Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-04-2011) 19-05-2011, n. 19715 Ricorso straordinario per errore materiale o di fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza n. 341810 del 5 novembre 2010, la seconda sezione penale di questa Corte, decidendo sull’impugnazione proposta contro la sentenza 5 novembre 2009 della Corte di assise d’appello di Bari, nei confronti del D.C., nonchè di M.T., M. C., Ma.To., D.M.M., ha dichiarato inammissibili tutti i detti ricorsi.

1) la vicenda processuale con riferimento alla posizione di D. C.S..

La vicenda in questione ha avuto per il D.C. la scansione che segue:

a) con sentenza 9 giugno 2006 il G.U.P. del Tribunale di Bari, decidendo nelle forme del rito abbreviato ha, tra gli altri, dichiarato D.C.S. responsabile del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, ascrittogli al capo B) (fino all’epoca di esecuzione della misura cautelare), nonchè dei reati di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14; L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 4, e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 (commessi da (OMISSIS)), così unificate le imputazioni dei capi sub B.11, B.11, B.12, B.13, B.15 e B.27), e, riuniti tali reati sotto il vincolo della continuazione, lo ha condannato, con le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di cui all’art. 416 bis c.p., comma 4 e la diminuente del rito, alla pena di anni 5 di reclusione;

b) con sentenza 1 aprile 2008 la Corte di assise d’appello di Bari, su impugnazione (tra gli altri) del D.C., confermava per lui le statuizioni del G.U.P. per i titoli di reati sopra indicati;

c) con sentenza 13 gennaio 2009 la 6^ sezione della Corte di Cassazione ha annullato, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Bari, la sentenza della Corte di assise d’appello di Bari, impugnata (tra gli altri) dal D.C. S., in ordine al reato di cui al capo B), nonchè in ordine ai reati di cui ai capi B.10, B.11, B.12, B.13, B.15, e B.27), limitatamente alla circostanza aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7 convertito dalla L. n. 203 del 1991;

d) con sentenza 5 novembre 2009 la Corte di assise d’appello di Bari, decidendo in sede di rinvio, ha condannato D.C.S. alla pena di anni 2, mesi 10 di reclusione ed Euro 800,00 di multa, con le già concesse attenuanti generiche e con la diminuente del rito abbreviato, qualificata l’imputazione sub capo B) come associazione a delinquere ex art. 416 c.p., esclusa, quanto alle imputazioni sub capi B.10, B.11, B.12, B.13, B.15 e B.27, l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7;

e) avverso detta ultima decisione proponeva ricorso per cassazione il D.C. deducendo tre distinti motivi: 1) inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 416 c.p. per difetto e travisamento della prova sugli elementi costitutivi del reato associativo, considerato che gli unici "reati satellite" ascritti agli imputati, nell’ambito di una "faida familiare", erano quelli di detenzione e porto abusivo di armi, commessi nell’arco di circa tre mesi con altri coimputati mandati assolti dalla Corte di Assise di Foggia; 2) vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto associativo contestato al capo B), ritenuto erroneamente coperto dal giudicato, benchè la sentenza di annullamento della Corte di Cassazione avesse escluso la sussistenza anche di tale reato in assenza del movente, configurato dall’accusa e dai giudici di merito, costituito da una guerra fra i clan contrapposti facenti capo a D.C.M. e a M.M.; 3) violazione dell’art 648 c.p.. posto che il giudice di appello in sede di rinvio aveva quantificato la pena con riferimento alla pena base di un anno, mesi 4 di reclusione ed Euro 300,00 di multa per il delitto di ricettazione di cui al capo B.10, non tenendo conto che tale reato – nell’ambito del detto capo B.10 concernente anche varie ipotesi di detenzione e porto abusivo di armi – era stato già escluso: dal giudice di prime cure, dal giudice di appello (v. pag. 91 della sentenza poi annullata dalla Corte di Cassazione) e dal giudice di legittimità (v. sentenza pag. 26). La conclusione del ricorrente è stata quindi nel senso che, se si fosse tenuto conto di tale assoluzione, il reato più grave rimaneva quello di cui al capo B) originariamente contestato come violazione dell’art. 416 bis cod. pen. e ritenuto invece dalla stessa Corte di assise di appello in sede di rinvio (pag. 69) come semplice associazione per delinquere ex art. 416 cod. pen.;

f) con la detta sentenza 5 novembre 2010, la 2^ sezione della Corte di cassazione (n. 40574 Racc. Gen.), decidendo anche sul ricorso del D.C., avverso la sentenza 5 novembre 2009 la Corte di assise d’appello di Bari, si è così testualmente espressa: Deve essere, invece, accolta la doglianza sub 3) svolta dal D.C., posto che la sentenza della S.C., a pag. 26, ha dato atto che "come evidenziato a pag. 91 della sentenza impugnata, l’ipotesi criminosa di cui all’ari. 648 c.p., contestata ai capi di imputazione B.10, B.11, B.12), B.13), B.15) e B.27) assieme ai reati di detenzione e porto di armi, era stata esclusa già con la sentenza di primo grado";

g) con la stessa decisione, 5 novembre 2010 la 2^ sezione della Corte, pur rilevando in motivazione che nel dispositivo della sentenza di annullamento con rinvio della Sesta Sezione penale di questa Corte, nel fare riferimento a detti capi di imputazione, non era stata riportata l’esclusione del reato di ricettazione, ha concluso che la Corte di Assise di Appello, in sede di rinvio, ha erroneamente calcolato la pena inflitta al D.C., con riferimento alla pena base per il delitto di ricettazione di cui al capo B.10" per il quale vi era stata decisione di assoluzione;

peraltro tale argomentata conclusione non ha trovato formale e corrispondente riscontro nel dispositivo della medesima pronuncia;

h) in data 17 novembre 2010. il Presidente la 2^ sezione penale di questa Corte, in relazione alla sentenza del 5 novembre 2010, pronunciata dalla medesima sezione nei confronti di M.T. D.C.S. e altri, sui ricorsi iscritti al n. 17753/10 R.G., proposti contro la sentenza 5 novembre 2009 della Corte di assise di Appello di Bari del 5.11.2009, sul presupposto di un mero errore materiale del dispositivo, essendo stata omessa, come già detto, nel solo dispositivo, la statuizione concernente il D. C.S., ha ordinato la formazione di un nuovo ed autonomo fascicolo processuale, a sensi dell’art. 130 cod. proc. pen., al fine di provvedere alla correzione del dispositivo stesso nei termini che seguono e nel senso che, alle parole "dichiara inammissibile il ricorso" va aggiunto "degli altri imputati" e va anteposta la seguente frase: "annulla la sentenza impugnata nei confronti di D. C.S., limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’assise d’appello di Bari per la decisione sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso del D.C.";

i) con sentenza 2 marzo 2011 la 2^ sezione della Corte (n. 11347 Racc. Gen.), provvedendo sulla richiesta del Presidente, formulata ex art. 130 cod. proc. pen., ha rilevato:

in primo luogo, l’evidente mancanza di corrispondenza, nella decisione 5 novembre 2010, tra il dispositivo letto in udienza e trascritto nel ruolo (che ha pronunciato l’inammissibilità integrale di tutti i ricorsi, e quindi anche di quello del D.C.), e la motivazione della sentenza stessa (la quale invece, con riguardo allo stesso ricorrente, fa esplicito riferimento all’annullamento parziale della sentenza di appello in punto di determinazione della pena);

in secondo luogo, la presenza di una difformità che marca, un’incoerenza tra il presumibile esito della deliberazione in camera di consiglio e la sua "traduzione" nella sintesi decisoria finale, sfasatura che, tuttavia, oltre a non essere ricomponibile, nella specie, con il criterio dell’integrazione tra le due parti della sentenza (l’integrazione è possibile quando tra dispositivo e motivazione non vi sia sostanziale incompatibilità: Cass. pen. sez. 2, 1 luglio 2010, Palma), non è nemmeno riconducibile, per altro verso, alla categoria dell’errore materiale rimediabile con la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p. (nella specie, al fine di inserire nel dispositivo la statuizione di annullamento parziale), perchè in questo caso la correzione comporterebbe la sostanziale modifica della volontà espressa da questa Corte nel dispositivo risultante dal ruolo di udienza;

1) la sentenza in questione inoltre, ribadito che l’esito decisorio del giudizio deve rimanere consegnato nei termini cristallizzati nel dispositivo "originale", ha evidenziato incidentalmente che la valutazione di inammissibilità del ricorso del D.C. si pone in evidente contrasto con un dato processuale di oggettiva ed inequivocabile significazione, cioè l’avvenuta formazione del giudicato "interno" di assoluzione per il reato di ricettazione posto a base del calcolo per la determinazione della pena dalla sentenza di appello del 5 novembre 2009: della definitiva assoluzione dell’imputato dal reato di ricettazione si da atto, in particolare, a pag. 26 della sentenza della Corte di cassazione che aveva annullato con rinvio la prima decisione della Corte di Assise di Appello del giorno 1 aprile 1998, e a pag. 91 di quest’ultima sentenza; la sentenza di appello del 5 novembre 2009, pronunciata in sede di rinvio, aveva invece ignorato la preclusione da giudicato, reintroducendo il reato di ricettazione nel calcolo della pena, con statuizione oggetto di specifico motivo di ricorso;

m) la conclusione della sentenza 2 marzo 2011 è stata quindi nel senso che è identificabile nella sentenza di questa Corte del 5 novembre 2010, un errore di fatto, emendabile agli effetti dell’art 625 bis cod. proc. pen. (non essendo ormai dato, ovviamente, alcun rimedio "ordinario") perchè, indipendentemente dal recupero della rilevanza del giudicato interno operato in motivazione, la pronuncia di integrale inammissibilità del ricorso del D.C., contenuta nel dispositivo, esprime già di per se, in modo diretto ed immediato, una svista di ordine percettivo rispetto ad un dato processuale di oggettiva evidenza, parzialmente inconciliabile con la pronuncia medesima: da ciò la declaratoria di non luogo a provvedere sulla correzione ex art. 130 cod. proc. pen. della sentenza in oggetto.

2.) le ragioni della decisione ex art. 625 bis cod. proc. pen..

Dalla scansione cronologica delle decisioni e dalla comparazione dei loro successivi tenori e dispositivo è evidente che, nella specie, nella sentenza oggetto di correzione ex art. 625 bis cod. proc. pen. – come peraltro chiaramente argomentato dalla sentenza 2 marzo 2011- vi è una palese difformità, che cristallizza una incoerenza tra il presumibile esito della deliberazione in camera di consiglio e la sua "traduzione" nella sintesi decisoria finale.

Più propriamente ed in concreto, si è verificata una discordanza:

a) che non può essere "ricomposta" utilizzando il criterio dell’integrazione tra le due parti della sentenza, posto che tale operazione di emenda ha titolo per essere realizzata soltanto quando tra dispositivo e motivazione non vi sia sostanziale incompatibilità (cfr. in termini: Cass. pen. sez. 2, 1 luglio 2010);

b) che non è nemmeno riconducibile, per altro verso, negli ambiti dell’errore materiale, rimediabile con la procedura di correzione di cui all’art. 130 c.p.p., perchè in tale ipotesi la correzione, mediante inserimento nel dispositivo della "statuizione di annullamento parziale", comporterebbe una sostanziale modifica della volontà, espressa da questa Corte nel dispositivo, risultante dal ruolo di udienza, vietata dalla citata norma in quanto appunto produttiva di una modificazione essenziale dell’atto.

In tale quadro la norma residualmente applicabile è quella introdotta (con L. 26 marzo 2001, n. 12), al solo fine di porre rimedio a mere sviste, equivoci o errori di percezione, quale quello di specie, e la cui presenza sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, e che abbia determinato una decisione diversa da quella adottata.

Nella vicenda infatti non è stata espressa dal Supremo collegio una interpretazione, eventualmente erronea, di dati di fatto correttamente rilevati, la quale avrebbe impedito il ricorso all’istituto della novella del 2001 (sez. 6, 2945/2009, r.v. 242689), ma la Corte di legittimità ha invece e semplicemente "non percepito, a causa di una mera svista", l’avvenuta formazione del giudicato "interno" di assoluzione per il reato di ricettazione, che era stato in concreto posto a base del calcolo per la determinazione della pena, dalla sentenza di appello del 5 novembre 2009, la quale, anzichè modulare la sanzione da applicare sul reato associativo, ad esso aggiungendo in continuazione i reati satelliti in tema di armi, ha ritenuto più grave l’inesistente delitto di ricettazione per il quale vi era stato proscioglimento del D.C..

La gravata sentenza 5 novembre 2010 va quindi revocata, come da richiesta del Procuratore generale, con l’adozione dei provvedimenti necessari per correggere l’errore.

La revoca è limitata ai punti della decisione relativi al trattamento sanzionatorio, alla condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria.

Conseguentemente, va del pari annullata la sentenza 5 novembre 2009 della Corte di assise d’appello di Bari, nei confronti del medesimo D.C.S., limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise d’appello di Bari per la decisione sul punto, la quale terrà necessario conto della insussistenza del delitto di ricettazione erroneamente attribuito all’imputato ricorrente.
P.Q.M.

Revoca la sentenza 5 novembre 2010 n. 40574/10 della Corte di cassazione – 2^ sezione penale – nei confronti di D.C. S. limitatamente ai punti della decisione relativi al trattamento sanzionatorio, alla condanna al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria. Annulla la sentenza 5 novembre 2009 della Corte di assise d’appello di Bari nei confronti di D.C.S. limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di assise d’appello di Bari per la decisione sul punto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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