Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-02-2011) 18-05-2011, n. 19561 Omicidio colposo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione, tramite il difensore, F.D. avverso la sentenza emessa in data 28 aprile 2008 dalla Corte d’appello di Roma a conferma della sentenza pronunziata il 4 dicembre 2000 dal Tribunale di Latina, in composizione monocratica, con la quale era stato condannato alla pena di UN anno di reclusione, oltrechè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, quale responsabile del delitto di cui agli artt. 113, 589 cod. pen., così qualificato il fatto, per aver cagionato, per colpa generica e per ignoranza delle comuni conoscenze mediche, il decesso di D.R. – sopravvenuto in (OMISSIS) – a cagione dell’errata diagnosi in sede di accettazione e di cura della paziente presso la divisione di chirurgia della Casa di cura privata "(OMISSIS)" nonchè dell’omesso, tempestivo intervento terapeutico, volto a tamponare l’emorragia ed a ripristinare la massa ematica circolante.

Secondo le conformi statuizioni dei Giudici di merito, la responsabilità del F. in ordine all’evento morte (dovuto a grave anemia post – emorragica provocata da emorragia digestiva alta, come accertato in sede autoptica) discendeva dall’ omessa verifica – dovuta a negligenza – dell’errata diagnosi di metroannessite formulata all’atto dell’ingresso della paziente nel reparto di chirurgia (di cui l’imputato era in quel momento, responsabile,avendone, in tale veste, sottoscritto la richiesta di ricovero) tanto più che sul diario clinico della degente compariva un’annotazione (dalla collega Fe. attribuita al F., come apposta ad ore 20,10) circa la riferita ematemesi da probabile epatopatia. Lo stesso F., benchè fosse stato informato che la donna (alla quale, subito dopo il ricovero, erano stati somministrati farmaci antiemorragici del tutto inconferenti rispetto alla diagnosi provvisoria di metroannessite) durante la notte, era stata colta da grave crisi di agitazione psicomotoria, non aveva ritenuto, la mattina seguente, dopo aver terminato ad ore 10 i prelievi ematici praticati ai pazienti esterni, di approfondire e verifica re le reali condizioni della paziente ormai affidata alle sue cure.

Era peraltro risultato assolutamente certo il fatto che se la vittima fosse stata correttamente assistita dall’imputato, non sarebbe deceduta. Il F. aveva invero avuto la possibilità di visitare la paziente, di acquisirne l’anamnesi, di formulare la corretta diagnosi (essendo quella di accettazione in clinica, di metroannessite ed iperpiressia basata unicamente su quanto riferito telefonicamente non dalla donna, ma dal marito) e quindi di individuare e di instaurare la corretta ed adeguata terapia. In particolare, per accertare l’esatta natura della patologia, sarebbe stato sufficiente acquisire informazioni dall’ospedale di Latina dal quale, solo poche ore prima, la D. era stata dimessa. Un semplice esame emocromocitometrico avrebbe poi dimostrato la gravità della situazione ed imposto un immediato intervento trasfusionale.

Con il primo motivo di ricorso la difesa denunzia la nullità della sentenza quale conseguenza della già eccepita nullità del decreto di citazione a giudizio a cagione della insufficiente indicazione del fatto contestato, tale da integrare una palese violazione del diritto di difesa. A carico di tutti gli "altri" imputati (incluso il F.: l’unico che aveva poi riportato condanna) era stata formulata dal P.M. una unitaria e generica contestazione, in difetto di specificazione di alcuna ipotesi di cooperazione colposa tra le diverse condotte risalenti agli imputati. Tant’è vero che il F. in primo grado veniva condannato in relazione ad una condotta: per non aver visitato la paziente; mentre in appello, era riconosciuto responsabile in relazione ad un’altra: l’errata diagnosi nella richiesta di ricovero ovverosia quanto ad una condotta diversa da quella contestata agli altri medici che ebbero ad operare all’interno della struttura sanitaria.

Con il secondo motivo di gravame lamenta il ricorrente la nullità della sentenza per violazione delle norme processuali, risultando la decisione fondata su prove illegittimamente acquisite. La difesa aveva già eccepito dinanzi alla Corte d’appello, l’inammissibilità della lista testi depositata dal P.M. in quanto carente dell’indicazione delle circostanze oggetto delle prove stesse nonchè di quella della parte civile perchè depositata in cancelleria, prima della regolare instaurazione del rapporto processuale che si realizza, in caso di costituzione fuori udienza, con la notifica della costituzione di parte civile. In entrambi i casi era stato pregiudicato il diritto di difesa dell’imputato.

Con il terzo motivo di ricorso, si denunzia la nullità della sentenza d’appello per difetto assoluto di correlazione tra imputazione contestata e fatto ritenuto in sentenza. Ad avviso del ricorrente, il F., chiamato a rispondere di un’errata diagnosi formulata nell’ambito della divisione di chirurgia della Clinica (OMISSIS), per aver ritenuto la paziente affetta da una patologia epatica con ittero anzichè di una grave forma di ulcera gastrica era stato invece condannato per non aver verificato, in sede di redazione della richiesta di ricovero, l’errata diagnosi formulata dal Dr. P., in relazione ad un’ omissione in una fase precedente il ricovero della vittima e quindi completamente diversa da quella contestata.

Con il quarto motivo di gravame, il ricorrente lamenta la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte d’appello avrebbe erroneamente attribuito all’imputato la qualifica di responsabile del reparto sol perchè, trovandosi egli in clinica fuori dall’orario di lavoro e per mera casualità, ebbe a compilare la richiesta di ricovero per conto del Dr. P., medico curante della D.. Ed hanno altresì i Giudici di secondo grado del tutto omesso di valutare che,come peraltro accertato dal perito d’ufficio prof. T., il dr. Pi.: medico di guardia che ebbe ad accogliere la paziente nella clinica privata non aveva accettato la diagnosi di metroannessite acuta, tant’è vero che aveva poi trattato la donna come se fosse portatrice di una emorragia digestiva alta (diagnosi già formulata dall’Ospedale (OMISSIS)) prescrivendole una terapia a base di antiemorragici. Il F. non aveva quindi, in sede di accettazione o di cura nella clinica (OMISSIS), erroneamente diagnosticato una patologia epatica con ittero in luogo di una grave ulcera gastrica. In realtà l’unico momento in cui l’imputato ebbe occasione di vistare la paziente nel corso della sua breve degenza nella clinica (OMISSIS) fu quando accorse in aiuto del dr. Fu. nelle ultime ore di vita della donna; da qui l’assoluta estraneità dello stesso alla sequenza dei presunti errori diagnostici e terapeutici. Nè peraltro in nessun momento della vicenda stessa.

Il F. ebbe mai a rivestire la qualifica di responsabile del reparto soprattutto fuori dall’orario di servizio essendo egli collocato con la qualifica di assistente, dopo il primario ed i due aiuti, nella scala gerarchica del reparto.

Con il quinto motivo di ricorso, la difesa si duole dell’ulteriore vizio di difetto ed illogicità della motivazione, in relazione alla determinazione della pena, ritenuta eccessiva ed al diniego delle attenuanti generiche, giustificato dalla Corte d’appello per evitare di dover dichiarare l’estinzione del reato per prescrizione. Lamenta altresì il ricorrente il diniego del beneficio della non menzione, ex art. 175 cod. pen. ricorrendone tutti i presupposti oltre alla mancata eliminazione della condizione al cui verificarsi il Giudice di primo grado aveva subordinato la sospensione condizionale della pena ovverosia al pagamento della provvisionale riconosciuta alle parti civili ed al risarcimento dei danni giudizialmente o stragiudizialmente liquidati. La Corte d’appello avrebbe invero erroneamente confermato la statuizione, nell’errato presupposto che la condizione apposta si riferisse al pagamento della sola provvisionale concessa (e corrisposta alle parti civili) mentre invece essa concerneva il soddisfacimento del risarcimento del danno, invero in misura rimasta indeterminata. Con il sesto motivo di ricorso, infine, la difesa denunzia l’erronea applicazione dell’art. 41 cod. pen., oltrechè la mancanza od illogicità della motivazione.

La Corte d’appello, contrariamente a quanto ritenuto dal Primo Giudice, ha affermato l’insussistenza del concorso di colpa della vittima, avendo essa deciso di lasciare – in ciò assecondata dai famigliari – l’Ospedale civile di Latina, ove era già ricoverata per ulcera gastrica ed ove era sottoposta ad adeguata terapia per ricoverarsi, pur avendo un emorragia in atto, in una clinica privata assolutamente non idonea a far fronte a situazioni di estrema urgenza. Conclusivamente, il difensore instava per l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Ha prodotto il difensore all’odierna udienza certificato rilasciato in data 4 dicembre 2008 dall’Ufficiale di stato civile del Comune di Latina, attestante il decesso dell’imputato F.D., sopravvenuto in (OMISSIS).

Ciò posto,ne discende che non può che farsi luogo all’annullamento della sentenza impugnata, ex art. 620 c.p.p., lett. a), attesa la sopravvenienza – nella data sopraindicata – di causa estintiva del reato, à sensi dell’art. 150 cod. pen..

Nè, allo stato degli atti ed alla luce di quanto evidenziato dai Giudici di merito, con le statuizioni ed argomentazioni in premessa dedotte (alle quali si fa rinvio), vi è spazio per l’applicazione dell’art. 129 cpv. cod. proc. pen., in presenza della surrichiamata causa estintiva.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè estinto il reato per morte dell’imputato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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