Cass. civ. Sez. II, Sent., 20-09-2011, n. 19164

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Si apprende dal ricorso che con sentenza 29 maggio 2008 la Corte di appello di Roma, in riforma di sentenza del tribunale capitolino, ha accolto la domanda proposta dall’appellante Va.Pro. srl, volta ad ottenere la riduzione del prezzo di compravendita di una fornitura di macchinari lavapadelle effettuata nel 1998.

La Corte ha disatteso l’eccezione di prescrizione sollevata tardivamente dalla odierna ricorrente SANA srl (già Sanix srl) e ha ritenuto esistente uno dei vizi lamentati dalla acquirente.

La venditrice SANA srl ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 14 luglio 2009, affidandosi a sei motivi.

Vapro srl in controricorso ha eccepito inammissibilità ex art. 366 c.p.c., per mancata esposizione dei fatti.

Il Collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Il ricorso, soggetto ratione temporis alla disciplina novellatrice di cui al D.Lgs n. 40 del 2006, è inammissibile.

Tutti i motivi espongono vizi di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ma per ciascuno di essi si rileva la mancata indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione.

In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08;

16528/08) ha chiarito che la censura ex art. 360, n. 5, deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere.

Questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Nella norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 – cioè la "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione" – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366-bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione.

Orbene, una qualche forma di sintesi del motivo, peraltro insufficiente e incompleta, si rinviene solo a conclusione del secondo motivo, laddove si afferma che il giudice di appello ha ritenuto "sbagliato" l’impiego di un certo tipo di acciaio, che invece, secondo altre risultanze di causa, era proprio il tipo di acciaio richiesto da Vapro.

La doglianza è irrilevante, perchè non decisiva.

Come il primo motivo, anche il secondo si attarda infatti su un profilo della lite che non risulta trattato dalla sentenza d’appello e che non concerne la ratio deciderteli della decisione.

Essa è imperniata sull’esistenza di ruggine, riscontrata anche dall’indagine tecnica, sulla quale si diffonde la motivazione della sentenza a pag. 4.

Gli altri motivi sono inammissibili, perchè del tutto privi del momento di sintesi necessario per focalizzare la censura.

Va in ogni caso ricordato che la motivazione della sentenza, priva di apparenti vizi logici, non si presta ad un mero riesame da parte del giudice di legittimità, al quale questo potere non è dato, ditalchè solo la puntuale formulazione della censura può giustificarne la cassazione e il rinvio per vizio di motivazione, restando inammissibile ogni censura che si risolva in una mera richiesta di riesame.

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 2.500,00 per onorari, Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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