Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-02-2011) 18-05-2011, n. 19539 Aggravanti comuni aggravamento delle conseguenze del delitto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.F. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 3 maggio 2010 del Tribunale di Napoli – Sezione del riesame – con la quale è stata confermata l’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari in data 10 marzo 2010 del G.I.P. del Tribunale di Napoli.

A sostegno dell’impugnazione il ricorrente ha dedotto:

a) Carenza motivazionale ed erronea applicazione della legge penale in merito alla contestazione a catena.

Il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della concatenazione tra la presente ordinanza e quella già emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di S.M. Capua Vetere in data 28 aprile 2009.

Rileva la Corte che correttamente è stata ritenuto inammissibile il motivo in quanto l’eccezione di concatenazione tra due ordinanze deve essere fatta valere ai sensi dell’art. 310 c.p.p. e non con l’istanza di riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p.. E’ stata dunque fatta corretta applicazione del principio giurisprudenziale secondo il quale la questione della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare per effetto della cd. "contestazione a catena" non può essere dedotta per la prima volta nel corso del procedimento del riesame, ma va sottoposta al giudice competente il cui provvedimento decisorio è appellabile davanti al Tribunale della libertà (Cass., sez. 2^, 27 giugno 2007, n. 35605, C.E.D. cass., n. 237991), in quanto la cd. "contestazione a catena" non incide sul provvedimento in sè, ma soltanto, sulla decorrenza e sul computo dei termini di custodia cautelare, nè alcuna norma prevede la preclusione o l’invalidità della misura cautelare nel caso che essa sia stata preceduta da altra misura omologa per lo stesso fatto.

(Cass., sez. 6^, 2 maggio 1995, n. 1761, C.E.D. cass., n. 201833).

Nel caso di specie, peraltro, il Tribunale ha correttamente evidenziato come i due provvedimenti fossero relativi a episodi diversi, non legati dal vicolo della continuazione, e, seppur aventi per oggetto reati omogenei, non erano comunque legati da un medesimo disegno criminoso, essendo afferenti a vicende del tutto scollegate. b) Carenza motivazionale ed erronea applicazione della legge penale in merito al falso per induzione di cui al capo c).

Il ricorrente censura la sussistenza del reato di falso ideologico relativo alla documentazione dell’attività concernente il corso di formazione, realizzata e sottoposta all’ente finanziatore per ottenere l’elargizione delle somme.

La censura è priva di fondamento in quanto il Tribunale del riesame da conto in maniera esaustiva degli elementi probatori, testimoniali e documentali da cui desumere la gravità indiziaria delle accuse contestate.

Non vengono sostanzialmente sollevate censure se non relative ad elementi di fatto, tese a contestare l’esistenza di un atto ideologicamente falso; la versione alternativa fornita dal ricorrente non può trovare ingresso in questa sede in quanto il ragionamento dei giudici del riesame fa riferimento ad elementi oggettivi, riconosciuti dallo stesso gip con riferimento alla gravità degli indizi di colpevolezza, (le numerose prove testimoniali, il ruolo della segretaria del D. nella raccolta delle firme nella sede di lavoro di coloro che avrebbero dovuto partecipare al corso, le dichiarazioni dei docenti che addirittura sconoscevano gli organizzatori responsabili e l’esistenza del materiale e degli strumenti didattici da utilizzare). Sotto quest’ultimo profilo il ragionamento del Tribunale del riesame appare esente da censure logico giuridiche, proprio perchè valorizza una analisi saldamente ancorata allo svolgimento dei fatti in esame, in relazione ad una attività di rendicontazione collegata a fatti e persone in realtà in larga parte inesistenti. c) Carenza motivazionale ed erronea applicazione della legge penale in merito alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui al capo b).

Il ricorrente lamenta l’insussistenza degli elementi del delitto di truffa ai danni del F., in particolare per quanto riguarda la mancata tenuta del corso in questione. In realtà, secondo il ricorrente, il corso sarebbe stato tenuto anche se non con le modalità originariamente previste.

Osserva la Corte che anche in questo caso la censura è priva di fondamento in quanto il Tribunale del riesame da conto in maniera esaustiva degli elementi probatori, testimoniali e documentali da cui desumere la gravità indiziaria delle accuse contestate. Non vengono sostanzialmente sollevate censure se non relative ad elementi di fatto, tese a contestare l’esistenza di un comportamento truffaldino, la cui commissione prescinde ovviamente dalla esistenza di una polizza fideiussoria, che peraltro copriva solo in parte l’entità del finanziamento erogato e quello che sarebbe stato versato alla fine, anche in considerazione del fatto che l’attività truffaldina era stata finalizzata alla dimostrazione dell’avvenuta realizzazione del corso di formazione. Anche in questo caso la versione alternativa fornita dal ricorrente non può trovare ingresso in questa sede in quanto il ragionamento dei giudici del riesame fa riferimento ad elementi oggettivi, riconosciuti dallo stesso gip con riferimento alla gravità degli indizi di colpevolezza, (le numerose prove testimoniali, il ruolo della segretaria del D. nella raccolta delle firme nella sede di lavoro di coloro che avrebbero dovuto partecipare al corso, le dichiarazioni dei docenti che addirittura sconoscevano gli organizzatori responsabili e l’inesistenza del materiale e degli strumenti didattici da utilizzare). Sotto quest’ultimo profilo il ragionamento del Tribunale del riesame appare esente da censure logico giuridiche, proprio perchè valorizza una analisi saldamente ancorata allo svolgimento dei fatti in esame, in relazione ad una attività di rendicontazione collegata a fatti e persone in realtà in larga parte inesistenti, con la volontà di rappresentare una realtà corsuale che avrebbe consentito di mantenere integralmente l’intera entità del fondo erogato. d) Carenza motivazionale ed erronea applicazione della legge penale in merito alla natura privatistica del F.; esclusione dell’ipotesi di cui all’art. 640 bis c.p. e di quella di cui agli artt. 48 e 479 c.p..

Il ricorrente contesta poi la natura di ente pubblico del F., indicando al contrario come lo stesso rivesta la natura di ente di diritto privato, aderendo allo stesso i sindacati e altre associazione aventi la stessa natura.

Osserva la Corte che anche questa censura è infondata. Nel caso in esame è stato correttamente applicato il principio in base al quale il concetto di contributo, finanziamento o mutuo agevolato, richiamato nell’art. 640 bis c.p. va ricompreso nella generica accezione di sovvenzione, concretizzandosi in una attribuzione pecuniaria che trova il suo fondamento e la sua giustificazione nell’attuazione di un interesse pubblico (v. Cass., sez. 1^, 12 luglio 1999, n. 4240, C.E.D. Cass. n. 213949), e che pertanto, anche in ragione dell’obbligo di rendiconto e di restituzione degli eventuali residui di gestione, continua ad essere di proprietà pubblica. Tali somme, provenienti da un pubblico finanziamento non perdono, d’altra parte, nel momento in entrano nella disponibilità materiale dell’ente privato finanziato, la loro appartenenza allo Stato, o, in genere all’ente pubblico finanziatore, proprio perchè rimane integro il vincolo originario della loro destinazione al fine per il quale sono state erogate (v. anche Cass., sez. 6^, 20 aprile 1990, n. 11784, C.E.D. cass. n. 185184; Cass., sez. 6^, 10 dicembre 1986, n. 2616, C.E.D. cass., n. 175240). e) Carenza motivazionale ed erronea applicazione della legge penale in merito alle esigenze cautelari e alla sospensione condizionale della pena. Erronea applicazione della legge penale.

Il ricorrente lamenta la sottovalutazione dell’oggettiva situazione da cui desumere una diversa valutazione del suo coinvolgimento nella fattispecie criminosa. In ogni caso la qualità degli indizi non avrebbe giustificato l’adozione della misura degli arresti domiciliari. Nè vi sarebbe stata una congrua valutazione della eventuale concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Osserva la Corte che anche sotto quest’ultimo profilo il ragionamento del Tribunale del riesame appare esente da censure logico giuridiche, proprio perchè valorizza un’analisi altamente probabilistica, saldamente ancorata allo svolgimento dei fatti in esame. La scelta della misura è spiegata dunque in modo coerente e valutata con un esatto criterio di bilanciamento tra le esigenze di prevenzione e la qualità del soggetto destinatario della medesima, quale emerge dai suoi comportamenti, anche successivi, pure oggetto di indagini penali e dalla gravità dei fatti (finanziamenti pubblici per decine di migliaia di Euro); nessuna rilevanza, rispetto alle suddette valutazioni, ha la circostanza relativa alla cessazione dell’appartenenza alla Proter, ente beneficiario del finanziamento, anche in considerazione della pericolosità sociale dimostrata, in ragione del coinvolgimento in altre inchieste, circostanza che implicitamente rappresenta una concreta valutazione prognostica negativa in ordine alla concessione del benefico della sospensione condizionale della pena.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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