Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 19-05-2011, n. 358 Enti locali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1) Il Comune di Caltanissetta impugnava innanzi al T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, il decreto assessoriale del 18 marzo 2009 con cui era stata autorizzata la consultazione referendaria sul progetto di variazione territoriale che prevedeva il distacco di una porzione del territorio e della popolazione del Comune ricorrente e la sua aggregazione al Comune di San Cataldo e con il quale si stabiliva che la consultazione riguardava i (soli) cittadini residenti nel territorio interessato allo scorporo.

Il ricorso era articolato in quattro motivi di censura.

In particolare, si deduceva:

a) – la violazione dell’art. 9, lett. b) e f) della legge regionale n. 30 del 2000, poiché il procedimento sarebbe stato caratterizzato dalla sola iniziativa del Consiglio del Comune di San Cataldo in luogo di due deliberazioni favorevoli allo scorporo che avrebbero dovuto prendersi a maggioranza assoluta da ciascuno dei consigli comunali interessati e in quanto l’iniziativa in argomento doveva essere assunta da almeno un terzo degli elettori residenti nei territori da trasferire;

b) – la violazione dell’art. 10, comma 2, della L.R. n. 30 del 2000 e dell’art. 10, lett. b) della L. n. 241 del 1990, in quanto il procedimento non sarebbe stato assistito dal previsto contraddittorio e poiché l’Assessorato non avrebbe considerato, in punto di motivazione, il parere non favorevole del Comune di Caltanissetta rispetto alla variazione territoriale, né i documenti presentati;

c) – violazione degli artt. 8 e 11 della L.R. n. 30 del 2000, anche in relazione all’art. 133, comma 2, della Costituzione, in quanto l’Assessorato non avrebbe valutato le ragioni in favore e contro lo scorporo;

d) – violazione dell’art. 8, commi 4, 5 e 7 bis della L.R. n. 30 del 2000, poiché il referendum, ove validamente autorizzato, avrebbe dovuto contemplare il diritto a parteciparvi di tutta la popolazione del Comune di Caltanissetta e non solo di quella residente nel territorio da scorporare.

2) Con sentenza n. 2650 del 10 marzo 2010, il giudice adito accoglieva il ricorso.

In particolare, detto giudice ha sostenuto che qualora l’iniziativa della variazione territoriale sia assunta da uno dei comuni interessati dalla variazione, la stessa deve ritenersi validamente assunta se i comuni "interessati alla variazione" vi provvedano "con deliberazioni consiliari adottate con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri in carica".

In sostanza, ribadendo quanto già osservato nella precedente pronuncia n. 2372 del 20 dicembre 2009, il T.A.R. ha affermato che l’iniziativa per la variazione di cui all’art. 9 della L.R. n. 30 del 2000 può essere assunta attraverso tutte le modalità ivi indicate; che, tuttavia, qualora essa sia esercitata dall’organo consiliare, il pronunciamento di un solo consiglio comunale è sufficiente nelle ipotesi in cui la variazione esaurisca gli effetti all’interno dell’unico comune interessato alla variazione, mentre in tutte le altre ipotesi occorrono le deliberazioni in senso favorevole alla variazione adottata da parte dei consigli comunali degli enti interessati.

Pertanto, posto che il procedimento ha visto l’assunzione dell’iniziativa unicamente da parte del Comune di San Cataldo, attraverso l’adozione della deliberazione consiliare n. 103 del 2005, seguita dalla deliberazione di approvazione del progetto (n. 61 del 2006) da parte dello stesso Comune, mentre il Comune di Caltanissetta con l’unica – successiva – deliberazione (n. 41 del 2007) ha manifestato il suo dissenso sull’iniziativa di variazione e non ha assunto alcuna determinazione nei sensi e con le modalità di cui all’art. 9, comma 1, lett. b) della L.R. n. 30 del 2000, detta iniziativa per la variazione in questione non potrebbe ritenersi validamente assunta, con la conseguenza che, l’Assessorato resistente non avrebbe potuto emanare l’impugnato provvedimento autorizzativo della consultazione referendaria.

Il T.A.R. accoglieva altresì i motivi di censura relativi all’assenza di contraddittorio e al difetto di motivazione.

3) Con separati ricorsi, contraddistinti rispettivamente con i numeri 700 e 756 del 2010, l’Assessorato regionale delle Autonomie locali e della funzione pubblica e il Comune di San Cataldo hanno proposto appello contro la summenzionata sentenza.

3.1.) L’Assessorato regionale ha contestato la tesi interpretativa recepita dal T.A.R., sostenendo che i soggetti, cui compete l’iniziativa delle variazioni territoriali indicate dall’art. 9 della L.R. n. 30/2000, sono tutti legittimati a esercitare la prerogativa e il diritto loro attribuiti, con riferimento alle fattispecie che in via generale la norma individua come casi tipo, non rilevandosi nessuna esclusività nell’attribuzione del potere di iniziativa medesimo, il quale, se ricorrono le condizioni, può essere esercitato in via complementare e/o alternativa dai soggetti potenzialmente legittimati.

3.2.) Censure analoghe sono contenute nell’appello proposto dal Comune di San Cataldo.

In particolare, come sostenuto dal Comune appellante, affermare la legittimità dell’iniziativa, se esercitata da uno solo dei comuni coinvolti, non significherebbe sminuire le valutazioni del comune contermine parimenti interessato dalla vicenda modificativa. Infatti, tali valutazioni, anche di segno contrario alla variazione territoriale, troverebbero congrua tutela nelle fasi successive a quella della mera presentazione della richiesta di referendum, stante la doverosa partecipazione di entrambi i comuni coinvolti nell’ambito della fase dell’istruttoria.

4) Resistono agli appelli le intimate amministrazioni.

5) Alla pubblica udienza del 16 dicembre 2010, i due appelli sono stati trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

1) I due appelli indicati in epigrafe, proposti avverso una stessa sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 96, 1° comma, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo).

2) Ai fini della risoluzione della controversia occorre prendere l’avvio dall’esame degli artt. 8, come integrato dall’art. 102 della L. n. 2/2002, e 9 della L. 23 dicembre 2000 (Norme sull’ordinamento degli enti locali), il cui testo va riportato per esteso: "Art. 8 Variazioni territoriali e di denominazione dei comuni.

1. Alle variazioni territoriali dei comuni si provvede con legge, previo referendum delle popolazioni interessate. Per variazioni dei territori comunali si intendono:

a) l’istituzione di uno o più comuni a seguito dello scorporo di parti del territorio di uno o più comuni;

b) l’incorporazione di uno o più comuni nell’ambito di altro comune;

c) la fusione di due o più comuni in uno nuovo;

d) l’aggregazione di parte del territorio e di popolazione di uno o più comuni ad altro comune contermine.

2. Le variazioni di denominazione dei comuni consistenti nel mutamento, parziale o totale, della precedente denominazione, sono anch’esse soggette a referendum sentita la popolazione dell’intero comune.

3. Per popolazioni interessate si intendono, nella loro interezza, le popolazioni del comune o dei comuni i cui territori devono subire modificazioni, o per l’istituzione di nuovi comuni, o per la fusione, o per l’incorporazione, o per cambio di denominazione o per il passaggio di parti di territorio e di popolazione da un comune all’altro.

4. Nelle ipotesi di istituzione di nuovi comuni o di aggregazioni di parte del territorio e di popolazione di uno o più comuni ad altro comune contermine, la consultazione referendaria non va riferita all’intera popolazione residente nei comuni interessati alla variazione qualora a questa non possa riconoscersi un interesse qualificato per intervenire nel procedimento di variazione che riguarda parte del territorio rispetto al quale essa non abbia alcun diretto collegamento e la variazione di territorio e popolazione, rispetto al totale, risulti di limitata entità.

5. In tale ipotesi le "popolazioni interessate" aventi diritto a prendere parte alla consultazione referendaria sono costituite esclusivamente dagli elettori residenti nei territori da trasferire risultanti dall’ultimo censimento ufficiale della popolazione.

6. Non si fa luogo all’istituzione di nuovi comuni qualora la popolazione del nuovo comune sia inferiore a 5.000 abitanti e la popolazione del comune o dei comuni di origine rimanga inferiore ai 5.000 abitanti.

6 bis. La superiore disposizione non si applica qualora in almeno due dei comuni di origine ed in quello istituendo la popolazione sia pari o superiore a 5.000 abitanti.

7. In tutti i casi previsti dalla presente legge il referendum è valido solo se vota la metà più uno degli aventi diritto.

7 bis. La consultazione referendaria è limitata agli abitanti residenti nel territorio del comune o dei comuni interessati alla costituzione di nuovo comune per scorporo di parti del territorio e di popolazione di altro o di altri comuni ovvero di aggregazione di parte del territorio e di popolazione di uno o più comuni a comune o comuni contermini, a condizione che la variazione di popolazione non sia superiore al 30 per cento della popolazione complessiva del comune.

8. Entro novanta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, il Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore regionale per gli enti locali, e previa deliberazione della Giunta, emana apposito regolamento per disciplinare tempi, modalità e procedure della consultazione referendaria" e "Art. 9 Potere di iniziativa del procedimento di variazione.

1. L’iniziativa dei procedimenti diretti alle variazioni territoriali spetta:

a) alla Giunta regionale;

b) al comune o ai comuni interessati alla variazione con deliberazioni consiliari adottate con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei consiglieri in carica;

c) ad un terzo degli elettori iscritti nelle sezioni del comune di cui si chiede il cambio di denominazione;

d) ad un terzo degli elettori iscritti nelle sezioni di ciascuno dei comuni interessati nell’ipotesi di incorporazione e di fusione;

e) ad un terzo degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune o di ciascuno dei comuni interessati negli altri casi di variazioni territoriali;

f) nei casi ove la consultazione referendaria non vada riferita all’intera popolazione ma solo a coloro che hanno un diretto collegamento con il territorio di cui si chiede la variazione, l’iniziativa compete ad un terzo degli elettori residenti nei territori da trasferire".

Sebbene l’art. 9 non costituisca un brillante esempio di drafting normativo, è tuttavia evidente che la disposizione, la quale elenca i vari titolari del potere di iniziativa nelle ipotesi di variazioni territoriali e di denominazione dei comuni, debba essere interpretata al lume del precedente art. 8, nel quale sono, tra l’altro, dettate alcune definizioni normative rilevanti (come le nozioni di "variazione territoriale", "variazione di denominazione", "popolazioni interessate", ecc.), declinate le ipotesi di variazione territoriale e delineato il procedimento da seguire, inclusa la fase della consultazione referendaria. Difatti l’art. 9 si occupa unicamente dell’attribuzione del potere di iniziativa qualora debba essere avviato un procedimento destinato a concludersi con una variazione del genere sopra indicato.

Il principale difetto del citato articolo risiede nel fatto che la previsione contiene, per l’appunto, una mera elencazione degli organi, degli enti e dei soggetti collettivi muniti del potere di iniziativa (peraltro, inserendo tra le varie ipotesi anche la fattispecie del cambio di denominazione) senza tuttavia preoccuparsi di differenziare le singole ipotesi in relazione alla casistica normativa tratteggiata nel comma 1 del precedente art. 8. Tale assenza di alcun nesso di precisa correlazione tra le due norme può condurre, come avvenuto nella fattispecie (v. infra), a conclusioni che, seppure ammissibili sul piano strettamente letterale, si rivelano tuttavia non coerenti con un’utile applicazione della legge regionale.

Se, invero, deve presumersi che, attraverso i predetti artt. 8 e 9, il Legislatore regionale abbia, tra l’altro, perseguito lo scopo di razionalizzare la disciplina delle procedure di variazione territoriale, allora spetta all’interprete espungere, dal novero delle possibili opzioni ermeneutiche virtualmente consentite dal tenore letterale delle suddette disposizioni, tutte quelle esegesi che siano suscettibili, in contrasto con le riferite finalità della legge, di originare o di incrementare il fisiologico contenzioso territoriale tra i comuni o che, ancor peggio, rischino di agevolare condotte opportunistiche o egemoniche di singoli enti territoriali.

In questa prospettiva, volta alla selezione delle più ragionevoli letture applicative del dato normativo controverso, il Collegio ritiene che l’art. 9 debba essere interpretato nei termini di seguito precisati.

Innanzitutto la disposizione assegna l’iniziativa a tre distinti attori istituzionali: I) alla Regione (lett. a) e, specificatamente, all’organo esecutivo; II) ai comuni (lett. b), ma attribuendo il relativo potere all’organo assembleare; III) al corpo elettorale (lett. c, d, e, f).

Le ipotesi I), II) e III) di cui al precedente alinea non si pongono però sullo stesso piano: ed invero, l’iniziativa della Giunta regionale e pure quella dei comuni sono espressione di altrettanti poteri di carattere generale e, quindi, si configurano come sempre attivabili, qualunque sia lo specifico procedimento da seguire in relazione ai casi individuati nei commi 1 e 2 dell’art. 8; in altri termini, la Giunta regionale e i consigli comunali sono in ogni caso legittimati ad attivare il procedimento disciplinato dalla L. n. 30/2000, a prescindere dal tipo di variazione da realizzare.

Diversamente le lett. c), d) e) ed f), riferite al corpo elettorale (rectius: a un terzo del corpo elettorale del territorio o della porzione di territorio interessati alle variazioni), riguardano specifiche ipotesi, nelle quali l’iniziativa spetta anche, in via concorrente, al corpo elettorale.

Per chiarire il concetto appena espresso può farsi l’esempio del cambio di denominazione: in questo caso la legittimazione spetta alla Giunta regionale, al consiglio comunale, nonché a un terzo degli elettori iscritti nelle sezioni del comune di cui si chiede il cambio di denominazione (lett. c) dell’art. 9.

Analogamente l’iniziativa, nel caso dell’istituzione di un nuovo comune a seguito dello scorporo di una parte del territorio di un solo comune, apparterrà alla Giunta regionale, al consiglio comunale dell’ente territoriale preesistente rispetto allo scorporo, nonché, in via concorrente, a un terzo degli elettori iscritti nelle liste elettorali dello stesso comune (lett. e) dell’art. 9, a meno che non ricorra l’ipotesi peculiare di cui al comma 4 dell’art. 8, posto che in questo caso, il corpo elettorale da prendere in considerazione ai fini dell’iniziativa sarà quello di cui alla lett. f) dell’art. 9.

Se quelle appena illustrate sono, secondo il Collegio, le fondamentali coordinate esegetiche che devono orientare l’applicazione della previsione in esame, va fatta tuttavia un’importante precisazione con riguardo all’ipotesi dell’iniziativa dei consigli comunali.

In questo caso, come sopra osservato, la lett. b) dell’art. 9 consentirebbe in astratto di ritenere che il procedimento, anche quando la variazione interessi il territorio di due o più comuni, possa essere avviato a seguito della deliberazione di un solo consiglio comunale (di uno dei comuni interessati), con la conseguenza di coinvolgere gli enti contermini (e le relative popolazioni), finanche contro la loro volontà, in un procedimento di variazione eventualmente attivato a loro danno: è esattamente questa la vicenda dalla quale ha tratto origine la presente controversia e che, probabilmente, costituisce anche l’ipotesi, statisticamente più frequente, di applicazione della L. n. 30/2000.

Ebbene il Collegio ritiene che, in tali fattispecie, in cui un comune manifesti delle pretese rispetto a parte del territorio e della popolazione di un altro comune, l’indicazione disgiuntiva del "comune" o dei "comuni", contenuta nell’incipit della lett. b) dell’art. 9, vada interpretata in coerenza con l’oggetto dell’art. 8: in altre parole, si devono distinguere le ipotesi in cui la variazione territoriale riguardi un solo comune dai casi in cui la variazione interessi due o più comuni. Insomma, la legittimazione attiva di carattere generale di cui all’art. 9, comma 1, lett. b), non spetta indifferentemente "al comune o ai comuni interessati", ma essa competerà al "comune" soltanto qualora un unico comune sia interessato alla variazione territoriale; per contro, l’iniziativa spetterà congiuntamente a tutti i "comuni interessati" ogniqualvolta la variazione territoriale, oggetto del procedimento, investa le circoscrizioni di due o più comuni.

In altri termini, nel caso di variazioni territoriali di dimensione ultracomunale, il procedimento in questione potrà essere attivato soltanto sull’accordo di tutti i comuni interessati, fatta ovviamente salva la potestà generale d’iniziativa della Regione e la concorrente legittimazione del corpo elettorale.

Una diversa interpretazione darebbe difatti luogo a esiti suscettibili di porsi in plateale contrasto con le predette finalità di razionalizzazione del procedimento perseguite dal Legislatore regionale. Ed invero, laddove dovesse riconoscersi il potere di iniziativa in capo al singolo consiglio comunale anche quando la variazione consista, ad esempio, nell’aggregazione di parte del territorio e di popolazione di un comune ad un altro comune, allora ogni amministrazione civica potrebbe attivare un procedimento in danno di altre e anche contro il volere dei comuni contermini, costringendo così la Regione alla difficile gestione di molte istruttorie e al delicato governo di un contenzioso, potenzialmente vastissimo e, perfino, idoneo a veicolare, nel peggiore degli scenari possibili, anche pretese strumentali o innescate da situazioni contingenti.

Al lume del principio di buon andamento che sempre deve orientare l’interpretazione delle disposizioni amministrative, va dunque bandita un’esegesi a tal punto irragionevole da risolversi in una vera e propria eterogenesi delle finalità sottese allo specifico plesso normativo.

Depone, del resto, a favore dell’interpretazione sopra tratteggiata anche la considerazione dell’autonomia e della dignità costituzionale solennemente riconosciuta all’ente comune dalla Carta Fondamentale ( artt. 5 e 114 Cost.). Può invero pacificamente ritenersi che siffatta posizione, costituzionalmente qualificata, sia anche funzionale alla migliore tutela delle prerogative di cui gode ciascun ente locale, tra le quali vi è certamente il riconoscimento di un "diritto" all’integrità del proprio territorio (inteso come elemento costitutivo e identitario di qualunque categoria di enti in cui si articola la Repubblica ai sensi dell’art. 114 Cost.) e della relativa popolazione (si veda, al riguardo, l’art. 133 Cost.).

Siffatta autonomia può dunque realizzarsi pienamente soltanto nel quadro di un sistema di relazioni, tra enti appartenenti al medesimo livello di governo, strutturato all’insegna dei fondamentali canoni della consensualità e della leale collaborazione, essendo questi gli unici principi regolatori compatibili con la pari dignità sopra evocata: pertanto, sul piano interpretativo, vanno ripudiate tutte quelle analisi ermeneutiche del dato positivo che possano tradursi, in una visione non costituzionalmente orientata, in un vulnus della pari ordinazione tra i comuni. Ebbene, detta lesione indubbiamente si produrrebbe qualora si consentisse a un comune di avviare un procedimento di variazione che interessi il territorio di un altro o di altri comuni, senza aver preventivamente ottenuto l’assenso delle amministrazioni "contro interessate".

In conclusione, l’art. 9, comma 1, lett. b), della L. n. 30/2000 va interpretato nel senso che, quando la variazione territoriale (quali: lo scorporo di parti del territorio di due o più comuni, l’incorporazione di uno o più comuni, la fusione di due o più comuni, l’aggregazione di parte del territorio e della popolazione di un diverso comune o di altri comuni) interessi due o più comuni, allora l’iniziativa potrà essere assunta soltanto sulla base di congiunte e conformi deliberazioni dei consigli di tutti i comuni interessati.

3) In conclusione, per le suesposte considerazioni, prescindendosi dall’esame di ogni altro motivo o eccezione, in quanto ininfluenti e irilevanti ai fini della decisione, gli appelli vanno respinti con conseguente conferma della sentenza appellata.

Tenuto conto della natura pubblica dei litiganti e della novità della controversia, si ravvisano giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio per entrambi i ricorsi riuniti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, previa riunione degli appelli indicati in epigrafe, li respinge.

Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari del giudizio per entrambi gli appelli riuniti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 16 dicembre 2010, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Raffaele Maria De Lipsis, Presidente, Filoreto D’Agostino, Guido Salemi, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

Depositata in Segreteria il 19 maggio 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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