T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 19-05-2011, n. 2732 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1- A mezzo del ricorso in esame, notificato il 27 ottobre 2010 e depositato il successivo 7 novembre, i sig. ri A.S. e A.P., nelle qualità di rappresentanti legali della "G. s.r.l." (la prima sino al 21 luglio 2010 ed il secondo da tale data in avanti), si dolgono in primo luogo del provvedimento del dirigente del II Dipartimento del Comune di Pozzuoli prot. n. 34249 del 4 ottobre 2010 con il quale è stata ingiunta la demolizione di una serie di opere abusivamente intraprese in quanto non assentite da "opportuni atti permessivi" e "non previste nelle istanze di condono" presentate nel 1995, ex l. 724 del 1994, e nel 2004, ex l. 326 del 2003.

1a- Partitamente ad esser contestata è la realizzazione, su di immobili siti in Contrada Pisciarelli, n. 2, sede (oggi, per effetto di quanto appresso si dirà) di esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, delle opere come appresso descritte nel dettaglio:

"1) apertura di un varco di accesso pedonale di larghezza di mt. 2,10 circa e relativa installazione di cancello metallico nel muro di recinzione prospiciente la via Pisciarelli e sostituzione della ringhiera con una nuova recinzione costituita da pannelli modulari con vetro antisfondamento trasparenti, uniti a mezzo di intelaiatura bullonota ai relativi piantoni;

2) manufatto (ex tettoia) chiuso perimetralmente con pareti formate in parte da pannelli in lamiere coibentate e parte in muratura, con copertura in lamiere coibentate, munito di n. 2 porte ed una finestra;

3) fusione di due unità immobiliari, oggetto di richieste di condono edilizio, in unico locale adibito a bar, attivo e funzionante, mediante la demolizione della tramezzatura che li divideva".

2- L’impugnativa è stata poi estesa al separato provvedimento, prot. n. 32704 del 19 ottobre 2010, a firma del dirigente del Settore attività e sviluppo economico del Comune, che dispone la sospensione dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovverosia delle relative autorizzazioni amministrative rilasciate nel gennaio del 2010, "fino a quando non saranno eliminate tutte le difformità dello stato dei luoghi e sanati tutti gli abusi edilizi riscontrati" (con il provvedimento emesso dal dirigente del II Dipartimento di cui innanzi) "non potendo l’attività… esercitarsi in presenza di difformità dello stato dei luoghi, che rappresentano violazione all’art. 9 del T.U.L.P.S e del Regolamento comunale di igiene e sanità pubblica, approvato con delibera consiliare n. 108 del 16 aprile 2003" e visti "l’art. 3 e 17 bis della l. n. 287 del 1971", nonché "l’art. 9 del R.D. n. 773 del 1931".

3- La società ricorrente, che agisce in persona dei suoi due legali rappresentanti protempore innanzi indicati, assume di essere titolare di contratto di fitto del compendio immobiliare consistente "in due locali commerciali della superficie di ca. mq. 40 ciascuno con spazio aperto antistante di ca. mq. 90 e in un locale ad uso deposito di ca. mq. 16", sito in Pozzuoli, nella anzidetta Contrada Pisciarelli, n. 2 e ricadente "in zona D11- Industriale, artigianale e commerciale di ristrutturazione ed integrazione" del P.R.G. ed "in zona A.I. Recupero aree industriali" del P.P.T. dei Campi Flegrei.

La copia del contratto versata in atti è priva delle ultime due pagine, ma dal timbro datario sul suo frontespizio (recante la data del 27 maggio 2009) e dal suo punto 5) ai cui sensi la locazione esennale ha inizio dal 4 maggio 2009 si trae la sua risalenza a detta epoca.

Detta circostanza, come si vedrà in prosieguo, assume anch’essa rilievo ai fini della definizione della causa, riportando il contratto al suo interno la descrizione del compendio immobiliare locato.

Espone poi:

– di aver avanzato, in data 3 agosto 2009, denuncia di inizio attività ex art. 22 d.P.R. 380 del 2001 "per la fusione degli anzidetti due locali commerciali" e contestuale realizzazione di "opere interne di ordinaria manutenzione" e di aver comunicato al Comune di Pozzuoli l’avvenuta esecuzione delle opere con foglio del 13 settembre successivo;

– di aver "comunicato", in data 6 luglio 2010, ex art. 6 d.P.R. 380 del 2001 cit. che avrebbe provveduto a "sostituire la ringhiera metallica" di delimitazione dello spazio esterno con altra "recinzione a carattere rimovibile costituita da pannelli di vetro";

– di aver avanzato, in data 21 luglio 2010, altra denuncia di inizio attività ex art. 22 ripetuto d.P.R. 380 del 2001 per la "realizzazione di opere interne al deposito" e di averne comunicato l’avvenuta esecuzione con foglio del 13 settembre successivo.

Riferisce infine di aver ottenuto, previo sopralluogo dei funzionari del Settore Attività e Sviluppo Economico del Comune, autorizzazioni amministrative n. 2316 e n. 2317 del 19 gennaio 2010 per la somministrazione di alimenti e bevande all’interno del locale derivato dalla fusione dei due preesistenti.

4- A siffatta esposizione in fatto ed alle delucidazioni offerte a supporto dell’interesse al ricorso e della sua ammissibilità, quale proposto in via collettiva e cumulativa avverso i due provvedimenti fra loro connessi (non contestata ex adverso e della quale il Collegio non dubita), seguono due serie di denunce: la prima avverso l’ordinanza n. 34249 del 4 ottobre 2010, recante l’ordine di "riportare il manufatto alle condizioni di cui alle istanze di condono edilizio"; la seconda avverso la successiva ordinanza n. 32704 del 19 ottobre 2010 con la quale, in dipendenza degli abusi contestati con il primo provvedimento, è disposta la sospensione delle autorizzazioni commerciali, come già detto "fino a quando non saranno eliminate tutte le difformità dello stato dei luoghi e sanati tutti gli abusi edilizi riscontrati".

5- Il Comune di Pozzuoli si è costituito in giudizio a sostegno del proprio operato depositando apposita memoria difensiva.

6- Con ordinanza collegiale n. 2301 del 24 novembre 2010, nelle more degli approfondimenti ivi dichiarati possibili solo nella sede del merito, è stato concesso ingresso all’invocata tutela cautelare e fissato il prosieguo per la definizione del merito all’odierna pubblica udienza del 4 maggio 2011.

7- In vista della stessa, entrambe le parti hanno depositato memorie conclusionali per ribadire assunti e conclusioni, nonché per replicare alle avverse deduzioni.

Il Comune ha anche versato in atti le copie delle istanze di condono edilizio prodotte in riferimento all’immobile.

8- Venendo alla fase valutativadecisionale, giova partire dal dato che, a seguito della produzione in atti delle tre distinte istanze di condono risalenti al 31 marzo 1995 (rispettivamente n. 18923, 18936 e 18937), si è acquisita certezza del fatto che le stesse si riferiscono a tre distinti manufatti: il primo ed il terzo indicati come: "autorimessa" (foglio 45, particella 914, sub numero 15 il primo e 16 il terzo) ed il secondo come "laboratorio per arti e mestieri" (foglio 45, particella 914, sub n. 18).

Ed ancora è stato acquisito il dato che nel dicembre del 2004, sempre con separate istanze, la prima acquisita al protocollo del Comune in data 14 dicembre sub n. 49626 e la seconda, nella stessa data, sub n. 49632, per i due manufatti indicati come "autorimessa" è sta chiesta, in ciascuna delle separate istanze, la "sanatoria" degli illeciti qui descritti come "cambio di destinazione senza opere da attività artigianale a commerciale".

8a- Tali dati possono adesso esser posti in correlazione con i contenuti del contratto di locazione stipulato nel 2009 fra la parte odierna ricorrente e la parte proprietaria dei suddetti locali: in contratto descritti come "due locali commerciali della superficie di ca. mq. 40 ciascuno con spazio aperto antistante di ca. mq. 90 e vicino locale ad uso deposito di ca. mq. 16".

Stante anche la corrispondenza delle superficie ne risulta confermato (né peraltro il dato è posto in discussione) che i due locali commerciali corrispondono alle due distinte autorimesse ed il deposito al laboratorio di arti e mestieri.

Orbene, sempre per come si legge nel contratto, "la parte conduttrice" (l’odierna ricorrente) "prende atto che gli immobili si trovano allo stato grezzo senza infissi e pavimenti e nel prendere possesso ne assume la custodia. La conduttrice, esonerando la locatrice da ogni responsabilità, si impegna a completare gli immobili a proprie cure e spese, rendendoli locativamente utilizzabili con l’effettuazione di qualunque opera all’uopo occorrente, quale, esemplificativamente, intonaco, pitturazione, posa in opera di pavimenti, infissi esterni ed interni, realizzazione dell’impianto idraulico di carico e scarico, elettrico, fognario, etc.".

8b- Dal coacervo descrittivo di cui innanzi si ricavano due elementi: il primo relativo alla separazione ed alla autonomia dei tre distinti locali ed il secondo che al 2009 gli stessi non erano locativamente utilizzabili abbisognando, quanto meno, della serie di opere partitamente descritte che precedono l’etc.

E se ne trae anche la preoccupazione della locatrice che ha cura di far inserire in contratto la precisazione in ordine al suo esonero da ogni responsabilità.

9- Come innanzi già riferito la conduttrice a questo punto ha proposto le progressive denunce di inizio attività di cui sopra ed eseguite le (prime) opere ha ottenuto l’autorizzazione commerciale pure innanzi indicata.

Nella sede amministrativa, cioè, si è anticipato il percorso poi riproposto nella presente sede giudiziaria (qui tradottosi in tesi difensive separate), sostanziantesi in una parcellizzazione degli interventi tesa a realizzare le condizioni per dar luogo dapprima fisicamente ad un’unica struttura commerciale di somministrazione di alimenti e bevande (bar), fin lì inesistente, e, quindi, sulla scorta di tale presupposto fattuale, ottenere le autorizzazioni necessarie per poi proseguire con ulteriori lavorazioni sempre funzionali alla struttura medesima.

10- Se non che, nella situazione di partenza data, tale percorso non può essere ammesso per le ragioni che seguono e che, già di per sé, sono sufficienti a precludere l’ingresso alle doglianze attoree.

In primo luogo, infatti, deve convenirsi con la replica dell’amministrazione secondo cui alcun silenzio assenso poteva formarsi sulle istanze di condono "ai sensi dell’art. 35 della l. 47 del 1985, non essendo intervenuto il parere della Soprintendenza".

Parte ricorrente tenta di sfuggire a tale ineluttabile conseguenza, negando la necessità di detto parere in quanto in presenza "di opere interne per le quali non necessitava autorizzazione dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo", gravante, come essa stessa ammette, "su tutto il territorio comunale".

Se non che l’affermazione non corrisponde alla situazione data che vede l’assenza di opere interne riferita ai condoni del 2004 e non già a quelli del 1995, riferiti ai tre locali, realizzati abusivamente sul territorio assoggettato al vincolo paesaggistico fin dal 1957 (con d.m. del 12 settembre 1957, come precisato in seno al primo provvedimento impugnato) e quindi fatti oggetto delle tre richieste.

Ne deriva che alcun dubbio sussiste sulla perdurante pendenza delle diverse istanze di condono a partire da quelle primigenie, la cui positiva definizione può aver luogo solo a seguito del rilascio del parere favorevole della Soprintendenza, di cui all’art. 32 della l. 47 del 1985 che qualifica come rifiuto il silenzio fatto maturare dall’amministrazione statale e ne prevede espressamente l’impugnabilità.

In difetto di tale parere -per pacifica giurisprudenza ad essere favorevole per costituirne utile presupposto (cfr. fra le ultime, Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, n. 2105)- il silenzio assenso sulle istanze di condono non può formarsi, posto che il termine dei ventiquattro mesi previsti dalla legge in questo caso, ex combinato disposto degli artt. 35, comma 19, e 32, comma 1, della l. 28/2/1985 n. 47, inizia a decorrere per l’appunto dall’emissione del parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.

E ciò a tacere che, per quanto afferisce alle istanze di condono del 2004, ricadenti quindi nell’ambito del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, conv. nella l. 24 novembre 2003 n. 326, ove in via di mera tesi potesse predicarsene l’autonomia, l’istituto del silenzioassenso non può trovare applicazione, ostandovi, in Campania, le contrarie previsioni contenute nella l. reg. 18 novembre 2004 n. 10, secondo la quale, in generale, queste domande di condono devono essere definite con provvedimento espresso entro il termine di 24 mesi dalla presentazione, il cui decorso non equivale a titolo abilitativo in sanatoria, ma configura un mero inadempimento avverso il quale, a fronte dell’inerzia dell’amministrazione comunale, è stata espressamente prevista l’applicazione dell’art. 4 l. reg. 28 novembre 2001 n. 19, che disciplina l’esercizio dell’intervento sostituivo da parte dell’amministrazione provinciale competente, ed è sempre (anche qui) azionabile la tutela giurisdizionale ai sensi dell’art. 21 bis l. n. 1034 del 1971 (cfr., sul punto, fra le altre, Tar Campania, Napoli, sez. II, 2 dicembre 2009, n. 8325).

11- Una volta accertata la pendenza delle istanze di condono, per quanto afferisce alla parte di impugnativa relativa ai manufatti oggetto delle stesse (in disparte quindi il varco di accesso e la recinzione di cui si dirà in avanti) non resta al Collegio che fare applicazione della sua stessa, costante, giurisprudenza ai cui sensi "in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche) ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente" (cfr. Tar Campania, Napoli, questa sesta sezione, ex multis, sentenze 30 marzo 2011, n. 1855; 3 dicembre 2010, n. 26788; 5 maggio 2010, n. 2811, 10 febbraio 2010, n. 847 e 28 gennaio 2010, n. 423; negli stessi sensi: sezione seconda, 7 novembre 2008, n. 19372; Cass. penale, sezione terza, 24 ottobre 2008, n. 45070), sicchè non può ammettersi "la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive" (Tar Campania, sempre questa sesta sezione, cfr. ancora 5 maggio 2010, n. 2811 cit. e 9 marzo 2006, n. 2834; e cfr. anche, negli stessi sensi, Tar Campania, Salerno, sez. II, 3 marzo 2011, n. 379), con conseguente "obbligo del comune di ordinarne la demolizione" (così in particolare le ultime della Sezione sopraindicate, ai cui ampi contenuti argomentativi può per brevità rinviarsi).

12- Come ancora ricordato più volte sempre dalla Sezione, quanto sopra non significa negare in assoluto la possibilità di intervenire su immobili rispetto ai quali pende istanza di condono, ma solo affermare che, a pena di assoggettamento della medesima sanzione prevista per l’immobile abusivo cui ineriscono, ciò deve avvenire -come qui puntualmente replicato dall’amministrazione resistente- nel rispetto delle procedure di legge, ovvero segnatamente dell’art. 35 della l. n. 47 del 1985, ancora applicabile per effetto dei rinvii operati dalla successiva legislazione condonistica (art. 39 della l. 23.12.1994, n. 724 ed art. 32 della l. 24.11.2003, n. 326).

12a- Procedura (qui non avutasi ed invece) a seguirsi rigidamente anche per quanto attiene alle modalità di presentazione dell’istanza, sia al fine di conferire certezze in ordine allo stato dei luoghi che ad evitarsi postumi (tentativi di) disconoscimenti della circostanza che, come previsto dalla legge, l’esecuzione delle opere, pur se autorizzate, avviene sotto la propria responsabilità, ovverosia nella piena consapevolezza -resa esplicita dal ricorso espresso alla procedura ex art. 35 cit.- che, sebbene interventi di natura eminentemente conservativa (ossia diversi da quelli qui invece realizzati a mezzo soprattutto della fusione dei due locali) possono essere ammessi, si sta agendo assumendo espressamente a proprio carico rischi e pericoli connessi, cosicché se il condono verrà negato si dovrà demolire anche le migliorie apportate (cfr. la giurisprudenza della Sezione già sopra riportata).

E tanto in un contesto in cui la giurisprudenza della Sezione, di cui pure qui va fatta applicazione, ha avuto ancora modo di precisare che nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accaduto, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che "la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione" (cfr. in tali sensi, Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, 30 marzo 2011, n. 18553 cit., ma anche 3 dicembre 2010, n. 26787; 16 aprile 2010, n. 1993; 25 febbraio 2010, n. 1155; 9 novembre 2009, n. 7053; Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 11 marzo 2010, n. 584), e che il globale intervento incidente "sia sugli interni che sugli esterni, non consente una sua scomposizione in distinte fasi, cosicché possano individuarsi interventi soggetti ad autorizzazione ed altri soggetti a concessione, ma va valutato nella sua unitarietà e risulta soggetta al regime concessorio" (così la giurisprudenza della Sezione cit. e Tar Puglia, Bari, sezione seconda, 16 luglio 2001, n. 2955).

13- In assenza di ricorso alla ripetuta procedura prevista dalla legge, ne deriva la legittimità della sanzione demolitoria: per quanto riferita alle (sole) opere aggiuntive non previste nelle istanze di condono, come chiarito nel provvedimento.

Il che, a prescindere da quanto si dirà in avanti, in questa sede in cui non viene in evidenza la fase esecutiva, priva di rilevanza quella parte di denuncia attorea volta a sostenere la preesistenza del locale adibito a deposito, indicato nel provvedimento come "manufatto ex tettoia", nella sua attuale perimetrazione; ed invero, è pacifico che l’ordinata riduzione in pristino di tale parte anche qui consiste nel riportare il manufatto allo status originario quale desumibile dalla documentazione allegata all’istanza di condono.

14- Dovere di completezza, legato anche alla circostanza che resta da definire la sorte delle opere interessanti l’esterno non legato alle istanze di condono, impone tuttavia di non arrestare il discorso, ma di occuparsi anche delle denunce di inizio attività.

Parte ricorrente, dopo aver sostenuto l’avvenuta definizione positiva delle istanze di condono, tesi questa di cui è stata fatta innanzi giustizia, assume che tutte le opere realizzate non abbisognavano "di autorizzazione paesaggistica come opinato dal Comune" (nel contestare la carenza di atti permissivi, al plurale, in presenza del vincolo paesaggistico).

Non -asseritamente- il varco e la recinzione costituenti interventi manutentivi che non innova(va)no il preesistente stato dei luoghi, non gli interventi sui manufatti, in quanto risolventisi in sole opere interne.

14a- Così non è.

Ed invero, anche in disparte la sopraindicata necessità di valutare l’intervento nella sua globalità:

– le dimensioni del varco, del cancello e della recinzione, costituita da pannelli modulari ad evidente servizio della neonata unica struttura, certamente costituiscono trasformazione del territorio, abbisognevole di autorizzazione paesaggistica ex art. 149 del d. l.vo 42 del 2004;

– alle stesse conclusioni deve pervenirsi rispetto alle opere che hanno interessato i manufatti esistenti, sia alla luce della fusione fra i primi due (assoggettati a distinte istanza di condono ed incidenti su diversi sub particellari), che non può esser realizzato a mezzo di abbattimento di un tramezzo interno, sia in quanto, rispetto al terzo (al deposito – già laboratorio), è la stessa parte ricorrente ad ammettere difformità incidenti sull’esterno (cfr. pag. 9 del ricorso).

Può aggiungersi che il su esposto avviso del Collegio trova conferma anche dai contenuti del d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139, recante il regolamento del procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità che (se pur sopravvenuto rispetto all’epoca di realizzazione degli interventi qui all’esame) la necessità della stessa, ancorchè a mezzo della prevista procedura semplificata, conferma: rispetto agli interventi indicati nell’elenco allo stesso allegato, al cui interno è dato rinvenire anche quelli di cui qui trattasi (cfr. numeri 2, 4, 11 dell’Allegato 1).

Ne deriva la infondatezza delle singole denunce attoree, volte a negare, per ciascun intervento sanzionato, la necessità del titolo abilitativo in discorso.

15- E ne deriva, a cascame, l’infondatezza della doglianza secondo cui l’amministrazione non avrebbe potuto dispiegare i suoi poteri sanzionatori senza far luogo alla previa formale rimozione dei titoli abilitativi edilizi formatisi per silentium al decorso dei trenta giorni previsti dalla legge.

Ed invero, come ancora replicato dalla parte resistente, in difetto di autorizzazione paesaggistica le denunce di inizio attività sono prive di valore legale.

Più precisamente, come ancora ricordato in più occasioni dalla Sezione, per gli interventi edilizi su manufatti in zona vincolata la denuncia di inizio attività costituisce titolo abilitativo solo se sia già stato rilasciato il nullaosta dall’autorità preposta alla tutela del vincolo medesimo. Ciò perché, il termine dei trenta giorni imposto dal primo comma dell’art. 23 del d.P.R. 380 del 2001 inizia(va) a decorrere soltanto "dal rilascio dell’atto di assenso" sotto l’aspetto paesaggistico, come precisato dal successivo comma 3 dello stesso articolo 23 (cfr., per tutte, la più ampia disamina operata in seno alla pronuncia n. 35 del 10 gennaio 2011 che richiama nel suo seno anche la Cassazione penale, sez. III, 11 maggio 2010, n. 11793).

16- Infine, è ancora il caso di precisare come la prima denuncia di inizio attività del 3 agosto 2009, sulla cui scorta si è avuta la fusione dei due (ripetuti distinti) locali, in alcuna parte dà atto della stessa, denunciandosi, suo tramite -genericamente, a mezzo di sbarramento delle apposite caselle del modulo prestampato- "Opere interne…" e "Altro: Sistemazione delle facciate (intonaco) e degli spazi esterni".

In definitiva, e fuor da equivoci, nelle descritte condizioni, il mero riferimento all’insistere i due manufatti all’interno di un "capannone" non meglio definito e configurato, non è sufficiente alla bisogna.

17- Così esaminate e respinte tutte le censure rivolte avverso il primo provvedimento, non può che rigettarsi anche l’impugnativa proposta avverso il secondo provvedimento: come detto, intervenuto per dispone la sospensione dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ovverosia delle relative autorizzazioni amministrative rilasciate nel gennaio del 2010 "fino a quando non saranno eliminate tutte le difformità dello stato dei luoghi e sanati tutti gli abusi edilizi riscontrati".

Avverso lo stesso, infatti, non sono state proposte denunce autonome, sicchè, pacificamente, come ancora replicato dal Comune, deve concludersi che l’amministrazione ha fatto corretto utilizzo delle previsioni regolamentari e di legge (n. 287 del 1991) espressamente richiamate in seno al provvedimento, ai cui sensi l’accertata violazione della normativa edilizia/urbanistica/paesaggistica "così come inibisce il rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, impone al Comune di utilizzare il generale potere di revoca dell’atto ampliativo già rilasciato" (Tar Campania, sezione terza, 3 febbraio 2010, n. 556).

18- In conclusione la composita impugnativa deve essere rigettata in quanto infondata.

Le spese processuali seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la parte ricorrente e soccombente alle spese di giudizio che liquida a favore della resistente amministrazione in complessivi Euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre IVA e C.P.A. se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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