Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-03-2011) 18-05-2011, n. 19619

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 19-7-2003 il GUP del Tribunale di Reggio Calabria, ad esito di giudizio abbreviato, assolveva D. G. e F.G. dall’omicidio di M. F., dal tentato omicidio di Z.F. e B. G., dai connessi reati in materia di armi (reati tutti commessi il (OMISSIS)) e da quello associativo di cui all’art. 416 bis c.p.. Tanto sull’esito, rispettivamente incerto e negativo, di due successive perizie foniche cui erano state sottoposte le intercettazioni ambientali eseguite a bordo dell’autovettura Fiat Brava di proprietà di D.D., già in corso, nell’ambito di altro procedimento, alla data del fatto.

Su appello del PM distrettuale, la Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 13-11-2004, disposta ulteriore perizia fonica – collegiale – con l’ausilio di nuove tecniche e metodologie avanzate, riconosceva gli imputati responsabili dei reati di cui sopra e condannava D. alla pena dell’ergastolo, F. alla pena di anni trenta di reclusione. La corte d’assise d’appello riteneva accertata l’appartenenza a F. della voce di uno degli interlocutori delle conversazioni n. 908 e n. 972, a D. di quella di uno degli interlocutori della conversazione n. 862, stante l’attribuzione agli imputati delle relative voci tanto da parti dei periti, che in sede investigativa, attraverso il ed confronto uditivo.

Nella n. 862, captata alle ore 11,34 del giorno dell’omicidio, che sarebbe avvenuto nel pomeriggio, D.D., proprietario del veicolo, D.G. (zio P.) – ritenuto dai periti uno degli interlocutori – e F. – la cui voce era riconosciuta con il metodo empirico-, parlavano della consegna di una pistola, il giorno prima, a tale R. (ritenuto T. R., separatamente giudicato).

Dalla n. 908 delle ore 19,36 del (OMISSIS) – la sera dell’omicidio – F., indicato dai periti come uno degli interlocutori, risultava alla guida del mezzo, dal momento che D.D. gli impartiva indicazioni sulla strada da percorrere.

F. risultava alla guida pure l’indomani (n. 972 ore 17,23), quando D. gli diceva "Eh tu stai guidando, P.".

Anche tra gli interlocutori delle conversazioni 896, 899 e 901, intercettate il (OMISSIS) e non periziate per scarsa qualità del materiale, la corte di merito individuava F. sulla scorta del riconoscimento empirico.

Nella n. 896 D. chiedeva a P. (ritenuto F.) come mai avessero sbagliato e questi ammetteva l’errore in quanto non avrebbe dovuto essere ucciso M., bensì il grosso ( Z.).

In effetti l’uccisione del M. appariva frutto di errore, in quanto l’obiettivo dell’azione era verosimilmente rappresentato da Z. o B., appartenenti al clan Belcastro, antagonista di quello dei D..

La costante presenza di F. a bordo dell’autovettura che aveva trasportato il commando, veniva ritenuta prova della sua partecipazione alla spedizione, mentre la matrice mafiosa di essa dimostrava la sussistenza del reato associativo.

Con sentenza 23-6-2005 la prima sezione di questa corte annullava con rinvio la predetta decisione nei confronti di F. e D.G. in ordine ai reati di cui sopra, rilevando, quanto alla posizione F. ( D.G. è successivamente deceduto), vizio di motivazione sotto due profili.

1) La corte territoriale, con motivazione contraddittoria, aveva dato per certa l’attribuzione delle voci agli imputati nelle tre conversazioni ricordate, pur dando atto che uno dei periti, sentito in dibattimento, aveva dichiarato che non si poteva del tutto escludere la remota possibilità, in linea astratta, che tali voci appartenessero a persone diverse. Nè era stato approfondito il tema se tale possibilità potesse qualificarsi infinitesimale, e quindi puramente scolastica.

2) La corte, per altre intercettazioni, si era avvalsa dei riconoscimenti uditivi delle voci da parte degli ufficiali di PG, senza motivare sull’attendibilità di tali riconoscimenti, ancorchè in contrasto con gli esiti peritali.

La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza pronunciata in sede di rinvio il 16-2-2010, in riforma della sentenza assolutoria del GIP, dichiarava estinti per morte del reo i reati ascritti a D., dichiarava non doversi procedere nei confronti di F. in ordine al reato sub F (detenzione di munizioni) perchè estinto per prescrizione e lo condannava alla pena di anni trenta di reclusione per gli altri reati.

Sulla base di nuovo esame del perito fonico Za., la corte chiariva che il tipo di accertamento effettuato sulle intercettazioni fornisce risposte di tipo statistico. Aggiungeva che, nel caso di F., mentre non vi erano elementi per affermare che non si trattasse della sua voce, la probabilità di falsa identificazione era, in generale, pari a 1:600 (grazie anche alla velocità di articolazione – 7,70 battute al secondo -, tipica soltanto del 17% della popolazione), in realtà più bassa in quanto nei 600 era ricompresa la popolazione di tutto il mondo (quindi persone di entrambi i sessi, di qualunque età, e di qualunque dialetto), di fatto, nel caso in esame, bassissima, essendo il margine di errore da rapportare al "serbatoio" rappresentato dai frequentatori dell’autovettura di D.D., pari a 10/15 persone nell’arco dei circa sei mesi di intercettazioni.

A conferma dell’attendibilità del riconoscimento empirico delle voci da parte della polizia giudiziaria, la corte evidenziava tre elementi: a) il fatto che gli inquirenti conoscessero la voce di F. in quanto già intercettato nell’ambito di altro procedimento, nel quale la voce era stata abbinata alla sua persona sulla scorta del contenuto della conversazione (n. 79-81 del 7-3- 2000) in cui egli faceva riferimento al ritiro del porto d’armi al padre Pa., da parte dei CC. di G., episodio effettivamente verificatosi; b) la circostanza che l’uomo la cui voce era stata riconosciuta dalla PG in quella dell’imputato, veniva spesso chiamato dagli interlocutori P. (il nome di battesimo di F. è G.); c) il fatto che le tre conversazioni attribuite dai periti ai prevenuti, fossero state già ricondotte agli stessi dalla PG in base al metodo empirico del confronto uditivo. Il contenuto delle intercettazioni era sintetizzato come segue. N. 908 del 2 giugno ore 19,36: qualche ora dopo l’omicidio, F. (la cui voce è stata riconosciuta sia dal collegio peritale che con il metodo empirico) è alla guida della Fiat Brava ( D. gli da istruzioni sul percorso da seguire). N. 972 del 3 giugno ore 17.23:

il giorno dopo il fatto, F. (la cui voce è stata riconosciuta sia dal collegio peritale che con il metodo empirico) comunica all’interlocutore la sua intenzione di andare "puttaneggiando", quando, l’indomani, ci sarebbe stata la messa (probabilmente il funerale dell’ucciso), ma nel contempo la sua preoccupazione che i compaesani, dai quali si sente osservato in un certo modo, sospettino che egli abbia "fatto qualche cosa".

N. 862 del (OMISSIS), ore 11.34, precedente di alcune ore all’omicidio: è stata riconosciuta la voce di D.G. sia dai periti che dalla PG, e, per quanto quella di F. sia stata riconosciuta soltanto dalla PG con metodo empirico, la corte ha ritenuto attendibile tale ultima attribuzione in quanto non in contrasto con le risultanze peritali, che non hanno escluso l’attribuzione della voce all’imputato, ma hanno rilevato l’impossibilità del giudizio di comparazione in mancanza di almeno cinque campioni delle vocali a, e, i, o. In tale conversazione D. si rivolge all’autista chiamandolo P. (che non può essere D.G., in quanto questi è abitualmente chiamato "zio P." dal nipote D.) e il colloquio verte su tale R., cui il giorno prima è stata consegnata una pistola.

R., il probabile killer, è stato ritenuto identificarsi in T.R., controllato il giorno precedente a bordo di un’autovettura sulla quale si trovavano D. e D. T. e D.A..

La corte ha ritenuto quindi che F., il quale si trovava sull’autovettura di D. qualche ora dopo l’omicidio (conclusione corroborata dal riconoscimento peritale della sua voce), vi si trovasse anche la mattina e avesse parlato con D. della consegna delle armi al killer.

E che la vettura monitorata fosse quella usata dal commando, è stato ritenuto confermato dalla conversazione n. 888 del (OMISSIS) ore 16,36 (c.d. omicidio in diretta), immediatamente successiva alla sparatoria, in cui P. e R. si incitano a vicenda a scappare in quanto R. afferma di aver ammazzato per errore persona diversa dalla vittima designata. La circostanza che tra gli interlocutori di questa conversazione neppure la PG abbia riconosciuto F., è stata valorizzata dalla corte per riconoscere piena attendibilità alle altre attribuzioni della voce all’imputato da parte della stessa PG. Nella sentenza è stata poi citata una serie di conversazioni intercettate la sera del fatto, con attribuzione di una delle voci a F. in base al metodo esclusivamente empirico (ritenuto attendibile per le ragioni di cui sopra), a conferma della tesi della costante presenza dell’imputato a bordo dell’autovettura dei killer, e quindi della sua partecipazione sia alla fase preparatoria che a quella esecutiva dell’omicidio.

N.896 ore 18,28: D. chiede a P. come mai hanno sbagliato e questi risponde che ormai gli hanno sparato. D. chiede se qualcuno può averli visti e P. ipotizza che li abbiano visti i fratelli (forse di M.) N.898 18.33: F. afferma che P. (probabilmente B., feritosi durante la fuga per sottrarsi all’agguato) "è saltato sotto". N.899 18,54: F. e D. commentano "l’incidente mortuario" e F. si duole che quello "grosso" ( Z.) sia riuscito a salvarsi. N.907 19,53:

i predetti paventano possibili ritorsioni e parlano della possibilità di dotarsi di giubbotti antiproiettile.

N.912: D. afferma che, se si fosse avvicinato con la macchina piano piano, la vittima non sarebbe scappata.

N.926: F., D.D. e T. commentano le condizioni di salute di Z. e poi il primo manifesta al secondo il timore che di essere seguito da un’autovettura.

N.982: D. invita F. a consegnargli una calibro 7,65 ("dammilla a mia a setti") e i due paventano ritorsioni in quanto l’imputato ha saputo che vogliono ucciderlo.

N.988 del 3 giugno ore 20,13: P. descrive il comportamento tenuto dal killer.

Nella sentenza impugnata la prova della partecipazione al reato associativo, dal 13.7.2000 in poi, era tratta dai seguenti elementi:

a) esistenza dalla fine degli anni 70 di una cosca facente capo alla famiglia D’Agostino, confermata dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia intranei alla cosca stessa (sentenza del tribunale di Locri in data 11-4-1991, divenuta irrevocabile); b) spaccatura all’interno del gruppo e nascita di una nuova formazione con a capo B.G.; c) uccisione nel (OMISSIS) di D.A. a seguito della quale B. veniva sottoposto a fermo di PG; d) esistenza di una faida in corso tra i due schieramenti, in cui plausibilmente si inseriva l’omicidio oggetto del procedimento, cui era seguito, meno di un mese dopo, l’omicidio di D.D. e il ferimento di altri; e) partecipazione alla faida in supporto ad appartenenti alla cosca al fine della eliminazione di un avversario e quindi della realizzazione di un obiettivo proprio dell’associazione stessa.

Era negata la concessione di attenuanti generiche, pur in presenza di stato d’incensuratezza, per il pieno inserimento nel contesto criminale e lo stretto contatto con complici di rilevante spessore, nonchè per l’attitudine delinquenziale dimostrata attraverso la consegna delle armi al killer proveniente dal territorio messinese, e per l’insensibilità desumibile dall’affermazione che il giorno del funerale della vittima sarebbe andato a divertirsi.

Ha proposto ricorso per cassazione l’avv. Rosario Scarfò nell’interesse di F. affidandolo a tre motivi.

1) Il primo motivo, con cui si deducono violazione dell’art. 192 c.p.p.; mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, è articolato in due profili:

1a) Le intercettazioni non sono attribuibili a F. in quanto il giudizio espresso dai periti è di probabilità, non di certezza.

Il ricorrente assume permanenza della contraddittorietà di motivazione già rilevata dalla sentenza di annullamento di questa corte, e travisamento delle risultanze dibattimentali. Benchè anche nei chiarimenti il perito Z. avesse confermato che il suo era un giudizio di probabilità, non di certezza, e non avesse qualificato come infinitesimale la possibilità che la voce attribuita a F. non fosse sua, nondimeno la corte territoriale ha persistito nel ritenere il giudizio del perito come di certezza, pur evidenziando, contraddittoriamente, che si tratta di una valutazione statistica. Inoltre la corte, ricorrendo alla teoria del c.d. serbatoio, ha introdotto un dato extra processuale incontrollabile, quello della frequentazione dell’autovettura monitorata da parte di 10/15 persone, mentre il dato di comparazione del perito è rappresentato da una popolazione di 700.000 calabresi abitanti a Reggio Calabria, oltre quelli residenti in altre parti d’Italia. Senza contare che la mancata comparazione della voce attribuita al prevenuto con quella degli altri frequentatori dell’autovettura, fa sì che non si possa escludere che essa fosse simile a quella di alcuno di costoro.

1b) Il riconoscimento empirico non è attendibile. Quanto agli argomenti utilizzati dalla corte territoriale per sostenere l’attendibilità del riconoscimento empirico della voce di F. operato dalla PG, il ricorrente rileva in primo luogo travisamento di risultanze nel riferimento, nuovamente effettuato, ad altra indagine in cui la voce dell’imputato era stata riconosciuta in un’unica intercettazione, dalla quale quindi non poteva discendere la ritenuta dimestichezza del suo modo parlare da parte delle forze dell’ordine. Inoltre nelle intercettazioni erano risultati almeno altri due soggetti a nome P., onde il diminutivo, in assenza di qualunque altro dato investigativo, non riconduceva in modo certo all’imputato. La corte aveva poi ritenuto attendibile l’attribuzione empirica della voce sia quando i periti l’avevano esclusa, sia quando avevano ritenuto impossibile la comparazione, giungendo ad attribuire a F. le conversazioni 1041 e 1089, attribuite dai periti ad altro P., con caratteristiche foniche differenti. Inoltre la corte aveva ritenuto nuovamente di ravvisare la voce di F. nella conversazione 862 -nonostante i periti vi avessero riconosciuto soltanto quella di D.G. e avessero escluso che una delle altre potesse essere quella dell’imputato-, attribuendo il mancato riconoscimento peritale a difficoltà tecniche, mentre gli stessi periti avevano ritenuto il materiale idoneo a fini comparativi.

Contraddittoriamente la corte poi, esclusa la presenza di F. al momento dell’intercettazione dell’omicidio in diretta (888), ha tratto conferma dell’attendibilità della presenza di questi alle conversazioni precedenti e successive all’omicidio, proprio dal mancato riconoscimento della sua voce, da parte della PG, in quella conversazione.

Non sono stati quindi sanati i vizi di motivazione che avevano portato all’annullamento della precedente sentenza.

2) Mancanza di unidirezionalità in senso colpevolista delle trascrizioni, oggetto di plurime perizie e di diverse interpretazioni. Violazione dell’art. 192 c.p.p. e mancanza assoluta di motivazione per avere la corte territoriale ritenuto, ricorrendo ad un sillogismo, che, se F. era presente sull’autovettura di D.D. la mattina e la sera del fatto, lo era anche al momento del fatto stesso. In secondo luogo non si è tenuto conto che il contenuto delle intercettazioni, stante la loro cattiva qualità, non era unidirezionale, essendo stato soggetto a plurime interpretazioni, evidenziate nel ricorso con riferimento ad una serie di intercettazioni (in particolare alla n. 972), nel corso di ben cinque perizie (in particolare la conversazione n. 862 era stata posta dal GUP a sostegno dell’assoluzione, dalla corte territoriale a supporto della condanna).

3) Irragionevolezza della motivazione in ordine al reato associativo.

Mancata motivazione del diniego di attenuanti generiche.

La responsabilità per tale reato è stata desunta esclusivamente dalla partecipazione all’omicidio, ritenuto inserito nella c.d. faida di S. Ilario, senza tener conto che la partecipazione ad un reato fine non significa necessariamente partecipazione all’associazione, nè delle ragioni per le quali con altra decisione (sentenza 733/2003) F. era stato assolto da tale reato fino al 13-7- 2000, e dei motivi alla base dell’assoluzione da parte del GUP. Non sarebbe stato, infine, motivato in modo specifico il diniego delle generiche, a fronte dell’incensuratezza, del decorso di oltre dieci anni dal fatto, dell’allontanamento dal luogo di residenza, del travisamento del dato rappresentato dal riferimento, in una intercettazione, ad un funerale, che non sarebbe quello della vittima dell’omicidio, bensì di un parente dell’imputato.

Il 10.3.2011 il ricorrente ha depositato motivi nuovi con i quali, oltre a ribadire la persistenza dei vizi che avevano portato all’annullamento della precedente sentenza della corte territoriale, si chiede l’acquisizione della sentenza di questa sezione nei confronti di T.R., di annullamento senza rinvio della sentenza di merito che gli aveva inflitto l’ergastolo; si ribadisce che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, la conversazione n. 862 era stata ritenuta dai periti tecnicamente utilizzabile ed idonea alla comparazione e, ciononostante, ne era stata esclusa l’attribuibilità a F.; si sostiene che le poche intercettazioni esaminate, anche se attribuite alla voce di F. ed interpretate nel modo ritenuto dalla corte, sono comunque inidonee, per il loro contenuto e in assenza di qualunque altro elemento di prova, a fondare una sentenza di condanna, tenuto anche conto della certa non attribuibilità all’imputato della n. 888 (c.d. omicidio in diretta). Infatti la circostanza che la sentenza di annullamento con rinvio si sia arrestata alla questione preliminare dell’attribuzione della voce, non esonerava la corte territoriale dal motivare in punto di sufficienza degli elementi ai fini dell’affermazione di responsabilità.

Sul punto del reato associativo, si afferma che, in presenza di una contestazione chiusa (fino all’anno 2000), la condanna per il periodo successivo sarebbe stata consentita soltanto in presenza di una contestazione suppletiva, per contro mancata.
Motivi della decisione

1) Il primo motivo di ricorso è infondato sotto entrambi i profili prospettati.

1a) Contrariamente all’assunto del ricorrente, i chiarimenti forniti dal perito fonico Z. in sede di giudizio di rinvio, per quanto abbiano confermato che l’applicazione al riconoscimento delle voci delle metodologie linguistica e strumentale, fornisce risposte – e non potrebbe essere diversamente – di tipo statistico, consentono di ritenere, come correttamente osservato nella sentenza gravata, che nella specie l’attribuzione a F. delle voce di uno degli interlocutori delle due conversazioni successive ai fatti di causa (progr. nn. 908 e 972), presenta un margine di possibilità di errore talmente basso, da essere praticamente irrilevante. Infatti, premessa l’assenza di elementi contrari all’appartenenza della voce all’imputato, la corte di merito, sulla scorta appunto dei chiarimenti del perito, ha indicato la probabilità di falsa identificazione, se rapportata alla popolazione mondiale, come pari a 1:600 (grazie anche alla velocità di articolazione -7,70 battute al secondo-, tipica soltanto del 17% della popolazione), ma in realtà concretamente molto più bassa in quanto da correlare non solo agli abitanti e frequentatori di una piccola località, (OMISSIS), ma anche al "serbatoio", necessariamente ancora più ristretto, rappresentato dai frequentatori di un’autovettura, quella di D.D..

A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, è quindi logica e coerente la conclusione che il margine di errore sia nella fattispecie a tal punto contenuto, da costituire mera ipotesi astratta la possibilità che la voce non sia dell’imputato. l)b Quanto alla questione dell’attendibilità del riconoscimento empirico della voce di F., effettuato dalla PG con riferimento ad altre conversazioni intercettate, si osserva cha la valorizzazione a tal fine, da parte della corte di merito, della conversazione captata qualche mese prima nell’ambito di altra indagine (la n. 79-81 del 7-3-2000), è condivisibile non solo per la già intervenuta conoscenza della voce da parte degli addetti all’ascolto, ma anche per l’inconfutabilità dell’appartenenza di una delle voci di quella intercettazione a F., dato il chiaro riferimento ivi presente alla vicenda, effettivamente verificatasi (come neppure il ricorrente ha contestato), del ritiro del porto d’armi al padre P. da parte dei carabinieri di G..

Con la conseguenza che correttamente è stato basato anche su tale elemento il giudizio di attendibilità del riconoscimento della voce dell’imputato nel presente procedimento.

Il fatto poi che nelle captazioni risultino altri due " P.", non priva di attendibilità l’abbinamento a F. (il cui nome è G.) di tale diminutivo, posto che uno dei due " P." è D.G. – chiamato da D.D. "zio P." dato il loro rapporto di parentela (con conseguente impossibilità di confusione)-, mentre quello evocato in talune conversazioni è, verosimilmente, B.G., la probabile vittima designata, capo dei fuorusciti dal clan D’Agostino, salvatosi per l’errore del killer.

La decisione si sottrae, poi, alla censura del ricorrente secondo la quale la corte di merito avrebbe reputato attendibile l’attribuzione della voce all’imputato, effettuata con il metodo empirico, anche laddove i periti l’avevano esclusa o avevano ritenuto impossibile la comparazione. Invero le conversazioni ricordate a pag. 6, attribuite al prevenuto grazie al riconoscimento uditivo, non sono state sottoposte a perizia fonica, che ha riguardato soltanto – per la ritenuta inutilizzabilità di parte del materiale ai fini delle analisi comparative- le nn. 908 e 972, attribuite a F., e la n. 862, attribuita a D.G., nonchè le nn. 1041 e 1089 (v. stralcio della perizia, relativo a "risposta ai quesiti", allegato ai motivi nuovi depositati il 10-3-2011). Nessun giudizio di esclusione dell’attribuzione a F. è stato quindi formulato dai periti in ordine a tali conversazioni.

Quanto in particolare alla conversazione n. 862, nella quale il collegio peritale ha riconosciuto soltanto la voce di D. G., l’asserzione, contenuta in sentenza, circa l’impossibilità di comparazione di una delle altre voci con il saggio fonico rilasciato a suo tempo dal prevenuto – in assenza di almeno cinque campioni della vocali a, e, i, o-, non risulta smentita dall’assunto del ricorrente – ribadito nei motivi nuovi, ma non dimostrato dalle produzioni allegate-, secondo cui sarebbe stata invece esclusa la presenza di F. al colloquio sulla base di materiale idoneo alla comparazione. Neanche in questo caso, quindi, il riconoscimento empirico, basato sul raffronto uditivo, contrasta con il giudizio peritale, ferma restando la coincidenza dei due giudizi in ordine alle conversazioni 908 e 972, attribuite a F. tanto con il metodo empirico che attraverso le analisi strumentale e linguistica. Superfluo appare poi il richiamo del ricorrente alle conversazioni nn. 1041 e 1089, a suo dire attribuite dai periti ad altro P., con caratteristiche foniche differenti, in quanto non utilizzate in sentenza ai fini della decisione.

Infatti, quanto alla prima, la corte l’ha ritenuta non di interesse, non essendo stata neppure trascritta la parte attribuita dalla PG a F. (secondo i periti, la voce presenta alcune caratteristiche proprie della voce dell’imputato, mentre altre sono diverse; discordanza, secondo la corte, ascrivibile alla qualità e quantità del materiale a disposizione). La seconda, che il collegio peritale ha rilevato avere caratteristiche differenti da quella di F., non è stata attribuita a questi, ma a D. D..

Nessuna contraddittorietà è infine ravvisabile nell’avere la corte territoriale tratto conferma dell’attendibilità del metodo empirico, in relazione al riconoscimento di alcune conversazioni precedenti e successive all’omicidio, dalla mancata attribuzione a F., da parte della PG, di una delle voci dei partecipanti alla conversazione relativa al c.d. omicidio in diretta (n. 888), conclusione significativa di scrupolo da parte degli ascoltatori nell’applicazione del metodo empirico.

2) Non consentito è il secondo motivo di ricorso, da un lato perchè, secondo il costante orientamento di questa corte, è possibile prospettare un’interpretazione del contenuto delle intercettazioni, diversa da quella proposta dal giudice di merito, soltanto in presenza di travisamento della prova, cioè nel caso in cui ne sia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Cass. 38915/2007), dall’altro perchè l’aspetto dell’idoneità delle intercettazioni a fondare la pronuncia di responsabilità, è coperto dal giudicato, avendo la prima sezione di questa corte, in sede di annullamento con rinvio, stabilito la fondatezza dei ricorsi degli imputati limitatamente ai due profili della certezza dell’attribuzione peritale di tre conversazioni intercettate e dell’attendibilità del riconoscimento empirico delle voci.

Con la conseguenza che la questione prospettata, contrariamente a quanto sostenuto con i motivi nuovi, non può costituire oggetto di ulteriore esame. Senza contare, tuttavia, che la corte territoriale ha tratto dalle intercettazioni, con motivazione esauriente e congrua, la prova indiziaria del contributo di F. all’omicidio di M. e al tentato omicidio di B. e Z. (e ai connessi reati in materia di armi) sulla scorta delle seguenti evidenze: a) la presenza dell’imputato alla guida dell’autovettura, pacificamente utilizzata dal commando, soltanto qualche ora dopo i fatti (conversazione n. 908); b) la soddisfazione per l’impresa compiuta, manifestata l’indomani (conversazione n. 972) quando afferma l’intenzione di andare "puttaneggiando" allorchè, il giorno seguente, ci sarebbe stata la messa, nonostante si senta osservato con sospetto dai compaesani; c) la descrizione, possibile soltanto da parte di chi avesse avuto parte attiva nella vicenda, dei dettagli del fatto (comportamento del killer, errore di persona definito "incidente mortuario", possibilità di evitarlo) e delle possibili conseguenze di esso (puntualmente verificatesi, in quanto D.D., come ricordato nella sentenza gravata, sarebbe stato ucciso circa un mese dopo), contenuta nelle conversazioni nn. 896, 898, 899, 907, 912, 926, 982, 988; d) la partecipazione di F. alla consegna dell’arma al killer il giorno precedente (n. 862).

3) Quanto alla censura di irragionevolezza dell’affermazione di responsabilità per il reato associativo, va in primo luogo sgombrato il campo dall’assunto, sostenuto con i motivi nuovi – peraltro tardivamente presentati -, secondo cui, in presenza di contestazione chiusa (asseritamente fino all’anno 2000), la condanna per il periodo successivo (dal 13-7-2000 al 19-7-2003) sarebbe stata consentita soltanto in presenza di una contestazione suppletiva, per contro mancata.

Invero, il semplice esame dal capo A) d’imputazione evidenzia che la contestazione del tempus commissi delicti è, al contrario, aperta (tra il 1976 e la data odierna).

In secondo luogo, è inesatta l’affermazione secondo la quale la corte di merito avrebbe desunto la partecipazione di F. all’associazione soltanto dalla sua ritenuta partecipazione all’omicidio e reati connessi. Infatti, oltre a tale considerazione, d’indubbio rilievo essendo i fatti di sangue certamente inquadrabili nella c.d. faida di Santuario, come non contestato neppure dal ricorrente, nella sentenza di merito è stato evidenziato come F. abbia prestato supporto ad appartenenti alla cosca al fine della eliminazione di un avversario e quindi della realizzazione di un obiettivo dell’associazione stessa. Se si considera che proprio con gli esponenti di spicco della cosca, i D., l’imputato ha condiviso i momenti precedenti e successivi ai fatti, ivi compreso il delicato momento della consegna delle armi al killer, non potrà seriamente contestarsi la logicità e coerenza delle conclusioni raggiunte sul punto dalla corte di merito.

Del pari infondata la doglianza relativa alla mancata concessione di attenuanti generiche, congruamente motivata con il richiamo a tali ultimi elementi, oltre che con l’insensibilità dimostrata dal prevenuto nell’affermare che il giorno del funerale della vittima dell’agguato sarebbe andato a divertirsi (nè risulta in modo incontestabile che il funerale fosse invece quello di un parente, ipotesi tra l’altro del tutto illogica).

Inaccoglibile, infine, l’istanza formulata nei nuovi motivi, peraltro tardivi, di acquisizione della sentenza di annullamento senza rinvio emessa da questa corte nei confronti di T.R. in data 25-11-2010, sia perchè irrilevante, sia perchè comunque la sentenza, come riconosciuto dall’avv. Scarfò nella discussione orale, non è stata pubblicata.

All’infondatezza del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *