Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-02-2011) 18-05-2011, n. 19551 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del riesame di Catanzaro del 3.8.2010 rigettava la richiesta di riesame proposta dal C.F. avverso l’ordinanza emessa dal GIP presso il Tribunale di Cosenza del 19.72010, indagato per il reato di concorso in usura ai danni di S.M.F. e di estorsione continuata ai danni di P.M.. Il Tribunale del riesame ricordava a circa l’estorsione ai danni della P.M. sussistevano le dichiarazioni rese dalla stessa che sarebbe stata minacciata della diffusione di alcune riprese realizzate all’interno di una abitazione, di proprietà della S., e data in uso dal ricorrente e dalla moglie di questi alla donna per appartarsi con un suo conoscente. Le dichiarazioni della P. erano state riscontrate da numerose intercettazioni telefoniche per ottenere il denaro che la donna doveva pagare mensilmente (sino a circa 15.000,00 Euro) e dai servizi di appostamento che avevano appurato la consegna del denaro e verificato che tale consegna doveva avvenire ogni 27 del mese. Nell’ambito di tale procedimento la S. dichiarava inizialmente ai difensori degli indagati che l’abitazione non era nella disponibilità del C. e della M. ma emergevano elementi in senso contrario. Nel corso di intercettazioni telefoniche emergeva che la M. richiedeva pressantemente del denaro alla S. e minacciava di farla licenziare se non avesse consegnato le somme rivelando alla sua datrice di lavoro la sua intenzione di voler videoriprendere suo padre. Escussa il 29.6. del 2010 la S. dichiarava in effetti di essere usurata da parte dei due coniugi in virtù di un prestito ricevuto e che aveva reso la dichiarazione utilizzata dalla difesa della M. e del C. in quanto costretta dalla M..

Anche le dichiarazioni rese dalla S. come quelle della P. venivano giudicate credibili e precise e riscontrate da quanto emerso nelle intercettazioni telefoniche e dall’emergere di coincidenze nel modus operandi degli indagati in relazione alle minacce rivolte alla donna in questa occasione con l’utilizzazione di videoriprese e quanto accaduto nella parallela vicenda estorsiva ai danni della P.M.. La S. peraltro aveva indicato il nome della persona frequentata dalla P. nel m.llo D.L. come già dichiarato dalla P..

Ricorre l’indagato C. che allega che non era stata in nulla vagliata l’attendibilità della parte offesa S. che, comunque anche il 29.6.2010. aveva confermato la veridicità delle dichiarazioni rese in precedenza giudicate quest’ultime non attendibili dal Tribunale del riesame. Non era stato affermato che la M. avesse costretto la parte offesa a rendere le dichiarazioni difensive. Le dichiarazioni della teste non avevano riscontri significativi ed inoltre era evidente un suo interesse nella vicenda. La M. si era limitata a richiedere alla S. di onorare dei prestiti generosamente concessi.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Il compendio indiziario descritto nell’ordinanza impugnata appare certamente di notevole gravita ed emerge in base a plurimi elementi che tra loro si intrecciano: le dichiarazioni rese dalla S. come quelle della P., giudicate credibili e precise e riscontrate da quanto emerso nelle intercettazioni telefoniche e dalle coincidenze nel modus operandi degli indagati in relazione alle minacce rivolte alla S. con la prospettata utilizzazione dì videoriprese e quanto accaduto nella parallela vicenda estorsiva ai danni della P.. Al C. sono state persino ritrovate le somme corrisposte mensilmente dalla P. e da un’intercettazione emerge che la consegna era mensile, ogni 27. Ancora a pag. 3 dell’ordinanza impugnata vengono riferite le minacciose telefonate ricevute dalla S. ad opera della M., con la prospettazione, in caso contrario, di provocare il suo licenziamento.

I due coniugi appaiono legati nella commissione della medesima estorsione.

La motivazione appare congrua e logicamente coerente; a fronte di questa le censure sono del tutto generiche e di merito ed allegano o circostanze non dimostrate e del tutto secondarie o meri e vaghi riferimenti a "ricostruzioni alternative" dell’andamento dei fatti e dei rapporti con le parti offese, non pertinenti in questa sede.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti; inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94, comma 1 bis.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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