Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-02-2011) 18-05-2011, n. 19519

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 6.10.2009 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma del 15.4.2005 che aveva condannato, alle pene ritenute di giustizia, F.M. per ricettazione di un’autovettura.

La Corte d’Appello condivideva la sentenza del giudice di primo grado sia in punto di responsabilità, sia in punto di qualificazione giuridica del fatto. L’imputato, che alla vista degli operanti aveva cercato di darsi alla fuga, era alla guida della vettura risultata rubata, che presentava evidenti segni di effrazione. Non riteneva configurabile la violazione dell’art. 712 c.p. in quanto la provenienza della vettura era palese dai segni di effrazione e comunque il F. non aveva proposto alcuna ipotesi alternativa.

Il valore del veicolo e le modalità del fatto portavano all’esclusione dell’attenuante di cui al cpv dell’art. 648 c.p..

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in una carenza motivazionale con riguardo alla prova della responsabilità dell’imputato, alla qualificazione giuridica del fatto come ricettazione e non come violazione dell’art. 712 c.p. e alla mancata concessione dell’attenuante di cui al cpv dell’art. 648 c.p..

Contesta inoltre la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e l’eccessività della pena.

Il ricorso è inammissibile.

La doglianza circa la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e l’eccessività della pena deve essere dichiarata inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3 posto che la violazione denunziata in questa sede di legittimità non è stata dedotta innanzi alla Corte di Appello avverso la cui sentenza è ricorso ed è quindi questione nuova.

Questa Corte (Cass. Sez. 4A, 18/05/1994 – 13/07/1994, n. 7985; Sez. 3 n. 35889/08) ha infatti affermato che sussiste violazione del divieto di "novum" nel giudizio di legittimità quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni, come quella in esame, coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate.

I restanti motivi riproducono i motivi d’appello E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che se i motivi del ricorso per Cassazione riproducono integralmente ed esattamente i motivi d’appello senza alcuna censura specifica alla motivazione della sentenza di secondo grado, le relative deduzioni non rispondono al concetto stesso di "motivo", perchè non si raccordano a un determinato punto della sentenza impugnata ed appaiono, quindi, come prive del requisito della specificità richiesto, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 c.p.p., lett. c). E’ evidente infatti che, a fronte di una sentenza di appello, come quella in argomento, che ha fornito una risposta specifica ai motivi di gravame la ripresentazione degli stessi come motivi di ricorso in Cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’Appello.

E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto, come indicato, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr.

Cass. N. 20377/2009; N. 8443 del 1986 Rv. 173594, N. 12023 del 1988 Rv. 179874, N. 84 del 1991 Rv. 186143, N. 1561 del 1993 Rv. 193046, N. 12 del 1997 Rv. 206507, N. 11933 del 2005 Rv. 231708).

Con riguardo al diniego dell’attenuante di cui al capoverso dell’art. 648 c.p. non ha tenuto conto che la Corte territoriale ha congruamente ed adeguatamente motivato il rigetto di tale attenuante facendo espresso riferimento al valore del bene e alle modalità del fatto.

La Corte di appello ha chiarito, con motivazione congrua e scevra da vizi logici, le ragioni che giustificano la condanna del F. in ordine al delitto di ricettazione a lui attribuito.

In via di principio si rammenta che le SU di questa Corte con sentenza n. 12433/2010 hanno affermato che: "premesso che la ricettazione può essere sorretta anche da un dolo eventuale resta da stabilire come debba avvenire il suo accertamento e quali debbano essere le sue caratteristiche, posto che lo stesso non può desumersi da semplici motivi di sospetto e non può consistere in un mero sospetto, se è vero che questo non è incompatibile con l’incauto acquisto ( art. 712 c.p.) ………..Occorrono per la ricettazione circostanze più consistenti di quelle che danno semplicemente motivo di sospettare che la cosa provenga da delitto, sicchè un ragionevole convincimento che l’agente ha consapevolmente accettato il rischio della provenienza delittuosa può trarsi solo dalla presenza di dati di fatto inequivoci, che rendano palese la concreta possibilità di una tale provenienza. In termini soggettivi ciò vuol dire che il dolo eventuale nella ricettazione richiede un atteggiamento psicologico che, pur non attingendo il livello della certezza, si colloca su un gradino immediatamente più alto di quello del mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto. Insomma perchè possa ravvisarsi il dolo eventuale si richiede più di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l’agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza e di mero disinteresse: è necessaria una situazione fattuale di significato in equivoco, che impone all’agente una scelta consapevole tra l’agire, accettando l’eventualità di commettere una ricettazione…".

Ciò premesso, occorre osservare che la Corte di appello haindividuato specifici elementi di fatto, in equivoci, dai quali ha tratto il ragionevole convincimento che il F. aveva consapevolezza della provenienza delittuosa del bene.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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