Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 19-05-2011, n. 359 Enti locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Giunge in decisione l’appello proposto dal comune di Palazzolo Acreide contro la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.A.R. per la Sicilia, sede di Palermo, ha accolto l’originaria impugnativa promossa dal comune di Noto avverso i seguenti atti:

– il decreto dell’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e delle Autonomie Locali (nel prosieguo denominato soltanto "Assessorato") n. 2510/Servizio 8° del 30 luglio 2007, relativo all’autorizzazione della consultazione referendaria sul progetto di variazione territoriale proposta dal comune appellante per l’acquisizione di territorio e di popolazione facenti parte della contermine circoscrizione di Noto;

– la nota dell’Assessorato n. 2306 del 5 luglio 2007, trasmessa al comune di Noto il 16 luglio 2007.

Si sono costituiti l’Assessorato, la cui posizione è pienamente allineata a quella dell’amministrazione appellante, e il comune di Noto: quest’ultimo ha altresì interposto, avverso la medesima pronuncia impugnata dal comune di Palazzolo Acreide, un appello incidentale.

All’udienza pubblica del 16 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

2. – Per una migliore intelligenza delle questioni devolute alla cognizione del Collegio, giova premettere una succinta ricostruzione della vicenda sulla quale si è innestata la presente controversia. A questi fini può attingersi alla esauriente narrativa dei fatti contenuta nella sentenza impugnata.

Essenzialmente occorre riferire che:

– con deliberazione consiliare n. 64 del 3 ottobre 2001 il comune di Palazzolo Acreide avviò il procedimento di variazione territoriale, ai sensi della legislazione regionale, relativo all’acquisizione di una porzione del territorio di Noto, costituito da n. 27 contrade elencate nel medesimo atto;

– con nota del 5 luglio 2007 l’Assessorato comunicò la conclusione dell’istruttoria, alla quale seguì il decreto assessoriale del successivo 30 luglio (impugnato in primo grado), recante l’autorizzazione allo svolgimento della consultazione referendaria, sul progetto di variazione territoriale proposto dal comune di Palazzolo Acreide e riguardante l’acquisizione di parte di territorio e di popolazione facenti parte del comune contermine di Noto, limitatamente "agli elettori residenti nel territorio interessato allo scorporo" (art. 2 del decreto n. 30 luglio 2007).

3. – Avverso detto decreto insorse, avanti il T.A.R. per la Sicilia, sede di Palermo, il comune di Noto, lamentando, sotto diversi profili, l’illegittimità del provvedimento. In particolare, il comune di Noto impugnò il decreto assessorile in parola, contestando, da un lato, la scelta dell’amministrazione regionale di circoscrivere la platea dei soggetti interessati al voto e, dall’altro, la stessa ammissibilità dell’iniziativa referendaria, in quanto avviata dal comune di Palazzolo Acreide mediante deliberazione consiliare e non nel rispetto della diversa procedura di cui all’art. 9, comma 1, lett. f) della L. n. 30 del 2000, secondo cui "nei casi ove la consultazione referendaria non vada riferita all’intera popolazione ma solo a coloro che hanno un diretto collegamento con il territorio di cui si chiede la variazione, l’iniziativa compete ad un terzo degli elettori residenti nei territori da trasferire".

4. – Il Tribunale, come sopra anticipato, ha accolto il ricorso promosso dall’amministrazione civica netina e, per l’effetto, ha annullato gli atti gravati. In dettaglio il T.A.R. ha scrutinato, giudicandolo fondato, il primo dei due motivi formulati dal comune di Noto, relativo alla dedotta violazione del combinato disposto dei commi 3, 4 e 7-bis dell’art. 8 della L. n. 30 del 2000. Riguardo a tale aspetto della controversia, aderendo alle prospettazioni difensive dell’amministrazione ricorrente, il primo giudice ha statuito che, ai sensi del combinato disposto dei commi 4 e 7-bis del citato art. 8, nel caso di referendum autorizzato dall’Amministrazione regionale sulla proposta di variazione territoriale relativa a porzioni di territorio nelle quali risieda meno del trenta per cento della popolazione complessiva del singolo comune interessato allo scorporo, la limitazione della platea dei soggetti chiamati a partecipare alla tornata referendaria non può basarsi esclusivamente sul dato inerente alle dimensioni demografiche della porzione di territorio oggetto di scorporo, ma deve essere suffragata dalla motivata attestazione, verificata in concreto, dell’insussistenza dei presupposti di cui al citato comma 4 (i quali fondano l’estensione della consultazione a tutta la popolazione residente). Muovendo da tale premessa giuridica e una volta calato il principio, così enunciato, nel caso di specie, il T.A.R. ha ritenuto insufficiente l’istruttoria compiuta dall’Assessorato, in quanto non sarebbe stata accertata l’insussistenza di tutti i requisiti di cui al medesimo comma 4, avendo la Regione fatto esclusivo riferimento al dato matematico di cui al successivo comma 7-bis (segnatamente relativo alla consistenza demografica della popolazione interessata).

Il Tribunale ha invece respinto il secondo motivo.

5. – Contro la sentenza, testé riferita nei suoi contenuti essenziali, ha proposto appello in via principale il comune di Palazzolo Acreide il quale, con plurime argomentazioni, ha criticato l’interpretazione della normativa regionale di riferimento offerta dal T.A.R. e pure il conseguente giudizio di insufficienza dell’istruttoria regionale, affermando, per contro, la piena legittimità del provvedimento originariamente impugnato.

6. – Il comune di Noto, oltre a contestare tutto quanto ex adverso dedotto in ordine all’oggetto dell’appello principale (del quale ha chiesto il rigetto), ha altresì interposto un appello incidentale condizionato (all’eventuale accoglimento del gravame principale), censurando la sentenza impugnata per il rigetto del secondo motivo del primitivo ricorso, con il quale era stata dedotta la violazione dell’art. 9, comma 1, lett. f), della L. n. 30 del 2000: a questo proposito il comune di Noto aveva sostenuto che l’intero procedimento fosse in radice viziato dalla carenza del relativo potere di iniziativa in capo al comune di Palazzolo Acreide. Ciò in considerazione della circostanza che, ai sensi della predetta disposizione, "nei casi ove la consultazione referendaria non vada riferita all’intera popolazione ma solo a coloro che hanno un diretto collegamento con il territorio di cui si chiede la variazione, l’iniziativa compete ad un terzo degli elettori residenti nei territori da trasferire": l’iniziativa, dunque, secondo la prospettazione patrocinata dall’appellante incidentale, sarebbe spettata, in via esclusiva, ai cittadini residenti nell’area territoriale oggetto di scorporo.

In estremo subordine, il comune di Noto ha anche chiesto di sollevare un incidente di costituzionalità, per asserito contrasto dell’art. 8, comma 7, della L. n. 30/2000, qualora da interpretarsi nei termini suggeriti dal comune di Palazzolo Acreide, con l’art. 133, comma 2, Cost.

7. – Tanto premesso, il Collegio ritiene che la complessiva considerazione di tutto il materiale cognitorio acquisito al secondo grado del giudizio imponga la preliminare risoluzione di una questione di rito. Si è infatti accennato, nel precedente punto 6, alla circostanza che il comune di Noto, con l’appello incidentale, ha censurato la sentenza impugnata, in relazione al capo di decisione recante il rigetto del secondo motivo di ricorso. Si è anche segnalato che tale originario mezzo di impugnativa investiva l’aspetto dell’iniziativa procedimentale. Ebbene, il Collegio ritiene che tale profilo della controversia meriti uno scrutinio preliminare per evidenti ragioni di logica giuridica e di economia processuale. Ed invero, è del tutto intuitivo che, qualora dovesse effettivamente riscontrarsi l’illegittima attivazione del procedimento in questione, allora, in via consequenziale, verrebbe meno ogni interesse a verificare la correttezza del suo successivo svolgimento, in ragione dell’automatica caducazione di ogni atto dello stesso quale conseguenza del radicale vizio genetico; più specificatamente, non vi sarebbe necessità di scrutinare i motivi del gravame principale incentrati sulla contestazione dell’incompletezza dell’istruttoria compiuta dall’Assessorato.

In prima battuta va osservato che i superiori rilievi, se isolatamente considerati, non minano l’impianto argomentativo sul quale poggia la sentenza impugnata, giacché, sia pure sulla base di una non condivisibile inversione logica di quella che sarebbe dovuta essere la normale sequenza dell’esame delle questioni rimesse al vaglio del Tribunale, nondimeno quest’ultimo non ha omesso di scrutinare anche il secondo motivo, respingendolo.

Il rilievo intercetta tuttavia una differente problematica, squisitamente processuale. Si è riferito, infatti, che il comune di Noto ha "subordinato" l’esame del proprio appello alla condizione sospensiva rappresentata dall’eventuale, preventivo accoglimento dell’appello principale.

In questo modo il comune di Noto ha inteso vincolare il Consiglio ad uno specifico ordine di graduazione delle impugnazioni e, al contempo, ha implicitamente preteso di imporre, anche nel giudizio di appello, il rispetto del medesimo itinerario decisorio percorso dal T.A.R.

Il Collegio ritiene però di non dover aderire, sotto questo riguardo, alle riferite richieste dell’appellante incidentale miranti a perpetuare l’erronea impostazione di fondo del primo grado del giudizio. Se, invero, il giudice ha, in linea generale, l’obbligo, direttamente promanante dal principio della domanda, di non disattendere l’ordine con il quale la parte abbia proposto i vari motivi di ricorso (dal momento che è doveroso presumere che detta graduazione, secondo l’autonoma valutazione fattane dalla stessa parte, sia quella più adatta a soddisfare, nel migliore dei modi, il bene-interesse dedotto in giudizio), deve nondimeno ritenersi che un tale obbligo venga meno nelle ipotesi in cui l’ordine di esame delle questioni, suggerito dalla parte, cozzi con la logica giuridica, ivi incluso il principio di economia dei giudizi. Laddove, invero, si palesi un conflitto tra le esigenze di una corretta amministrazione della giustizia e le pretese di parte, allora il governo del materiale cognitorio e decisorio torna nella piena disponibilità del giudicante, il quale ha il potere e il dovere di prendere in esame i vari mezzi di gravame secondo l’ordine reputato processualmente ortodosso.

Una volta calati nella fattispecie, i principi enunciati conducono il Collegio, per le ragioni sopra esposte, a vagliare dapprima il primo motivo dell’appello incidentale, il cui esame è obiettivamente prioritario rispetto sia a quelli veicolati con l’impugnazione principale sia al secondo mezzo di gravame dedotto con l’appello incidentale.

8. – Giova allora riportare il passaggio motivazionale con il quale il Tribunale ha respinto il motivo, ora riproposto in secondo grado dal comune di Noto. Sul punto il T.A.R. ha affermato che l’art. 9 della L. n. 30/2000 "non fissa il carattere dell’esclusività dell’iniziativa da assumersi da parte di una percentuale di elettori residenti sulla porzione di territorio da trasferire né a tale conclusione va ritenuto possa giungersi sulla base di una lettura più ampia e sistemica dell’impianto normativo di riferimento: la lettura accreditata da parte ricorrente porterebbe ad escludere non solo la possibile iniziativa dei consigli comunali ma anche quella della Giunta regionale, il che si porrebbe in contrasto con la ratio e la finalità delle norme in argomento che, invero, tendono a garantire molteplici possibilità – in capo a soggetti diversi – attraverso le quali l’iniziativa può essere assunta, e ciò in armonia con il principio di partecipazione espresso dall’art. 133 Cost., esercitabile, anche in via indiretta, nella fase prodromica del procedimento di variazione. Sempre in linea generale, e sotto altro profilo (non dedotto da parte ricorrente), il Collegio non può far a meno di rilevare che l’assenza di tale carattere di esclusività dell’iniziativa degli elettori residenti nella porzione di territorio interessata allo scorporo trova un suo corollario nella circostanza che, qualora sia operata la scelta di avviare l’iniziativa mediante attività deliberativa del consiglio comunale, detta iniziativa può considerarsi concretamente assunta solo se intervengono due deliberazioni conformi dei consigli degli enti – "cedente" e "cessionario" – interessati alla variazione, adottate con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri in carica (art. 9, comma 1 lett. b L.R. n. 30 del 2000), cosicché in assenza di tale esito, l’iniziativa è da ritenersi tamquam non esset.

Ed infatti, l’iniziativa per la variazione territoriale di cui all’art. 9 della L.R. n. 30 del 2000 può essere assunta attraverso tutte le modalità ivi indicate; tuttavia qualora essa sia esercitata dall’organo consiliare, il pronunciamento di un solo consiglio comunale è sufficiente nelle ipotesi in cui la variazione esaurisca gli effetti all’interno dell'(unico) comune interessato alla variazione, mentre in tutte le altre ipotesi occorrono le deliberazioni in senso favorevole alla variazione adottate da parte dei consigli comunali degli enti interessati, altrimenti l’iniziativa non può ritenersi concretamente (e validamente) assunta".

Prima di illustrare diffusamente nel prosieguo quella che, secondo questo Collegio, è la corretta interpretazione del sunnominato art. 9, occorre svolgere un’ulteriore considerazione preliminare circa l’oggetto del motivo riproposto in appello dal comune di Noto. L’esigenza di precisare tale punto discende dal riferito stralcio motivazionale, nella parte in cui il T.A.R. ha esternato alla stregua di un mero obiter dictum un’argomentazione che, invece, ad avviso del Collegio, avrebbe dovuto costituire espressione di una specifica statuizione decisoria. Ed invero, il comune di Noto ha lamentato in primo e in secondo grado l’inesistenza, in capo al solo comune di Palazzolo Acreide, di un potere di iniziativa ai sensi del citato art. 9 della L. n. 30/2000 e, al contempo, ha sostenuto che la legittimazione attiva di carattere procedimentale spettasse unicamente a un terzo degli elettori residenti nei territori da trasferire.

Il Tribunale ha ritenuto che il motivo in questione fosse unitario e inscindibile e che, in sostanza, esso si compendiasse nella sola denuncia della violazione della lett. f) del comma 1 dell’art. 9. Diversamente, il Collegio opina che la censura in discorso fosse da interpretare, principalmente, nel senso della radicale contestazione della legittimità dei provvedimenti impugnati e del relativo prodromico procedimento, per carenza di legittimazione attiva in capo al comune di Palazzolo Acreide; rispetto a tale obiettivo finalismo della doglianza si presentava recessiva la prospettazione della esclusiva legittimazione della sola parte del corpo elettorale residente nel territorio interessato dallo scorporo. Siffatta prospettazione, peraltro, è errata (come, peraltro, chiarito dallo stesso Tribunale; v. supra) soltanto nel punto in cui configura tale legittimazione dei cittadini come esclusiva, mentre è corretta e da condividere se accepita nei termini di una contestazione della validità dell’iniziativa eventualmente presa da un singolo comune finitimo, piuttosto che dagli altri soggetti o organi indicati dalla legge. Detto altrimenti, il comune di Noto ha sostenuto che il comune di Palazzolo Acreide fosse sprovvisto di legittimazione procedimentale e che essa spettasse al corpo elettorale: orbene, la circostanza che effettivamente il comune di Palazzolo Acreide fosse privo di legittimazione e che quella del corpo elettorale fosse, nello specifico, "concorrente" (con altri poteri di iniziativa) e non "esclusiva" (come sostenuto dal comune di Noto), non costituiva, ad avviso del Collegio, una ragione sufficiente per ritenere la relativa problematica del tutto estranea al presente contenzioso, giacché la denuncia del difetto di legittimazione del comune di Palazzolo Acreide investe una questione giuridica senza dubbio prevalente (e comunque più ampia) rispetto a quella vertente sulla qualificazione come "esclusiva" o "concorrente" dell’eventuale iniziativa assunta del corpo elettorale. In sostanza, anticipando quanto si spiegherà tra breve, il Collegio ritiene che sicuramente il comune di Palazzolo Acreide non avrebbe potuto avviare il procedimento in contestazione, mentre avrebbero potuto avviarlo un terzo dei cittadini residenti (ancorché non in via esclusiva, ma in concorrenza, disgiuntiva, con altri titolari del medesimo potere) e che, quindi, il relativo motivo, formulato dal comune di Noto e respinto dal T.A.R., fosse fondato, nella sua parte essenziale.

Muovendo da questa differente esegesi del mezzo di gravame, l’appello incidentale del comune di Noto risulta meritevole di accoglimento.

9. – Onde chiarire l’ultima asserzione, occorre prendere l’avvio dall’esame degli artt. 8, come integrato dall’art. 102 della L. n. 2/2002, e 9 della L. 23 dicembre 2000 (Norme sull’ordinamento degli enti locali), il cui testo va riportato per esteso: "Art. 8 Variazioni territoriali e di denominazione dei comuni.

1. Alle variazioni territoriali dei comuni si provvede con legge, previo referendum delle popolazioni interessate. Per variazioni dei territori comunali si intendono:

a) l’istituzione di uno o più comuni a seguito dello scorporo di parti del territorio di uno o più comuni;

b) l’incorporazione di uno o più comuni nell’ambito di altro comune;

c) la fusione di due o più comuni in uno nuovo;

d) l’aggregazione di parte del territorio e di popolazione di uno o più comuni ad altro comune contermine.

2. Le variazioni di denominazione dei comuni consistenti nel mutamento, parziale o totale, della precedente denominazione, sono anch’esse soggette a referendum sentita la popolazione dell’intero comune.

3. Per popolazioni interessate si intendono, nella loro interezza, le popolazioni del comune o dei comuni i cui territori devono subire modificazioni, o per l’istituzione di nuovi comuni, o per la fusione, o per l’incorporazione, o per cambio di denominazione o per il passaggio di parti di territorio e di popolazione da un comune all’altro.

4. Nelle ipotesi di istituzione di nuovi comuni o di aggregazioni di parte del territorio e di popolazione di uno o più comuni ad altro comune contermine, la consultazione referendaria non va riferita all’intera popolazione residente nei comuni interessati alla variazione qualora a questa non possa riconoscersi un interesse qualificato per intervenire nel procedimento di variazione che riguarda parte del territorio rispetto al quale essa non abbia alcun diretto collegamento e la variazione di territorio e popolazione, rispetto al totale, risulti di limitata entità.

5. In tale ipotesi le "popolazioni interessate" aventi diritto a prendere parte alla consultazione referendaria sono costituite esclusivamente dagli elettori residenti nei territori da trasferire risultanti dall’ultimo censimento ufficiale della popolazione.

6. Non si fa luogo all’istituzione di nuovi comuni qualora la popolazione del nuovo comune sia inferiore a 5.000 abitanti e la popolazione del comune o dei comuni di origine rimanga inferiore ai 5.000 abitanti.

6 bis. La superiore disposizione non si applica qualora in almeno due dei comuni di origine ed in quello istituendo la popolazione sia pari o superiore a 5.000 abitanti.

7. In tutti i casi previsti dalla presente legge il referendum è valido solo se vota la metà più uno degli aventi diritto.

7 bis. La consultazione referendaria è limitata agli abitanti residenti nel territorio del comune o dei comuni interessati alla costituzione di nuovo comune per scorporo di parti del territorio e di popolazione di altro o di altri comuni ovvero di aggregazione di parte del territorio e di popolazione di uno o più comuni a comune o comuni contermini, a condizione che la variazione di popolazione non sia superiore al 30 per cento della popolazione complessiva del comune.

8. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, il Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore regionale per gli enti locali, e previa deliberazione della Giunta, emana apposito regolamento per disciplinare tempi, modalità e procedure della consultazione referendaria." e "Art. 9 Potere di iniziativa del procedimento di variazione.

1. L’iniziativa dei procedimenti diretti alle variazioni territoriali spetta:

a) alla Giunta regionale;

b) al comune o ai comuni interessati alla variazione con deliberazioni consiliari adottate con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri in carica;

c) ad un terzo degli elettori iscritti nelle sezioni del comune di cui si chiede il cambio di denominazione;

d) ad un terzo degli elettori iscritti nelle sezioni di ciascuno dei comuni interessati nell’ipotesi di incorporazione e di fusione;

e) ad un terzo degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune o di ciascuno dei comuni interessati negli altri casi di variazioni territoriali;

f) nei casi ove la consultazione referendaria non vada riferita all’intera popolazione ma solo a coloro che hanno un diretto collegamento con il territorio di cui si chiede la variazione, l’iniziativa compete ad un terzo degli elettori residenti nei territori da trasferire". Sebbene l’art. 9 non costituisca un brillante esempio di drafting normativo, è tuttavia evidente che la disposizione, la quale elenca i vari titolari del potere di iniziativa nelle ipotesi di variazioni territoriali e di denominazione dei comuni, debba essere interpretata al lume del precedente art. 8, nel quale sono, tra l’altro, dettate alcune definizioni normative rilevanti (come le nozioni di "variazione territoriale", "variazione di denominazione", "popolazioni interessate", ecc.), declinate le ipotesi di variazione territoriale e delineato il procedimento da seguire, inclusa la fase della consultazione referendaria. Difatti l’art. 9 si occupa unicamente dell’attribuzione del potere di iniziativa qualora debba essere avviato un procedimento destinato a concludersi con una variazione del genere sopra indicato. Il principale difetto redazionale del citato articolo risiede nel fatto che la previsione contiene, per l’appunto, una mera elencazione degli organi, degli enti e dei soggetti collettivi muniti del potere di iniziativa (peraltro, inserendo tra le varie ipotesi anche la fattispecie del cambio di denominazione) senza tuttavia preoccuparsi di differenziare le singole ipotesi in relazione alla casistica normativa tratteggiata nel comma 1 del precedente art. 8. Tale assenza di qualunque nesso di precisa correlazione tra le due norme può condurre, come avvenuto nella fattispecie (v. infra), a conclusioni che, seppure ammissibili sul piano strettamente letterale, si rivelino tuttavia non coerenti con un’utile applicazione della legge regionale. Se, invero, deve presumersi che, attraverso i predetti artt. 8 e 9, il Legislatore regionale abbia, tra l’altro, perseguito lo scopo di razionalizzare la disciplina delle procedure di variazione territoriale, allora spetta all’interprete espungere, dal novero delle possibili opzioni ermeneutiche virtualmente consentite dal tenore letterale delle suddette disposizioni, tutte quelle esegesi che siano suscettibili, in contrasto con le riferite finalità della legge, di originare o di incrementare il fisiologico contenzioso territoriale tra i comuni o che, ancor peggio, rischino di agevolare scongiurate condotte opportunistiche o egemoniche di singoli enti territoriali.

In questa prospettiva, volta alla selezione delle più ragionevoli letture applicative del dato normativo controverso, il Collegio ritiene che l’art. 9 debba essere interpretato nei termini di seguito precisati. Innanzitutto la disposizione assegna l’iniziativa a tre distinti attori istituzionali: I) alla Regione (lett. a) e, specificatamente, all’organo esecutivo; II) ai comuni (lett. b), ma attribuendo il relativo potere all’organo assembleare; III) al corpo elettorale (lett. c, d, e, f).

Le ipotesi I), II) e III) di cui al precedente alinea non si pongono però sullo stesso piano: ed invero, l’iniziativa della Giunta regionale e pure quella dei comuni sono espressione di altrettanti poteri di carattere generale e, quindi, si configurano come sempre attivabili qualunque sia lo specifico procedimento da seguire in relazione ai casi individuati nei commi 1 e 2 dell’art. 8; in altri termini, la Giunta regionale e i consigli comunali (fatta salva una rilevante precisazione su cui v. infra il successivo paragrafo 10) sono in ogni caso legittimati ad attivare il procedimento disciplinato dalla L. n. 30/2000, a prescindere dal tipo di variazione da realizzare.

Diversamente le lett. c), d) e) ed f), riferite al corpo elettorale (rectius: a un terzo del corpo elettorale del territorio o della porzione di territorio interessati alle variazioni), riguardano specifiche ipotesi, nelle quali l’iniziativa spetta anche, in via concorrente, al corpo elettorale. Per chiarire il concetto appena espresso può farsi l’esempio del cambio di denominazione: in questo caso la legittimazione spetta alla Giunta regionale, al consiglio comunale, nonché a un terzo degli elettori iscritti nelle sezioni del comune di cui si chiede il cambio di denominazione (lett. c) dell’art. 9. Analogamente l’iniziativa, nel caso dell’istituzione di un nuovo comune a seguito dello scorporo di una parte del territorio di un solo comune, apparterrà alla Giunta regionale, al consiglio comunale dell’ente territoriale preesistente rispetto allo scorporo, nonché, in via concorrente, a un terzo degli elettori iscritti nelle liste elettorali dello stesso comune (lett. e) dell’art. 9, a meno che non ricorra l’ipotesi peculiare di cui al comma 4 dell’art. 8, posto che in questo caso, il corpo elettorale da prendere in considerazione ai fini dell’iniziativa sarà quello di cui alla lett. f) dell’art. 9.

10. – Se quelle appena illustrate sono, secondo il Collegio, le fondamentali coordinate esegetiche che devono orientare l’applicazione della previsione in esame, va fatta tuttavia un’importante precisazione con riguardo all’ipotesi dell’iniziativa dei consigli comunali. In questo caso, come sopra osservato, il tenore letterale della lett. b) dell’art. 9 consentirebbe in astratto di ritenere che il procedimento, anche quando la variazione interessi il territorio di due o più comuni, possa essere avviato a seguito della deliberazione di un solo consiglio comunale (di uno dei comuni interessati), con la conseguenza di coinvolgere gli enti contermini (e le relative popolazioni), finanche contro la loro volontà, in un procedimento di variazione eventualmente attivato a loro danno: è esattamente questa la vicenda dalla quale ha tratto origine la presente controversia e che, probabilmente, costituisce anche l’ipotesi, statisticamente più frequente, di applicazione della L. n. 30/2000. Ebbene il Collegio ritiene che, in tali fattispecie, in cui cioè un comune manifesti delle pretese rispetto a parte del territorio e della popolazione di un altro comune, l’indicazione disgiuntiva del "comune" o dei "comuni", contenuta nell’incipit della lett. b) dell’art. 9, vada interpretata in coerenza con l’oggetto dell’art. 8: in altre parole, si devono distinguere le ipotesi in cui la variazione territoriale riguardi un solo comune dai casi in cui la variazione interessi due o più comuni. Insomma, la legittimazione attiva di carattere generale di cui all’art. 9, comma 1, lett. b), non spetta indifferentemente "al comune o ai comuni interessati", ma essa competerà al "comune" soltanto qualora un unico comune sia interessato alla variazione territoriale; per contro, l’iniziativa spetterà congiuntamente a tutti i "comuni interessati" ogniqualvolta la variazione territoriale, oggetto del procedimento, investa le circoscrizioni di due o più comuni. In altri termini, nel caso di variazioni territoriali di dimensione ultracomunale, il procedimento in questione potrà essere attivato soltanto sull’accordo di tutti i comuni interessati, fatta ovviamente salva la potestà generale di iniziativa della Regione e la concorrente legittimazione del corpo elettorale. Una diversa interpretazione darebbe difatti luogo a esiti suscettibili di porsi in plateale contrasto con le predette finalità di razionalizzazione del procedimento perseguite dal Legislatore regionale.

Ed invero, laddove dovesse riconoscersi il potere di iniziativa in capo al singolo consiglio comunale anche quando la variazione consista, ad esempio, nell’aggregazione di parte del territorio e di popolazione di un comune ad un altro comune, allora ogni amministrazione civica potrebbe attivare un procedimento in danno di altre e anche contro il volere degli enti territoriali contermini, costringendo così la Regione alla difficile gestione di molte istruttorie e al delicato governo di un contenzioso, potenzialmente vastissimo e, perfino, idoneo a veicolare, nel peggiore degli scenari possibili, anche pretese strumentali o innescate da situazioni contingenti.

Al lume del principio di buon andamento che sempre deve orientare l’interpretazione delle disposizioni amministrative, va dunque bandita un’esegesi a tal punto irragionevole da risolversi in una vera e propria eterogenesi delle finalità sottese allo specifico plesso normativo. Depone, del resto, a favore dell’interpretazione sopra tratteggiata anche la considerazione dell’autonomia e della dignità costituzionale solennemente riconosciuta all’ente comune dalla Carta Fondamentale ( artt. 5 e 114 Cost.). Può invero pacificamente ritenersi che siffatta posizione, costituzionalmente qualificata, sia anche funzionale alla migliore tutela delle prerogative di cui gode ciascun ente locale, tra le quali vi è certamente il riconoscimento di un "diritto" all’integrità del proprio territorio (inteso come elemento costitutivo e identitario di qualunque categoria di enti in cui si articola la Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost.) e della relativa popolazione (si veda, al riguardo, l’art. 133 Cost.). Siffatta autonomia può dunque realizzarsi pienamente soltanto nel quadro di un sistema di relazioni, tra enti appartenenti al medesimo livello di governo, strutturato all’insegna dei fondamentali canoni della consensualità e della leale collaborazione, essendo questi gli unici principi regolatori compatibili con la pari dignità sopra evocata: pertanto, sul piano interpretativo, vanno ripudiate tutte quelle ermeneutiche del dato positivo che possano tradursi, in una visione non costituzionalmente orientata, in un vulnus della pariordinazione tra i comuni. Ebbene, detta lesione indubbiamente si produrrebbe qualora si consentisse a un comune di avviare un procedimento di variazione che interessi il territorio di un altro o di altri comuni, senza aver preventivamente ottenuto l’assenso delle amministrazioni controinteressate.

In conclusione, l’art. 9, comma 1, lett. b), della L. n. 30/2000 va interpretato nel senso che, quando la variazione territoriale (quali: lo scorporo di parti del territorio di due o più comuni, l’incorporazione di uno o più comuni, la fusione di due o più comuni, l’aggregazione di parte del territorio e della popolazione di un diverso comune o di altri comuni) interessi due o più comuni, allora l’iniziativa potrà essere assunta soltanto sulla base di congiunte e conformi deliberazioni dei consigli di tutti i comuni interessati.

11. – Una volta calati nella vicenda sottoposta alla cognizione del Collegio, i superiori rilievi conducono all’accoglimento dell’appello incidentale, posto che, nella fattispecie, l’iniziativa del procedimento, sebbene esso avesse ad oggetto una variazione del territorio di due comuni, è stata del solo consiglio comunale di Palazzolo Acreide e non, come sarebbe stato necessario, congiuntamente dei consigli comunali di Palazzolo Acreide e di Noto oppure della Giunta regionale o, infine, degli elettori di cui alla lett. e) o, ricorrendone i presupposti, di quelli di cui alla lett. f) del succitato art. 9.

In conseguenza delle precedenti considerazioni, va riconosciuta, siccome dedotto dal comune di Noto, l’illegittimità degli atti impugnati in primo grado, anche per violazione dell’art. 2 del D.P.Reg. n. 8 del 24 marzo 2003, pubblicato sulla G.U.R.S. 6 giugno 2003, n. 26 (Regolamento della consultazione referendaria prevista dall’articolo 8, comma 8, della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, per le ipotesi di variazioni territoriali e di denominazione dei comuni), secondo cui: "1. Il dirigente generale del dipartimento degli enti locali cura il procedimento istruttorio finalizzato all’emanazione del decreto di autorizzazione della consultazione referendaria e, in particolare: … b) controlla le iniziative dei procedimenti di variazione territoriale e di denominazione secondo le prescrizioni dell’articolo 9 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30…".

La radicalità del vizio di legittimità così accertato comporta l’assorbimento di ogni altra questione, incluse quelle relative alla regolarità e alla completezza dell’istruttoria regionale (che costituiscono l’oggetto dell’appello principale del comune di Palazzolo Acreide).

Dell’impugnazione promossa dal comune di Palazzolo Acreide deve quindi dichiararsi l’improcedibilità per difetto di qualunque interesse all’ulteriore coltivazione del giudizio, atteso che il procedimento del quale si controverte, nelle parti fino ad oggi poste in essere, deve reputarsi interamente caducato e da rinnovarsi, se del caso, sulla base di un valido atto di iniziativa.

La sentenza gravata merita dunque conferma, ma con diversa motivazione, in conformità a quanto sopra statuito: va quindi accolto il secondo motivo del ricorso originario e, consequenziale, deve ribadirsi l’annullamento degli atti con esso impugnati.

12. – Alla stregua di tutto quanto sopra osservato e considerato, il Collegio ritiene di poter prescindere dall’esame di ogni altro motivo o eccezione, in quanto ininfluenti e irrilevanti ai fini della presente decisione.

13. – Nella natura pubblica dei litiganti e nella novità delle questioni trattate si ravvisano elementi idonei a giustificare in via eccezionale l’integrale compensazione tra tutte le parti costituite delle spese processuali del doppio grado del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, dichiara improcedibile quello principale e conferma, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 16 dicembre 2010, con l’intervento dei signori: Raffaele Maria De Lipsis, Presidente, Filoreto D’Agostino, Gabriele Carlotti, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.

DDepositata in Segreteria il 19 maggio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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