Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-02-2011) 18-05-2011, n. 19525

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Milano con sentenza del 9.7.2009, in parziale riforma della sentenza del 9.7.2008 emessa dal GUP di Milano, riduceva la pena inflitta al C. ad anni cinque e di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa per tentativo di estorsione.

Posto che i fatti erano pacifici (tentativo di estorsione ai danni dei responsabili di un supermercato con la minaccia di non far ritrovare dei prodotti alimentari avvelenati) la Corte territoriale rilevava che non vi era alcun motivo per ritenere, come dedotto nei motivi di appello, che la condanna fosse stata irrogata per estorsione consumata e non per il mero tentativo come da rubrica.

Inoltre appariva inapplicabile l’art. 56 c.p., comma 3 in quanto l’attività dei due complici era continuata e il C. aveva aiutato il B. procurando allo stesso la vettura con cui recarsi a Milano. Inoltre al C. non poteva essere applicata l’attenuante di cui all’art. 114 c.p. in quanto il suo ruolo non era stato minore; il ricorrente era stato sempre in contatto con i coimputati ed aveva offerto un notevole contributo di ordine logistico.

Ricorre l’imputato che con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 521 c.p.p.: nella sentenza impugnata non vi era stata alcuna riduzione di pena per il tentativo; la pena irrogata di anni sette di reclusione era superiore al massimo edittale, così come l’aumento disposto per la recidiva fissato nel suo massimo.

L’affermazione della sentenza di non applicare la pena nel suo massimo si poteva spiegare solo con il fatto che non era stato ritenuto il mero tentativo. Il nuovo calcolo effettuato dalla Corte di appello arrivava ad una pena più bassa di quello scelta in prime cure, ma il procedimento era viziato stante gli errori compiuti dal giudice di primo grado.

Con il secondo motivo si rileva la carenza motivazionale della sentenza impugnata in ordine alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 114 c.p.. Le telefonate e le minacce intimidatorie erano state sempre eseguite dai coimputati, il C. era stato solo informato dell’andamento degli eventi, ma passivamente. Il N. era creditore del C. e pretendeva il denaro, il C. era stato coartato a partecipare seppure con un ruolo del tutto minore.

Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 99 c.p., comma 6. L’incremento di pena per la recidiva non poteva superare il cumulo delle pene risultante dalla condanne precedenti e quindi non poteva arrivare oltre i due anni di reclusione ed in ogni caso la riduzione rispetto alla pena inflitta in primo grado in relazione all’esclusione della recidiva specifica doveva essere più ingente a partire dai due anni consentiti.

Infine si deduce che mancava ogni motivazione per giustificare il rilevante incremento di pena pari a ben un anno e mesi sei di reclusione per la recidiva infraquinquennale.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa il primo motivo la Corte di appello ha già esaurientemente risposto: l’imputato è stato condannato per il reato "a lui ascritto", cioè per l’ipotesi tentata e quindi il fatto che non abbia esplicitato la diminuzione per il tentativo non può che volere dire che la stessa è stata calcolata direttamente. La pena irrogata in primo grado non supera i limiti posto che si tratta di un’ipotesi aggravata.

Circa il secondo motivo, anche in questo caso, la Corte ha già risposto in modo esauriente e logicamente ineccepibile. Il ruolo dell’imputato non è stato affatto minore; il ricorrente è stato sempre in contatto con i coimputati ed ha offerto un notevole contributo di ordine logistico. Il motivo è generico e meramente reiterativo di quanto dedotto in appello: le spiegazioni offerte per il rilevante ed oggettivo coivolgimento dell’imputato sono state ritenute inattendibili dai giudici di merito.

Circa il terzo motivo, il nuovo calcolo della pena eseguito in appello non viola l’art. 99 c.p., comma 6. Il quarto motivo è del tutto generico avendo la Corte di appello motivato congruamente in ordine alla personalità del ricorrente denegando anche la concessione delle chieste attenuanti generiche.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *