Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-02-2011) 18-05-2011, n. 19558 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.M.G. ricorre per cassazione, per tramite del difensore, avverso la sentenza pronunziata in data 30 settembre 2010 dalla Corte d’appello di Roma che, in parziale riforma della sentenza emessa in data 27 febbraio 2010 dal Tribunale di Roma,in esito a giudizio abbreviato, aveva ridotto alla prevenuta la pena, ad anni TRE, mesi OTTO di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa, con le già concesse attenuanti generiche, confermandone la penale responsabilità in ordine al delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per aver illecitamente detenuto kg. 1,020 di sostanza stupefacente tipo cocaina, in (OMISSIS).

Sulla base delle risultanze delle indagini svolte dai Carabinieri – che erano venuti a conoscenza che l’imputata deteneva sostanza stupefacente a fini di spaccio -era rimasto effettivamente accertato – come affermato dal Giudice di prime cure – in esito alla perquisizione domiciliare eseguita in due appartamenti siti in Roma dei quali la F. aveva la disponibilità, che costei deteneva oltre UN kilogrammo di cocaina, ripartita in diversi contenitori ed involucri, dal quale era possibile ricavare 4756 dosi singole medie droganti, come verificato sulla base della consulenza chimico – tossicologica, stante il principio attivo riscontrato in misura pari a gr. 713,445.

Con l’unico motivo di ricorso proposto, denunzia il difensore la nullità della sentenza impugnata per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione avendo la Corte d’appello omesso di riconoscere all’imputata – che aveva fatto luogo alla spontanea consegna ai Carabinieri dell’ulteriore sostanza stupefacente detenuta – la speciale attenuante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, quale logica conseguenza dell’attività collaborativa prestata, denotante un plausibile intento di resipiscenza.
Motivi della decisione

Il ricorso va giudicato inammissibile, perchè manifestamente infondato, non potendo il Collegio che condividere le conclusioni quest’oggi rassegnate dal Procuratore Generale.

La Corte distrettuale ha del tutto condivisibilmente e correttamente dato atto dell’atteggiamento collaborativo evidenziato dar ricorrente – pacificamente risalente alla condotta della prevenuta che non solo ebbe a consegnare spontaneamente ai Carabinieri la sostanza stupefacente tipo cocaina, che deteneva nell’appartamento preventivamente sottoposto a perquisizione, ma che consentì il rinvenimento di altro quantitativo pari ad UN kg. della medesima sostanza, detenuto in altra dimora – rimarcando altresì la consapevolezza – sopravvenuta nella donna – del disvalore del fatto oltrechè un plausibile intento di resipiscenza di guisa da indurre lo stesso Collegio a far luogo ad una ulteriore riduzione del trattamento sanzionatorio rispetto a quello inflitto dal Tribunale.

Non può dirsi peraltro consentito alla ricorrente (cfr. Sez. 1^ n. 2176 del 1993; Sez. 1^ n. 4021 del 1991) denunziare, nei termini testè riferiti, il preteso vizio motivazionale per aver la Corte distrettuale omesso di riconoscere all’imputata la speciale attenuante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 7, ciò attenendo ad argomento non dedotto con i motivi d’appello con i quali la F. aveva invocato solamente la riduzione della pena.

In tal caso, resta esclusivamente rimesso alle determinazioni del giudice d’appello ex art. 597 cod. proc. pen., u.c. – quando appellante è il solo Imputato -concedere d’ufficio una o più attenuanti; giudici d’appello che quindi, del tutto ineccepibilmente, non hanno inteso avvalersi della suddetta facoltà, alla stregua delle già evidenziate emergenze processuali e della "lettura" della disposizione di legge, fornita dalla consolidata e prevalente giurisprudenza di legittimità.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente:cfr. Corte Costituzionale sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 a favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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