclusivo del procedimento avviato.

Questa Sezione, con l’ordinanza collegiale del 4 settembre 2009 sopra indicata, accoglieva la domanda di esecuzione dell’ordinanza e l’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento iniziato a seguito dell’istanza di rilascio del decreto prefettizio in questione.

In prossimità dell’udienza pubblica, il ricorrente depositava una memoria riassuntiva ove dava atto che solo con nota dell’8 ottobre 2009 la Prefettura aveva comunicato il nulla osta al rilascio dei predetti titoli di polizia ma lamentava che il ritardo aveva avuto conseguenze dirette sul rapporto con l’Istituto di Vigilanza richiedente, che dal 31 agosto 2009 aveva comunicato che non intendeva più procedere alla sua assunzione.

Il ritardo con il quale l’amministrazione aveva proceduto – precisava inoltre il ricorrente – aveva dato luogo ad un danno diretto nei suoi confronti, come tale risarcibile perché legato a comportamento colposo dell’amministrazione e quantificabile in un anno di retribuzioni perse, secondo il contratto che avrebbe sottoscritto con l’Impresa richiedente il decreto per suo conto, considerando 14 mensilità e TFR pari a 15.000,00 euro, oltre 2.000,00 euro a titolo di costo di riscatto a fini contributivi di un anno di lavoro, oltre danno morale e all’immagine nonché rimborso delle spese sostenute.

Alla pubblica udienza del 17 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione e in tale occasione il difensore del ricorrente specificava ulteriormente l’entità del risarcimento richiesto a vario titolo..

Dopo tale data e la relativa camera di consiglio del Collegio, nelle more della redazione della presente sentenza, risulta depositata, in data 2 marzo 2011, una memoria da parte delle amministrazioni costituite, di cui, però, il Collegio non può avere tenuto conto per evidente tardività del deposito, avvenuto successivamente al passaggio in decisione della causa alla pubblica udienza e alla camera di consiglio relativa.
Motivi della decisione

Il Collegio rileva che, con nota del 30 luglio 2009, depositata in giudizio il 10 agosto 2009, il Dirigente dell’Area I della Prefettura di Lucca comunicava a questo Tribunale che in seguito all’esito cautelare in cui si imponeva un riesame all’Amministrazione era stata avviata nuova istruttoria, il cui esito non aveva "…fornito, a sostegno delle motivazioni già formulate nel provvedimento in parola, elementi più specifici o circostanze di fatto tali da far ritenere il M. attualmente capace di abusi dei titoli di polizia richiesti. Sulla scorta di quanto sopra, questa Prefettura ha provveduto ad adottare, in data 29/07/2009, un provvedimento, che si allega in copia, di revoca del decreto prefettizio oggetto del ricorso".

Alla luce della disposta revoca del provvedimento impugnato, quindi, il Collegio dichiara cessata la materia del contendere in relazione alla domanda di annullamento del decreto prefettizio n. 2885/16B Pol. Amm.va datato 28 gennaio 2009.

Poichè tale revoca è intervenuta solo dopo la proposizione del ricorso e la pronuncia cautelare di questa Sezione e la motivazione della stessa fa riferimento all’assenza di elementi più specifici o circostanze di fatto – derivanti da nuova istruttoria di riesame delle motivazioni già formulate nel provvedimento impugnato – tali da far ritenere il ricorrente attualmente capace di abusi del titolo di polizia, le spese del giudizio, sotto tale profilo, devono essere poste a carico dell’Amministrazione resistente e sono liquidate come da dispositivo.

In relazione alla domanda di risarcimento del danno, il Collegio rileva quanto segue.

La circostanza per la quale il provvedimento impugnato con il ricorso sia stato revocato in corso di causa non è di ostacolo ad una pronuncia sulla domanda risarcitoria conseguente all’annullamento richiesto, ritualmente proposta con il ricorso e integrata in corso di causa sui profili legati al "quantum", dato che il ricorrente ha precisato sin dal ricorso introduttivo di ritenersi leso in ordine alla perdita dell’occasione lavorativa sorta a suo favore, legata alla richiesta dell’Impresa F. che aveva presentato per suo conto l’istanza poi rigettata, e che tale parametro doveva essere esteso qualora, anche a seguito del rilascio del decreto, per cause imputabili al ritardo nello stesso, la medesima F. avesse ritenuto di non procedere ad assunzione per esserne venuta meno la disponibilità o l’interesse, circostanza questa poi effettivamente manifestatasi, come risulta dagli atti del giudizio secondo cui la F. comunicava alla Prefettura di Lucca con nota del 31 agosto 2009 di non voler più procedere all’assunzione del ricorrente.

Tale nota, pur non prodotta in giudizio, risulta esplicitamente richiamata in una nota prefettizia del 7 ottobre 2009, depositata in atti dal ricorrente e non contestata dall’Avvocatura erariale, per cui non si ritiene necessario ordinarne l’acquisizione con ulteriore ordinanza istruttoria, come prospettato in via subordinata dal ricorrente nella sua ultima memoria

In sostanza, il Collegio rileva che in data 31 agosto 2009 la F. comunicava che non intendeva procedere all’assunzione del sig. M. in quanto l’organico attualmente in forza alla filiale era più che sufficiente per gestire tutti i servizi.

Se, quindi, risulta "per tabulas"che in data 26 agosto 2008 – di presentazione da parte del rappresentante legale della F. spa dell’istanza di concessione dell’attestato di idoneità per poter assumere quale guardia particolare giurata il ricorrente non appena in possesso del necessario decreto prefettizio e del nulla osta dell’Ufficio Provinciale del Lavoro competente – la suddetta società voleva assumere il sig. M. e che in data 31 agosto 2009 tale interesse non era più evidenziato, ne consegue che il diniego, prima, e il ritardo nel riconoscere il nulla osta al rilascio dei richiesti titoli di polizia, ritenuto conclusivo del procedimento in presenza della manifestazione di non interesse all’assunzione da parte della F. spa ora ricordata, poi, hanno causato direttamente un danno al sig. M. consistente nella perdita dell’occasione di lavoro in questione, fissata in un contratto di lavoro a tempo determinato di un anno.

Al fine di accogliere la domanda risarcitoria in questione, è necessario, quindi, anche ai sensi dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm., dapprima dare luogo ad un giudizio prognostico di accertamento dell’illegittimità dell’impugnato diniego e poi verificare se le ragioni del ritardo nel concludere il procedimento fossero giustificabili in base a motivi non direttamente ascrivibili all’Amministrazione procedente, dato che una pronuncia di ordine meramente processuale in relazione alla domanda di annullamento, sia essa di sopravvenuta carenza di interesse o di cessata materia del contendere, non osta al fine di esprimere un giudizio (prognostico) circa l’accoglimento della medesima, al fine di valutare la fondatezza della richiesta di risarcimento del danno qualora proposta contestualmente alla domanda di annullamento in questione (Cons. Stato, Sez. V, 6.12.10, n. 8549 e 8550; TAR Lazio, Sez. I quater, 2.12.10, n. 35027).

Chiarito ciò, in merito all’illegittimità del diniego, il Collegio conferma l’orientamento già espresso in sede cautelare.

L’impugnato diniego, infatti, si fonda sul richiamo a due note, del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, e della Questura di Lucca, contenenti parere sfavorevole al rilascio dei titoli richiesti. Acquisite in giudizio tali note – già illegittimamente, per quanto dedotto con i primi due motivi di ricorso, negate al ricorrente in sede di domanda di accesso in quanto atti formanti motivazione "per relationem" che, se non allegata, quantomeno deve sempre essere messa a disposizione del diretto interessato nell’ipotesi di incidenza negativa sulla sua sfera giuridica – il Collegio ha rilevato che, per quel che riguardava la nota della Questura di Lucca, in essa si richiamava la circostanza per la quale al ricorrente era stato negato il rilascio della licenza di porto di fucile per tiro a volo in quanto non risultava aver tenuto una condotta assolutamente irreprensibile ed immune da rimproveri.

Per quel che riguardava invece la nota del Comando Provinciale dei Carabinieri risultava che il ricorrente era stato gravato da pregiudizi penali per violazione delle norme sull’Ispettorato del lavoro e favoreggiamento per permanenza di clandestino o irregolare, senza indicazione specifica di eventuali sentenze di condanna e a quale titolo, che era stato genericamente controllato in compagnia di soggetti censurati penalmente, che era stato invitato a presentarsi, nel 1995, agli uffici del P.M. del Tribunale di Lucca per un tentativo di conciliazione in ordine ad una querela per ingiuria e minaccia, che era stato segnalato, nel 2002, all’A.G. a seguito di querela per lesioni personali e minacce, anche qui senza indicazione di eventuali procedimenti penali conseguenti, e che, nel 2008 era stata a lui negato il rilascio della licenza sopra ricordata.

Emerge quindi che la Prefettura ha fondato il suo giudizio negativo su tali note che la inducevano a ritenere – come affermato nel provvedimento impugnato – che il ricorrente non aveva tenuto nel corso degli ultimi anni un comportamento irreprensibile e immune da pregiudizi, con frequentazioni di persone pericolose per la sicurezza pubblica che incidono sul requisito dell’affidabilità.

In merito il Collegio osserva, però, che la nota dell’Arma dei Carabinieri faceva riferimento a circostanze o non precisate nel tempo o risalenti al 1995 e al 2002. Inoltre, non risulta valutato dai Carabinieri – e conseguentemente dalla Prefettura di Lucca – che per la violazione delle norme sull’ispettorato del lavoro vi era stato un decreto di condanna poi opposto con giudizio terminato con assoluzione del ricorrente nel 2006, precedentemente all’adozione del provvedimento impugnato e della nota stessa dei Carabinieri. Non si comprende da quali elementi, quindi, l’Amministrazione abbia desunto che la condotta in questione fosse idonea ad un giudizio negativo di affidabilità e individuabile "nel corso degli ultimi anni".

Si rammenta, in argomento, che la Corte costituzionale, con sentenza 1825 luglio 1996, n. 311, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 138, primo comma, numero 5, nella parte in cui, stabilendo i requisiti che devono possedere le guardie particolari giurate: a) consente di valutare la condotta "politica" dell’aspirante; b) richiede una condotta morale "ottima" anziché "buona"; c) consente di valutare la condotta "morale" per aspetti non incidenti sull’attuale attitudine ed affidabilità dell’aspirante ad esercitare le relative funzioni.

In sostanza, richiedendo un comportamento irreprensibile, ritenuto violato dalla mera frequentazione di persone pericolose per la sicurezza pubblica (che in una nota esplicativa del 2009 lo stesso Comando dei Carabinieri ha specificato come riconducibile anche al lontano 2001), l’Amministrazione ha preteso dal ricorrente una condotta "ottima" anziché buona e, fondandosi su episodi risalenti al 1995 e al 2002, non ha valutato l’attualità dell’attitudine, proprio in contrasto con le conclusioni della Corte Costituzionale per una corretta interpretazione dell’art. 138 del TULPS.

Anche il mero richiamo al diniego dell’istanza di licenza di porto di fucile per uso tiro a volo operato dalla Questura di Lucca non integra legittimamente la motivazione, in quanto tale diniego, secondo la relativa copia depositata in giudizio, si è fondato su episodi del 1993, del 1995, del 2002 e del 2003, inidonei ad accertare, in assenza di specifica motivazione, l’attualità della non attitudine ed affidabilità in questione.

Sotto tale profilo, quindi, si palesa la violazione dell’art. 138 TULPS, ai sensi di quanto lamentato dal ricorrente con il terzo motivo di ricorso.

A ciò si aggiunga che se questi erano gli unici presupposti per fondare il diniego, questa Sezione in sede cautelare aveva rilevato anche che l’Amministrazione procedente non aveva tenuto conto della circostanza per la quale al ricorrente erano stati comunque rilasciati, anche dopo gli episodi richiamati dal Comando dell’Arma dei Carabinieri e dalla Questura di Lucca, decreti di nomina a guardia particolare giurata, di cui l’ultimo, pur ancora vigente, era stato riconsegnato dall’interessato all’atto della conclusione del precedente rapporto di lavoro.

L’Amministrazione, quindi, non poteva limitarsi a richiamare i pareri negativi espressi da altre Autorità di P.S. ma, nell’ambito della propria discrezionalità, riconosciuta dall’art. 138, comma 3, TULPS, doveva considerare tale presupposto e motivare di conseguenza, ove riteneva tali precedenti riconoscimenti come non più idonei ad una pronuncia in senso positivo.

Sotto tale specifico profilo, perciò, appare fondato anche quanto dedotto con il quarto motivo di ricorso in ordine a carenza di motivazione e istruttoria.

In sostanza, l’Amministrazione prefettizia, nel pronunciarsi ai sensi dell’art. 138 TULPS, gode di discrezionalità piena e non può limitarsi a recepire i pareri negativi delle Amministrazioni di P.S., non essendone vincolata anche in caso di conclusione positiva, soprattutto in presenza di specifiche circostanze, come quelle del caso di specie, in cui tali giudizi negativi si basano su elementi generici e lontani nel tempo.

Tale conclusione è stata – d’altronde – confermata dalla stessa Prefettura di Lucca nel corso del giudizio, ove, dando luogo alla revisione del procedimento e a nuova istruttoria, ha affermato che, in effetti, l’esito della stessa non aveva fornito, a sostegno delle formulazioni già contenute nel provvedimento impugnato, elementi più specifici o circostanze di fatto tali da far ritenere il ricorrente "attualmente" capace di abusi dei titoli di polizia richiesti.

Se l’Amministrazione avesse quindi svolto tale attività istruttoria, "attualizzando" il giudizio discrezionale a lei proprio, avrebbe rilasciato il titolo richiesto, come in effetti fatto solo dopo molti mesi, in seguito alla pronuncia cautelare di questa Sezione e a diversi solleciti in sede di relativa esecuzione.

Da ciò consegue, perciò, che il provvedimento impugnato con il ricorso era illegittimo per i motivi sopra chiariti.

In relazione al ritardo con il quale l’Amministrazione ha provveduto a riesaminare la posizione del ricorrente, il Collegio osserva quanto segue.

Dopo la pronuncia dell’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 271/09 del 3 aprile 2009 che invitava l’Amministrazione ad un riesame della fattispecie, seguiva l’immediata trasmissione del provvedimento cautelare da parte del (legale del) ricorrente, in data 6 aprile 2009. L’istruttoria risultava genericamente avviata in data 22 aprile 2009, come comunicato dalla Prefettura, ma non risultava ancora conclusa alla data dell’8 giugno 2009, tanto che in data 8 luglio 2009 il ricorrente notificava istanza di esecuzione ex art. 21, comma 4, l.n. 1034/71 allora in vigore. Questo Tribunale, con ordinanza n. 120/09 del 29 luglio 2009, chiedeva chiarimenti in ordine alla nuova motivazione che l’Amministrazione doveva integrare ma quest’ultima, con nota del 30 luglio 2009, specificava di avere provveduto solo alla revoca del decreto prefettizio impugnato, costringendo il ricorrente ad insistere nel chiedere, in sede di esecuzione, che l’Amministrazione concludesse esplicitamente il procedimento adottando un nuovo provvedimento in conseguenza della fase istruttoria rinnovata, come confermato anche da questa Sezione con l’ulteriore ordinanza n. 677/09 del 4 settembre 2009. Solo con la nota del 7 ottobre 2009 la Prefettura comunicava di aver espresso il nulla osta al rilascio dei richiesti titoli di polizia, anche se ammetteva che la F. spa aveva comunicato a sua volta, con nota del 31 agosto 2009, di non intendere procedere all’assunzione del ricorrente.

Sotto il profilo legato alla concatenazione degli eventi, quindi, il Collegio rileva che il ritardo con il quale la Prefettura di Lucca ha provveduto a revocare il provvedimento impugnato e, soprattutto, a concludere il procedimento con diversa motivazione non trova il conforto di elementi giustificativi, dato che la nuova fase istruttoria, per quanto depositato in giudizio, è consistita nella mera richiesta di nuove informazioni alle Autorità di P.S. che si erano già pronunciate.

In argomento, si evidenzia che la giurisprudenza ha chiarito che la richiesta di accertamento del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole dopo l’annullamento di un precedente atto illegittimo sfavorevole, se da un altro deve essere ricondotta al danno da lesione d’interessi legittimi pretesivi per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere dall’altro (per il principio dell’atipicità dell’illecito civile) costituisce una fattispecie di natura del tutto specifica e peculiare, riconducibile all’art. 2043 Cod. civ., per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità; pertanto, l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono presumersi "juris tantum" in relazione al ritardo, ma, ai sensi dell’art. 2697 Cod. civ., il danneggiato deve provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda, quali colpa della P.A., evento dannoso e nesso di causalità (Cons. Stato, Sez. V, 6.7.10, n. 4312).

In relazione al primo elemento della condotta colposa, il Collegio ritiene di individuarlo, per quanto evidenziato in precedenza, nell’assenza di elementi idonei a giustificare il consistente ritardo con cui l’Amministrazione ha atteso per dare luogo alla conclusione del procedimento, pur sapendo che la richiesta del rilascio dei titoli in questione provenivano da un impresa del settore che, evidentemente, necessitava immediatamente, all’epoca, di personale qualificato proprio in virtù di tale rilascio. In tal caso opera il principio secondo cui la valutazione della colpa della Pubblica Amministrazione, intesa come apparato, è configurabile qualora l’adozione del provvedimento illegittimo, lesivo dell’interesse del danneggiato, sia avvenuta in violazione delle regole della imparzialità, di correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione pubblica, costituenti, dunque, il limite esterno della discrezionalità, come tale sindacabile (TAR Puglia, Le, 2.9.10, n. 1890).

In relazione al nesso causale, al Collegio pare evidente anche la sua sussistenza, dato che la F. spa, nelle more, non ha più considerato la possibilità di assunzione per il tempo trascorso.

Come già evidenziato in precedenza, infatti, se risulta "per tabulas"che in data 26 agosto 2008 – di presentazione da parte del rappresentante legale della F. spa dell’istanza di concessione dell’attestato di idoneità per poter assumere quale guardia particolare giurata il ricorrente non appena in possesso del necessario decreto prefettizio e del nulla osta dell’Ufficio Provinciale del Lavoro competente – la suddetta società voleva assumere il sig. M. e che in data 31 agosto 2009 tale interesse non era più evidenziato, ne consegue che il diniego, prima, e il ritardo nel riconoscere il nulla osta al rilascio dei richiesti titoli di polizia, poi, hanno causato direttamente un danno al sig. M., consistente nella perdita dell’occasione di lavoro in questione, fissata in un contratto di lavoro a tempo determinato di un anno.

Resta quindi da accertare l’entità del risarcimento del relativo danno patito dal ricorrente.

Quest’ultimo quantifica la sua domanda in euro 15.000,00, considerando un anno di retribuzioni perse, comprese 14 mensilità e liquidazione TFR, in euro 2.000,00, quale costo del riscatto a fini contributivi, in euro 10.000,00 a titolo di danno all’immagine lavorativa e perdita di altre "chance" di lavoro, per un totale di euro 27.000,00 come anche ribadito alla pubblica udienza.

In merito il Collegio osserva quanto segue.

In relazione alla domanda relativa ai 15.000,00 euro per mancata quota di retribuzione, si rileva, però, che la corresponsione integrale della retribuzione può essere riconosciuta solo se il ricorrente fosse stato già assunto e poi allontanato dal servizio a causa del provvedimento amministrativo giudicato poi illegittimo, secondo la conclusione pacifica della giurisprudenza in materia di impiego pubblico – che il Collegio ritiene di richiamare per applicazione analogica al caso di specie – secondo la quale i pubblici dipendenti hanno diritto all’integrale "restitutio in integrum", ai fini sia giuridici che economici, soltanto nei casi di annullamento giurisdizionale degli atti che abbiano determinato l’illegittimo allontanamento dal servizio e per le retribuzioni non percepite dai dipendenti pubblici nel periodo anteriore all’effettiva immissione in servizio, con la conseguenza che, nel caso di decorrenza retroattiva del rapporto di lavoro con conseguente inizio della corrispondente prestazione di servizio solo successivamente, l’Amministrazione non è tenuta alla corresponsione del pieno trattamento economico, che spetta soltanto allorché vi sia una effettiva prestazione del servizio in base ad atto costitutivo del rapporto d’impiego secondo il principio del rispetto della sinallagmaticità (C.G.A.R.S., 13.12.10, n. 1474; Cons. Stato, Sez. V, 23.3.04, n. 1529 e Sez. IV, 6.10.03, n. 5825).

In sostanza, per il caso di specie, il Collegio ritiene di applicare la conclusione giurisprudenziale secondo la quale, nel caso di riconoscimento in sede giurisdizionale dell’illegittimità del diniego o del ritardo nella costituzione del rapporto d’impiego, il dipendente è legittimato ad esperire azione per il risarcimento del danno subito, che va commisurato a una somma corrispondente alla retribuzione, comprensiva della quota di trattamento di fine rapporto che sarebbe maturata a favore dell’interessato se fosse stato regolarmente assunto, oltre al valore delle contribuzioni previdenziali obbligatorie, ma detratti eventuali proventi di altre attività lavorative svolte nel periodo di riferimento e sul totale così determinato apportando in via equitativa una ulteriore detrazione del 50%, dovendosi ritenere che l’interessato ha impugnato le proprie energie non a favore dell’Amministrazione, ma per la cura di interessi familiari, culturali e di svago (Cons. Stato, Sez. VI, 7.5.10, n. 2672; 26.11.08 n. 5822, 29.10.08 n. 5413 e 25.7.06 n. 4639).

In sostanza, nel caso di risarcimento del danno derivante da ritardata assunzione, l’ammontare del risarcimento per il periodo decorrente dalla data in cui sussisteva il diritto all’assunzione va commisurato al totale delle retribuzioni e del valore delle contribuzioni previdenziali non percepite a causa del ritardo, calcolati sulla base della normativa all’epoca vigente, detratte le somme fruite per eventuali attività altrimenti svolte. La somma così risultante va poi ridotta in via equitativa in misura pari al 50 %, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2056, comma 1 e 2, e 1226 c.c., posto che l’interessato, nelle more della decisione del ricorso, non ha dovuto impegnare le proprie energie lavorative per l’Amministrazione, rivolgendole alla cura di altri interessi. Sulle somme predette vanno inoltre computati, nei limiti di legge, interessi e rivalutazione monetaria, calcolati dalle singole scadenze mensili delle retribuzioni che sarebbero state corrisposte all’interessato (C.G.A.R.S., 20.4.07 n. 361; T.A.R. Sicilia, Ct, Sez. III, 22.12.09, n. 2187 e Sez. IV, 23.5.08 n. 950).

Applicando quindi tali principi, il Collegio ritiene che possa liquidarsi equitativamente al ricorrente il danno per perdita dell’occasione lavorativa specifica – sulla base della somma da lui rappresentata di euro 15.000 – la somma di euro 5.000,00, quale 50% della somma di euro 10.000,00, considerata idonea, in quanto il ricorrente non ha dimostrato di non avere svolto alcuna attività lavorativa nel periodo. Non può darsi luogo alla liquidazione della voce relativa al riscatto di un anno a fini contributivi proprio perché il ricorrente non ha svolto la sua prestazione, secondo quanto evidenziato in precedenza.

In relazione alla lamentata lesione all’immagine lavorativa nel settore di riferimento della vigilanza privata, il Collegio riconosce parzialmente tale voce di danno, dato che la pronuncia cautelare, trasmessa prontamente alla F. spa dal ricorrente come emerge dalla documentazione depositata in giudizio, ha posto subito un limite alla diffusione della motivazione del provvedimento negativo. Visto che, comunque, l’interessato ha comunque subito un pregiudizio diretto, di immagine, che è conseguenza dell’illegittimo operato dell’Amministrazione, pertanto, può essere risarcito con liquidazione equitativa ai sensi degli artt. 1226 e 2056 Cod. civ., non potendo essere tale pregiudizio provato nel suo preciso ammontare (TAR Lazio, Sez. III, 8.9.10, n. 32139; TAR Sicilia, Ct, Sez.III, 22.12.09, n. 2187).

Per tale danno il Collegio ritiene equo liquidare la somma di euro 5.000,00. Su tale somma così liquidata, poiché si tratta di debito di valore, deve essere progressivamente effettuata la rivalutazione dalla data di adozione del provvedimento impugnato a quella di pronuncia dell’ordinanza cautelare di questa Sezione, cui aggiungere gli interessi legali fino al deposito della presente sentenza. Dalla data di deposito e fino al soddisfo, trattandosi di debito di valuta, dovranno essere corrisposti i soli interessi legali su entrambe le somme liquidate.

In conclusione, la domanda risarcitoria deve essere accolta con le modalità e nei termini di cui sopra.

Come detto, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

In virtù dell’accertamento di una condotta colposa dell’Amministrazione prefettizia di Lucca nel ritardo con cui ha provveduto, il Collegio dispone la trasmissione del fascicolo di causa alla Procura Regionale della Corte dei Conti per la Toscana al fine di valutare l’eventualità di un danno erariale.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

1) dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda di annullamento;

2) accoglie la domanda risarcitoria nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna il Ministero dell’Interno alla corresponsione nei confronti del ricorrente a tale titolo della complessiva somma di euro 10.000,00 oltre accessori come indicati in motivazione;

3) condanna il Ministero dell’Interno a corrispondere al ricorrente anche le spese di lite, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge e quanto versato a titolo di contributo unificato.

Dispone che il fascicolo sia inviato alla Procura Regionale della Corte dei Conti per la Toscana.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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