Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-09-2011, n. 19092 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. N.A.M. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Ancona, pubblicata il 20 febbraio 2007, che, in parziale accoglimento del gravame svolto da Poste italiane s.p.a., ha riformato la decisione di primo grado, respingendo la domanda per il riconoscimento dell’inquadramento nell’Area Quadri di 2A livello con condanna della N. alla restituzione di quanto ricevuto in ottemperanza alla decisione del primo giudice.

2. N., dipendente postale cessata dal servizio in data 23.5.2001, con inquadramento nell’area operativa, terza posizione retributiva, assumeva di aver espletato dal 16.6.1997 fino alla data del pensionamento mansioni superiori di cassiere (proprie della 7^ categoria di esercizio, poi ricompresa nell’area quadri di 2^ livello), presso l’ufficio postale di (OMISSIS), è ciò anche dopo la chiusura della sezione contabile, avendole il direttore dell’ufficio, con nota del 1.1.0.1998, confermato lo svolgimento di dette mansioni.

3. Il Tribunale accoglieva il ricorso, attribuendo alla dipendente la qualifica Q2 dal 1.4.1999. 4. La Corte d’appello non ha condiviso il ragionamento del primo giudice e a sostegno del decisum ha ritenuto:

– le mansioni di cassiere rientranti nell’area Quadri di 2^ livello alla stregua del ccnl di settore d 1994, posto che la N. era stata comandata per circa quattro mesi e mezzo, nel 1997, a sostituire la cassiera Q2 C., il che esimeva da ulteriori indagini sull’appartenenza delle relative mansioni all’area Quadri di 2^ livello, indipendentemente dalla circostanza che in prosieguo di tempo fosse stato eliminato il posto funzione del Q2 cassiere e le relative mansioni fossero state attribuite al direttore;

incontestata l’adibizione della dipendente all’espletamento di mansioni appartenenti alla superiore qualifica, non era risultata provata, per l’assegnazione definitiva alla qualifica superiore, l’assunzione della responsabilità diretta e l’esercizio dell’autonomia e dell’iniziativa proprie della rivendicata qualifica;

– le mansioni venivano espletate su delega del direttore, senza che alla N. fosse stata conferita l’autonomia caratterizzante la superiore qualifica; non svolgeva tali mansioni in via esclusiva, in quanto espletate anche da altri dipendenti; la firma degli atti della contabilità spettava al direttore che ne assumeva la paternità e ne era l’effettivo responsabile;

– la responsabilità della N., limitata agli eventuali ammanchi riconducibili alle sue materiali incombenze, non era diversa da quella di altri dipendenti che avessero maneggio di denaro, ne il maneggio di denaro caratterizzava le mansioni superiori essendo proprio di dipendenti pacificamente inquadrati nell’area operativa;

– infine, quanto alle differenze retributive, pacifico che N. aveva svolto le dedotte mansioni superiori, Poste avrebbe dovuto dimostrare, e non solo affermare, la corresponsione del relativo trattamento economico, ma, non avendo la dipendente espressamente riconosciuto tale circostanza, la stessa non poteva aversi per dimostrata.

5. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, N. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, illustrato con memoria. L’intimata ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

6. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 38 del CCNL per i dipendenti postali. Si censura la sentenza impugnata per aver escluso l’inquadramento nella qualifica superiore per effetto dei rilievi che le mansioni superiori venissero espletate su delega del sostituito, non venissero svolte con esclusività ed, infine, per la firma del direttore sulla contabilità. Si censura la sentenza impugnata per non aver considerato che le mansioni di cassiera svolte andavano comunque ricomprese nella qualifica di quadro di 2^ livello.

L’illustrazione del motivo si conclude con la richiesta alla corte di confermare la violazione, da parte della corte di merito, dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 38 ccnl laddove ha ritenuto di escludere la sussistenza dei presupposti per la promozione automatica nonostante l’esistenza di un formale incarico di cassiere conferito alla dipendente ed attribuendo esclusiva rilevanza a circostanze inidonee ad escludere la fondatezza della pretesa della dipendente, quali la non esclusività, l’insussistenza di responsabilità e di autonomia.

7. Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la corte ha negato il diritto all’inquadramento nella superiore qualifica.

8. Esaminati congiuntamente i motivi per la loro connessione logica, osserva la Corte che le censure, per violazione delle disposizioni contrattuali e per vizio di motivazione, investono il contratto collettivo nazionale di lavoro senza che risulti osservata la prescrizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), secondo cui, col ricorso per cassazione, devono essere depositati, a pena di improcedibilità, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda". 9. La disposizione ricomprende nel proprio ambito anche i contratti o accordi collettivi, a seguito della modifica ad essa apportata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 applicabile ratione temporis, a norma dell’art. 27, comma 2 del medesimo decreto legislativo, che fa riferimento ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze depositate successivamente alla data del 1 marzo 2006; essa riguarda il contratto o accordo nel suo testo integrale ed è, infine, da porsi in collegamento con la modifica operata dalla legge all’art. 360 c.p.c., n. 3, con l’estensione del controllo di legittimità al vizio di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (per cui deve ritenersi riferita esclusivamente a tali accordi e contratti collettivi).

10. Nel caso in esame la società ricorrente si è limitata a richiamare il contenuto delle disposizioni collettive, allegando unicamente gli altri atti di cui all’art. 369 c.p.c., ivi compresi i fascicoli di parte del giudizio di merito. Sennonchè questa Corte ha già avuto modo di precisare che, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 non appare sufficiente ad adempiere al relativo onere l’allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (v., ex multis, Cass. S.U. 21747/2009), essendo necessario, a tal fine, un atto specifico di deposito, nè essendo sufficiente la parziale allegazione del C.C.N.L. invocato (v., ex multis, Cass. 21358/2010).

11. E’ stato infatti al riguardo ripetutamente affermato, in sede di procedimento ex art. 420-bis c.p.c. (contenente la disciplina del procedimento relativo all’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, che prevede l’immediata decisione da parte del giudice, con una sentenza impugnabile in cassazione), che questa Corte, nell’interpretazione del contratto invocato, ha il potere di ricercare all’interno dell’intero contratto collettivo le clausole ritenute utili a tale fine, senza essere in tale funzione condizionata dalle prospettazioni di parte (cfr., ad es. Cass. nn. 5050/08 e 19560/07).

12. Una tale regola è sicuramente applicabile anche in sede di controllo di legittimità del contratto collettivo nazionale di lavoro a seguito di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, in quanto la produzione parziale di un documento sarebbe incompatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento (che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto di produrne solo una parte), nonchè con i criteri di ispirazione dell’intervento legislativo citato, volto a potenziare la funzione nomofilattica della Corte (nei medesimi termini, cfr. Cass. 21358/2010).

13. La regola appare, infine, coerente con i canoni di ermeneutica contrattuale di cui la Corte deve fare applicazione, in particolare con la regola relativa all’interpretazione complessiva delle clausole, secondo la quale "Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto" ( art. 1363 c.c.).

14. Il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 15,00, oltre Euro 2.000,00 per onorari, IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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