Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 02-02-2011) 18-05-2011, n. 19516

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 23.2.2010 la Corte d’Appello di Ancona in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Fermo del 27.1.2003, ritenuta la già applicata attenuante speciale di cui all’art. 648 c.p., comma 2 prevalente sulla contestata recidiva, riduceva la pena a mesi 4 di recl. ed Euro 200,00 di multa confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Condivideva la corte territoriale la decisione del giudice di merito con riguardo la qualificazione del fatto come ricettazione. Si legge nella sentenza impugnata che non vi sono concreti elementi per ritenere che l’autore del furto sia stato il G. considerato che lo stesso, rimanendo contumace, non aveva fornito alcuna giustificazione in ordine al possesso del telefonino, risultato provento di furto. Nè può avere valore dirimente la circostanza che il furto del telefonino risulti essere stato perpetrato il giorno stesso del suo rinvenimento sulla persona dell’imputato.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo una carenza motivazionale, in particolare lamenta che la Corte Territoriale non ha tenuto in considerazione le giustificazioni addotte dal G. nell’immediatezza del fatto, riportate nel verbale di perquisizione e sequestro. Rileva il ricorrente che l’imputato ha giustificato il possesso riferendo agli operanti di avere ricevuto il telefonino, ignorandone del tutto l’illecita provenienza dall’amico ed inizialmente correo D.M.R..

Il ricorso è inammissibile.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, giacchè i motivi in esso dedotti ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dalla Corte territoriale, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), all’inammissibilità.

Nel caso in esame la difesa dell’imputato non solo non ha mosso specifiche censure alle argomentazioni fattuali e logico-giuridiche sviluppate nelle due sentenze di merito, ma non ha nemmeno sostenuto il suo assunto con richiamo ad atti specifici e ben individuati del processo che il giudice di merito avrebbe omesso di valutare, limitandosi ad affermare che la Corte non ha tenuto in considerazione le giustificazioni addotte dal G. che, nell’immediatezza del fatto, aveva affermato di avere ricevuto il telefonino, ignorandone l’illecita provenienza, dall’amico D.M.R..

In proposito il Collegio osserva che è ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio della cd.

"autosufficienza" del ricorso in base al quale quando la doglianza fa riferimento ad atti processuali, la cui valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del proprio assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificatamente indicati o la loro allegazione (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in precedenza), essendo precluso alla Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso (cfr.

Cass. n. 20344/06; Cass. n. 20370/06; Cass. n. 47499/07; Cass. n. 16706/08).

Nel caso in esame la ricorrente non ha messo a disposizione di questa Corte di legittimità gli elementi obiettivi necessari per apprezzare, sulla base di atti specificatamente trascritti o allegati, la sussistenza o l’insussistenza di un fumus delle doglianze e quindi l’utilità o la superfluità di un esame diretto dei relativi atti.

In applicazione a tali principi il Collegio ritiene che le risultanze processuali inadeguatamente esposte e le argomentazioni esposte nel motivo in esame si risolvono in generiche censure in punto di fatto che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza impugnata che, come già detto, appare congruamente e coerentemente motivata.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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