Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-01-2011) 18-05-2011, n. 19568 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ro.
Svolgimento del processo

La corte d’appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe ridusse la pena alla Cosi, le concesse la non menzione e confermò nel resto la sentenza 21.10.2008 del giudice del tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, che aveva dichiarato C.E. e C. L.R. colpevoli dei reati di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), e D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, per avere costruito, in zona sottoposta a vincolo e senza i necessari titoli abilitativi, una strada mediante riempimento con materiale tufaceo avente lunghezza di m. 200 e larghezza di m. 7, per una superficie complessiva di circa mq. 1.400, condannandoli alle pene ritenute di giustizia.

La C. propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione e falsa applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 3, 10 e 22; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 149; carenza di motivazione; violazione degli artt. 125, 546 e 605 cod. proc. pen.. Lamenta che la corte d’appello ha omesso di valutare le risultanze processuali dalle quali risultava che sul posto già nel 1997 esisteva una strada, sulla quale erano stati eseguiti solo lavori di riempimento delle buche con spargimento di materiale precario. Del resto la presunta differenza di dimensioni tra la strada preesistente e l’attuale non è stata neppure documentata dalla autorità che ha fatto il sopralluogo. Vi è inoltre carenza motivazionale in ordine al materiale utilizzato per la sistemazione della strada che era materiale precario e quindi per sua natura temporaneo e modificabile. Sul punto la corte d’appello non ha risposto alle puntuali eccezioni sollevate con l’atto di appello, sebbene la circostanza di avere usato materiale precario dimostrava che la finalità era di rendere più agevoli ed usufruibili le opere già esistenti. Lamenta poi che è erronea la conclusione che si trattava di un’opera nuova. In realtà si trattava di attività di finitura di opere che non comportavano stravolgimento urbanistico, anche perchè a servizio di una abitazione privata, nè inducevano modifica stabile allo stato dei luoghi perchè la strada preesisteva, sicchè non vi era bisogno di titolo abilitativi.

Tutt’al più si poteva parlare di un intervento di manutenzione straordinaria, eseguibile in forza di DIA e senza la necessità di autorizzazione ambientale.

2) violazione e falsa applicazione dei principi in tema di concorso nel reato. Lamenta che erroneamente e con vizio di motivazione è stato ritenuto che essa avesse concorso nel reato senza alcuna prova in proposito.

3) violazione e falsa applicazione dell’art. 133 cod. pen. e artt. 533 e 535 cod. proc. pen.. Lamenta vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, eccessiva e sproporzionata.

4) lamenta la illegittimità dell’ordine di demolizione e dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi e della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla esecuzione di detti ordini.

Il C. propone separato ricorso per cassazione basato su due motivi del tutto analoghi al primo ed al quarto motivo della C..
Motivi della decisione

Il primo motivo si risolve in gran parte in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque infondato avendo la corte d’appello fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente sia il reato edilizio sia quello ambientale.

La corte ha invero accertato in punto di fatto che la strada in questione (di lunghezza di metri 200 circa, larghezza di m. 7 circa, per una superficie di mq 1.400 circa) era stata realizzata ex nova mediante la colmatura del dislivello con materiale tufaceo e con considerevole riempimento del suolo, su terreno di proprietà degli imputati, coniugi conviventi, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e conduce alla loro abitazione. La corte ha quindi correttamente ritenuto che si trattava di un intervento di nuovo costruzione, che aveva comportato una definitiva trasformazione del territorio. In particolare, la corte ha accertato che il preesistente viottolo della larghezza di circa tre metri e della lunghezza di non oltre 80 metri, era stato integralmente sostituito dalla nuova strada, che non era una sistemazione di quella precedente, ma un’opera nuova e ben più estesa. La corte ha altresì motivatamente escluso che l’opera potesse rientrare in uno dei casi esenti contemplati dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 149, non trattandosi nè di manutenzione, restauro o consolidamento statico di edifici, nè di intervento inerente l’esercizio di attività agro- silvio-pastorale intervento inerente l’esercizio di attività agro- silvio-pastorale senza permanente alterazione dello stato dei luoghi.

Del tutto correttamente, pertanto, la corte d’appello ha ritenuto che occorressero i titoli abilitativi sia sotto il profilo edilizio sia sotto quello paesaggistico, la cui mancanza integrava i reati contestati.

La corte ha quindi fatto esatta applicazione dei principi più volte affermati da questa Corte, che ha ritenuto che per la costruzione o l’allargamento o la modificazione di una strada, anche qualora l’allargamento o la modificazione avvengano su una precedente pista o strada, è necessaria la concessione edilizia (ora permesso di costruire), trattandosi di una trasformazione edilizia del territorio e che quando poi la costruzione o l’allargamento o la modificazione di una strada avvengono in zona paesisticamente vincolata, occorre, oltre la concessione edilizia, anche l’autorizzazione paesistica, poichè viene posta in essere una trasformazione ambientale, che rende indispensabile l’intervento e la valutazione delle autorità preposte al controllo del paesaggio sotto i diversi profili urbanistico e paesaggistico ambientale (Sez. 3^, 3 giugno 2004, n. 33186, Spano, m. 229130, ed altre ivi citate); e che la realizzazione di una pista in terra battuta richiede una trasformazione urbanistica del territorio, e pertanto è necessario il rilascio della concessione edilizia indipendentemente dalla qualifica del manufatto quale strada o pista in terra battuta, in quanto il regime giuridico cui è soggetta l’opera è, in ogni caso, determinato dalla funzione di consentire il transito di persone o mezzi (Sez. 3^, 3.6.2004, n. 30594, Lai, m. 230152).

E’ poi evidente che l’opera non aveva sicuramente carattere precario.

E’ infondato il motivo concernente il concorso della C. nel reato, dal momento che la corte d’appello, con congrua ed adeguata motivazione, lo ha ritenuto sussistente non già sulla base del solo titolo di comproprietà del terreno, ma la C. era stata anch’essa committente delle opere abusive, come si deduceva dal fatto che era coniuge convivente del C., che la strada era posta su un terreno anche di sua proprietà, che la strada conduceva anche alla sua abitazione, che essa era stata presente non solo al momento dell’accertamento del reato ma anche al momento della esecuzione del sequestro, che essa aveva a suo tempo chiesto ed ottenuto il permesso di costruire per la realizzazione di quella casa colonica in cui abitava con il marito nel periodo estivo, che essa pertanto condivideva con il marito l’interesse a rendere meglio servita la sua abitazione estiva.

Il motivo relativo alla misura della pena è manifestamente infondato, sia perchè si risolve in una censura in fatto sia perchè il giudice del merito ha congruamente ed adeguatamente motivato sull’esercizio del proprio potere discrezionale in ordine alla determinazione della pena, che peraltro la corte d’appello ha ridimensionato in favore della C., in considerazione del suo limitato apporto rispetto al marito.

E’ infine infondato anche il quarto motivo della C. (e secondo motivo del C.) perchè sono pienamente legittimi sia l’ordine di demolizione della manufatto abusivo sia quello di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, sia infine la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata alla detta demolizione ed alla detta rimessione in pristino, da eseguirsi nel termine di due mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza. E difatti, "In tema di reati edilizi, il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell’opera abusiva, in quanto il relativo ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato" (da ultimo, Sez. 3^, 19.9.2007, n. 38071, Terminiello, m. 237825).

I ricorsi devono pertanto essere rigettati con conseguente condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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