Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 20-09-2011, n. 19153 Lavoro straordinario e notturno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 2 marzo 2006, la Corte d’Appello di Torino respingeva il gravame svolto da Poste italiane s.p.a. contro la sentenza di primo grado che, in parziale accoglimento della domanda proposta da B.M.C., aveva considerato lavoro straordinario il lavoro prestato oltre le 36 ore settimanali previste contrattualmente, e condannato la società al pagamento delle differenze retributive.

2. Per la Corte territoriale, alla stregua della contrattazione collettiva di settore e del sistema delle areole introdotto con direttiva 25.10.1996 n. 2 e circolare n. 30 del 1999 delle Poste, oltre il limite delle 36 ore vi era straordinario, salvo la deduzione della quota areola, ed era irrilevante, nella specie, l’assenza dell’autorizzazione espressa prevista dalla norma contrattuale all’effettuazione degli straordinari.

3. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste italiane s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi, illustrato con memoria. L’intimata ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia omessa e insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia come prospettati dalle parti e violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp.att c.p.c. ( art. 360 c.p.c., n. 5). Si censura la sentenza impugnata per l’omessa motivazione sui plurimi argomenti prospettati dalle parti, riducendo i motivi di appello in punti secondari e non essenziali per la decisione e individuandoli erroneamente. In particolare, si ribadisce la tesi dell’incompatibilità della disciplina speciale delle areole con la disciplina generale dello straordinario prevista dalla contrattazione collettiva e della prevalenza della prima su quest’ultima. Quanto alla deduzione dell’espressa autorizzazione allo svolgimento dello straordinario, volta ad esaltare il significato del comportamento complessivo delle parti stipulanti come elemento interpretativo ex art. 1362 c.c., comma 2, si ribadisce di non aver mai ritenuto le prestazioni aggiuntive svolte in esecuzione del sistema delle areole come lavoro straordinario onde la mancata attivazione delle procedure di autorizzazione.

5. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dei criteri legali di interpretazione contrattuale e violazione e falsa applicazione dell’art. 30 CCNL Poste del 2001. Si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la disciplina speciale sul regime delle areole compatibile con il regime generale del lavoro straordinario previsto dal contratto collettivo di settore ed il relativo limite di 36 ore settimanali, con soluzione interpretativa in contrasto con i criteri legali interpretativi. Per la ricorrente, la disciplina in materia di areole e dell’accordo del 2 luglio 1998 in nessun passaggio richiama o fa salva la disciplina contrattuale sullo straordinario, nè è stata mai messa in discussione, quanto al comportamento posteriore alla conclusione del contratto, l’operatività del sistema delle areole come autonomo e distinto sistema di valutazione e remunerazione delle prestazioni aggiuntive per il settore recapito, del tutto diverso ed incompatibile rispetto al regime del lavoro straordinario.

6. L’illustrazione dei motivi si conclude con la formulazione dei quesiti di diritto.

7. Osserva il Collegio che il primo motivo si risolve nella censura di omessa pronuncia sui motivi di appello, vale a dire nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, da far valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (coma nella specie), censure che presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità, in tal caso giudice anche del fatto processuale, di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello.

8. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo.

9. Quanto al secondo motivo di ricorso, che si risolve nella contrapposizione fra l’interpretazione proposta dalla ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, va ribadito, come più volte affermato da questa Corte, che nel giudizio di legittimità le censure relative all’interpretazione di un contratto o di un accordo collettivo offerta da parte del giudice di merito possono essere prospettate solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione, come nella specie, fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento di quest’ultima.

10. Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono, poi, una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata (v., ex multis, Cass. 23635/2010).

11. Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 18,00, oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA e CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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