Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-09-2011, n. 19159 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

to.
Svolgimento del processo

1. Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 22 febbraio 2007, che, riformando la decisione di primo grado, ha accolto la domanda di M.E. per il riconoscimento della qualifica di quadro di 2^ livello, con condanna della società al pagamento delle differenze retributive e regolarizzazione contributiva.

2. M., inquadrato nell’area operativa, esponeva di aver svolto mansioni proprie dell’area quadri di secondo livello con professionalità e autonomia decisionale nei limiti delle direttive generali e che gli atti da lui predisposti venivano solo formalmente sottoscritti dal direttore di filiale.

3. Il Tribunale respinse il ricorso. La Corte d’appello non ha condiviso il ragionamento del primo giudice e a sostegno del decisum ha ritenuto:

– provato, dal testimoniale acquisito alla causa, che dal settembre 1995 M., assegnato all’area O.F., veniva addetto alla gestione amministrativa dei direttori delle agenzie di base inquadrati contrattualmente nell’area quadri e che in tale posizione si occupava dei loro trasferimenti e dei passaggi di gestione, attribuiva loro i periodi di ferie ed eventuali permessi, individuava i relativi sostituti, predisponeva la documentazione da porre alla firma del direttore di filiale; in caso di assenze indicava telefonicamente il sostituto e la sostituzione veniva ratificata con la firma del direttore di filiale o di reparto; analoga attività svolgeva in caso di collocamento in pensione di direttori di agenzie;

raccoglieva dati e informazioni rilevanti per la classificazione delle agenzie; redigeva relazioni per l’ufficio legale, sottoscritte dal direttore di filiale contenenti la descrizione delle mansioni svolte dai dipendenti che reclamavano l’inquadramento in qualifiche superiori;

– la descrizione delle mansioni si desumeva, inoltre, da una nota del direttore di filiale, acquisita solo nel giudizio d’appello, di significativa rilevanza probatoria poichè proveniente dalla stessa società;

– l’omessa produzione, in primo grado, dell’accordo integrativo del 23 maggio 1995 non impediva l’esame trattandosi di atto contenente ulteriori specificazioni delle declaratorie contrattuali riportate nel contratto collettivo, e ancor meno l’acquisizione nell’esercizio dei poteri d’ufficio;

– alla stregua dell’accordo integrativo citato, le parti contrattuali non intesero legare l’accesso all’area Q2 alla sola gestione apicale di agenzie di media rilevanza, laddove venne invece espressamente attribuita rilevanza anche alla sola "collaborazione" prestata ai responsabili di agenzie gestite da quadri di 1^ livello, onde doveva escludersi la decisiva rilevanza della carenza delle funzioni di preposizione;

– pur non avendo responsabilità di firma, egli godeva di un livello elevato di autonomia e vedeva ratificata l’attività svolta attraverso la firma del direttore di filiale degli atti da lui predisposti e siglati, senza modifiche;

– in conclusione, l’inquadramento nella qualifica Q2 doveva essere accolto dopo sei mesi di espletamento di fatto delle mansioni superiori, alla stregua dell’art. 38 del ccnl, in attuazione della L. n. 190 del 1985. 4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste italiane s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre articolati motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso eccependo l’inammissibilità/improcedibilità del ricorso per inadeguatezza dei quesiti e per l’inerenza delle censure ad apprezzamenti in fatto non censurabili in cassazione.
Motivi della decisione

5. La ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., art. 1363 c.c., e segg., in relazione agli artt. 43, 44 del CCNL 26.11.1994 (primo motivo di ricorso); violazione e falsa applicazione dell’art. 38, punti 1 e 7 CCNL 26.11.1994 (secondo motivo); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (terzo motivo). Si censura l’iter argomentativo della sentenza impugnata per pervenire alla declaratoria di ascrivibilità all’area quadri di 2^ livello delle mansioni svolte dall’intimato. L’illustrazione del motivo si conclude con la richiesta alla Corte di dire se lo svolgimento di mansioni impiegatizie, comportanti l’assolvimento di compiti inerenti un carico di lavoro possa realizzare il requisito al quale l’art. 44 ccnl subordina l’inquadramento in area quadri di 2^ livello laddove parla di funzioni di significative importanza con facoltà di iniziativa nell’ambito delle direttive gestionali. Si chiede, inoltre, alla corte di fissare il principio di diritto in materia di valutazione degli elementi costitutivi della fattispecie della promozione automatica, in particolare "vacanza posto" e "svolgimento mansioni superiori" di cui all’art. 2103 c.c. e art. 38, comma 7, ccnl 26.11.1984, con particolare riguardo all’ipotesi di sostituzione del responsabile, laddove costui svolga mansioni superiori nel medesimo ufficio.

6. Esaminati congiuntamente i motivi per la loro connessione logica, osserva la Corte che le censure, per violazione delle disposizioni contrattuali, dei canoni legali di ermeneutica e per vizio di motivazione, investono il contratto collettivo nazionale di lavoro senza che risulti osservata la prescrizione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), secondo cui, col ricorso per cassazione, devono essere depositati, a pena di improcedibilità, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda". 7. La disposizione ricomprende nel proprio ambito anche i contratti o accordi collettivi, a seguito della modifica ad essa apportata dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, applicabile ratione temporis, a norma dell’art. 27, comma 2 del medesimo D.Lgs., che fa riferimento ai ricorsi per cassazione avverso le sentenze depositate successivamente alla data del 1 marzo 2006; essa riguarda il contratto o accordo nel suo testo integrale ed è, infine, da porsi in collegamento con la modifica operata dalla legge all’art. 360 c.p.c., n. 3, con l’estensione del controllo di legittimità al vizio di violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (per cui deve ritenersi riferita esclusivamente a tali accordi e contratti collettivi).

8. Nel caso in esame la società ricorrente si è limitata a richiamare il contenuto delle disposizioni collettive, allegando unicamente gli altri atti di cui all’art. 369 c.p.c., ivi compresi i fascicoli di parte del giudizio di merito. Sennonchè questa Corte ha già avuto modo di precisare che, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non appare sufficiente ad adempiere al relativo onere l’allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (v., ex multis, Cass. S.U. 21747/2009), essendo necessario, a tal fine, un atto specifico di deposito, nè essendo sufficiente la parziale allegazione del C.C.N.L. invocato (v., ex multis, Cass. 21358/2010).

9. E’ stato infatti al riguardo ripetutamente affermato, in sede di procedimento ex art. 420 bis c.p.c. (contenente la disciplina del procedimento relativo all’accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, che prevede l’immediata decisione da parte del giudice, con una sentenza impugnabile in cassazione), che questa Corte, nell’interpretazione del contratto invocato, ha il potere di ricercare all’interno dell’intero contratto collettivo le clausole ritenute utili a tale fine, senza essere in tale funzione condizionata dalle prospettazioni di parte (cfr, ad es. Cass. nn. 5050/08 e 19560/07).

10. Una tale regola è sicuramente applicabile anche in sede di controllo di legittimità del contratto collettivo nazionale di lavoro a seguito di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3, in quanto la produzione parziale di un documento sarebbe incompatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento (che non consentono a chi invoca in giudizio un contratto di produrne solo una parte), nonchè con i criteri di ispirazione dell’intervento legislativo citato, volto a potenziare la funzione nomofilattica della Corte (nei medesimi termini, cfr. Cass. 21358/2010).

11. La regola appare, infine, coerente con i canoni di ermeneutica contrattuale di cui la Corte deve fare applicazione, in particolare con la regola relativa all’interpretazione complessiva delle clausole, secondo la quale "Le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto" ( art. 1363 c.c.).

12. Il ricorso va, pertanto, dichiarato improcedibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 20,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per onorari, oltre I.V.A., C.P.A. e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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