Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-04-2011) 19-05-2011, n. 19698

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro ricorre avverso la sentenza 4 gennaio 2010 della Corte di appello di Catanzaro in relazione alla decisione di proscioglimento per il reato di corruzione nei confronti di P.S., e S. P.L., ricorre a sua volta contro la medesima decisione, la quale, in parziale riforma della sentenza 6 novembre 2007 del Tribunale di Vibo Valentia (appellata da S.P.L., nonchè dalla parte civile Pu.An. e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vibo Valentia, nei confronti del predetto S. e di P.S.), ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di S.P.L., in ordine al reato – ritenuto nella sentenza di primo grado – per essersi lo stesso estinto per prescrizione; ha revocato l’ordine di demolizione, disposto nella sentenza appellata, ed ha confermato nel resto la decisione del Tribunale, ivi comprese le statuizioni civili.

Entrambi i ricorrenti deducono vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia.

Con sentenza 6 novembre 2007 il Tribunale di Vibo Valentia:

a) ha dichiarato S.P.L. colpevole del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a) e, previa concessione delle attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di Euro 4.000,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni subiti dalla parte civile, nonchè alla rifusione delle spese processuali sopportate da quest’ultima;

b) ha assolto il S. dai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 71, 72 e 95 perchè il fatto non sussiste;

e) ha assolto ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, P. L. (all’epoca dei fatti responsabile dell’ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS)) dal delitto ascrittogli ex art. 319 cod. pen. perchè il fatto non sussiste.

Per la pubblica accusa l’atto contrario ai doveri d’ufficio da parte del P. sarebbe consistito nel rilasciare al S. il permesso a costruire n. (OMISSIS), illecito in quanto in violazione delle norme in vigore, perchè con lo stesso: – aveva autorizzato una volumetria maggiore di mc 220 rispetto a quanto realizzabile nel lotto; – non aveva rispettato la distanza minima di ml 5 dai confini, essendo la veranda posta a ml. 4,05 dalla particella 332 mentre la piastra di c.a. si trovava a ml 2,60 e 2,85 dalla particella 270 nord est; – il piano mansardato aveva un livello di gronda di ml 1,80 e non di 2,10 e l’altezza minima interna era di ml 2,40 anzichè 2,70, per cui non poteva essere autorizzato come abitabile.

L’utilità economica ricevuta dal P. ad opera del S. sarebbe consistita nell’affidamento, alla Nuova Ediltecnica di Giacco Rosa, dei lavori di cui al permesso a costruire.

L’imputazione originaria di abuso d’ufficio a carico del P. era stata modificata in quella di cui all’art. 319 cod. pen. riportata in epigrafe all’udienza del 21 marzo 2006.

La decisione del Tribunale in favore del P. si fondava sulle risultanze dell’istruttoria dibattimentale svolta mediante l’escussione di testi, l’acquisizione di elaborati tecnici e l’audizione di consulenti di parte.

La condanna del S. veniva invece argomentata, essenzialmente, con i ritenuti profili di illegittimità della concessione edilizia in sanatoria n. (OMISSIS).

Non trovava accoglimento, invece, la tesi accusatoria secondo cui il rilascio di tale permesso a costruire, dall’affidamento dei lavori alla ditta Edil Tecnica Sud di Giacco Rosa.

La decisione riconosceva si l’esistenza di diversi elementi che potevano costituire indizi del dedotto nesso di consequenzialità tra concessione ed affidamento dei lavori alla ditta indicata (gli obiettivi interessi del P. nella Edil Tecnica, la coincidenza temporale tra affidamento dei lavori alla ditta e rilascio del permesso, la mancata indicazione, da parte del S., della persona che lo aveva messo in contatto con la ditta, la presenza del numero di telefono del P. sul contratto di appalto) ma li considerava complessivamente inidonei ad avvalorare l’ipotesi accusatoria sul punto.

I giudici di primo grado ritenevano problematico l’inquadramento delle questioni relative al portico ed alla veranda e da ciò desumevano, quanto meno, la mancanza nel titolare dell’ufficio tecnico di qualsiasi intento doloso anche in ragione della plausibilità di considerare tale pertinenza del fabbricato come veranda, con minore incidenza nel calcolo volumetrico.

In conclusione, in merito alle violazioni edilizie, il Tribunale:

riteneva il S. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a) per avere egli realizzato, non già tutte le opere previste nel permesso, ma solo una parte in difformità dalle norme urbanistiche in tema di confini e ristrutturazione eseguibili mediante DIA a norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2 bis;

assolveva lo stesso S. dalle altre ipotesi contravvenzionali essendo stati depositati i progetti presso l’ufficio tecnico regionale ed essendo ascrivibile il mancato deposito della relazione geologica ad un mero errore di fatto, sanato.

2. la sentenza della Corte di appello impugnata.

Avverso la sentenza proponevano appello il S., la parte civile Pu.An. e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vibo Valentia.

La Corte di appello all’esito di una analitica e complessiva disamina delle emergenze processuali, riteneva l’insussistenza di contraddizione nella motivazione della decisione del Tribunale per il P., che avrebbe invece operato una corretta distinzione tra indizio e prova.

Parimenti non dimostrata è stata considerata, per l’esistenza del patto corruttivo, la presenza del numero di telefono personale di casa del P. sul contratto di appalto, in quanto, come rilevato dal primo giudice, ciò ben può spiegarsi con l’esistenza di numerosi contatti tra il S. ed il P. in relazione alla complessa vicenda amministrativa che ha preceduto la realizzazione delle opere.

In conclusione per la corte distrettuale esisteva un quadro, quanto meno, contraddittorio e non univoco in merito alla prova del reato di corruzione contestato al solo P. con conseguente conferma dell’assoluzione ex art. 530 cpv. cod. proc. pen. dal detto delitto di corruzione.

Per il S. invece,, la Corte di appello ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti in ordine al reato cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a) ritenuto nella sentenza di primo grado per essersi lo stesso estinto per prescrizione; ha revocato l’ordine di demolizione disposto nella sentenza appellata ed ha confermato nel resto la decisione del Tribunale, ivi comprese le statuizioni civili.
Motivi della decisione

1.) il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Catanzaro contro l’assoluzione di P.S..

La parte pubblica, riprendendo lo schema critico dell’atto d’appello, si duole della decisione di assoluzione del P., dal delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, perchè il fatto non sussiste.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo che l’atto contrario ai doveri d’ufficio, attribuibile alla condotta del prosciolto P., tecnico comunale, ben poteva essere integrato dalla commistione e compenetrazione di interessi tra il tecnico comunale di (OMISSIS) e l’impresa Nuova Edil Tecno Sud, realtà questa, connotata da un quadro e da una posizione di conflitto, che da sola costituisce violazione dei doveri di fedeltà, imparzialità e di perseguimento esclusivo dell’interesse pubblico.

Con un secondo motivo si lamenta ancora vizio di motivazione in ordine alla negata sussistenza del profilo psicologico del reato, ottenuta dalla corte distrettuale attraverso una frammentazione dei dati processuali e senza valutazione della personalità del tecnico comunale, per il quale vi era stata emissione del decreto che dispone il giudizio sia per il P. che per la moglie M.I. per i delitti di cui all’art. 416 cod. pen. in relazione all’art. 353 c.p., commi 1 e 2 (turbata libertà degli incanti), art. 640 c.p., comma 2 (truffa aggravata) ed abuso d’ufficio art. 323 cod. pen..

Con ulteriore sviluppo dello stesso motivo, e sempre a sostegno del dolo del delitto, si prospettano omesse rilevanti valutazioni della Corte di appello in ordine agli esiti delle due relazioni del consulente tecnico di parte pubblica.

1.1) le ragioni della decisione della Corte sul ricorso del Procuratore generale.

Premesso che nella specie – con riferimento alla posizione del P. – ci si trova di fronte a due conformi ed integrate decisioni dei giudici merito, sviluppate in modo sinergico, sul piano argomentativo e fattuale, è necessario che i vizi prospettati dalla parte pubblica rispondano rigorosamente ai canoni e ai limiti stabiliti dall’art. 606 cod. proc. pen..

Ciò posto è evidente che il tenore e lo sviluppo delle doglianze del Procuratore generale, al di là di ogni condivisibile indicazione in punto di violazione di legge, si risolvono in una non consentita richiesta di rivalutazione del compendio probatorio esaminato con identico esito assolutorio dai due giudici di merito di diverso grado.

I motivi infatti, per come formulati, o sono infondati oppure non superano la soglia dell’ammissibilità in quanto prospettano alla Corte di legittimità un giudizio – critico ed alternativo – sulle considerazioni e valutazioni probatorie, formulate dai giudici di merito, le quali risultano peraltro condotte ed ottenute nel rigoroso rispetto delle regole, stabilite in punto di formazione e peso del materiale probatorio d’accusa.

L’argomentazione risulta invero sui punti lamentati priva di incoerenze o salti logici, "apprezzabili ed idonei ad invalidare il costrutto delle argomentazione di responsabilità", tali non potendosi considerare le diverse conclusioni e considerazioni, più volte profilate nel ricorso, le quali finiscono con delineare una diversa e più favorevole interpretazione dei dati probatori, tuttavia non praticabile in sede di legittimità e, tanto meno, con esiti di annullamento della pronuncia gravata.

In conclusione: considerato che l’argomentare del provvedimento impugnato risulta privo di illogicità di sorta e si mantiene ragionevolmente contenuto entro i margini accettabili della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione, esso si sottrae a ogni sindacato in sede di scrutinio di legittimità, dal momento che i rilievi, le deduzioni e le doglianze espressi dai ricorrenti, benchè formulati sotto la prospettazione di vizi della motivazione, si sviluppano tutti negli ambiti delle censure di merito, in tal modo integrando motivi, diversi da quelli consentiti dalla legge con il ricorso per cassazione, da dichiararsi pertanto inammissibili a sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3 (cfr. ex plurimis: Cass. pen sezione. 1, 46997/2007).

Le doglianze della parte pubblica vanno quindi rigettate.

2.) i motivi di impugnazione di S..

Il difensore del S., premesso che il ricorrente sarebbe stato condannato in primo grado per una presunta irregolarità, nella volumetria di opere che non sarebbero state realizzate, deduce con un primo motivo di impugnazione inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo in fatto che, non essendo state realizzate tutte le opere previste e non essendo stata completati i lavori, nè realizzata alcuna sopraelevazione, nella specie non si è verificato alcun esubero di volumetria nè tanto meno di violazione d’altezza, ristretta alla realizzazione del sottotetto abitabile.

Stessa conclusione è assunta per ciò che attiene alle distanze avuto riguardo all’avvenuto smussamento dell’angolo della veranda preesistente.

Con un secondo motivo il ricorrente lamenta l’assenza di legittimazione di Pu.An. a costituirsi parte civile quale proprietario confinante, posto che l’abuso avrebbe riguardato solo alcune opere previste nel progetto.

Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge con riferimento all’art. 78 c.p.p., lett. d) (esposizione delle ragioni che giustificano la domanda) e art. 82 cod. proc. pen. posto che la parte civile aveva convenuto in giudizio civile il dr. S..

Il secondo ed il terzo motivo, come peraltro anche ribadito dalla memoria difensiva della parte civile in atti, sono infondati.

Esiste sul punto una sufficiente motivazione dei giudici di merito, non superabile in relazione alle censure del gravame e tenuto conto, quanto alla terza doglianza, che l’azione civile intrapresa dal Pu. contro l’imputato non atteneva affatto al risarcimento del danno conseguente all’abuso edilizio, quanto piuttosto al ripristino degli esatti confini tra le due proprietà e la rimozione di alberi di alto fusto a distanza inferiore a quella minima di legge.

Fondata appare invece la critica dell’impugnazione che concerne la pronuncia civile assunta ex art. 578 cod. proc. pen..

E’ noto che il giudice dell’impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni, qualora accerti l’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, sia pure ai soli effetti civili, è tenuto a verificare l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento dell’azione civile (Sez. 1, 40197/2007, Rv. 237863, Formis).

L’art. 578 c.p.p., inoltre, nel rendere obbligatoria – per il giudice dell’impugnazione penale – una pronuncia di merito sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, impone al giudice che rileva la causa di estinzione, da un lato, di verificare se sussistano gli estremi del reato dal quale la parte civile fa discendere il proprio diritto e, dall’altro, di accertare, sia pure in modo sommario, la sussistenza di tale diritto.

La cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane, quindi, integra e il giudice dell’impugnazione deve verificare l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni o al risarcimento pronunziata dal primo giudice (Sez. 1, 40197/2007, Rv. 237863 , Formis; Cass. Sez. 1, 3 ottobre 1994, Zamai, rv 199625; Cass. Sez. 4, 3 febbraio 2004, rv. 228597).

L’annullamento senza rinvio di una sentenza di condanna, pur affetta da vizio di motivazione, che sia determinato dalla rilevazione di una causa estintiva del reato, comporta l’annullamento delle statuizioni civili, ivi comprese quelle relative a reati per i quali l’estinzione sia stata dichiarata nel giudizio di appello, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello (Cass. pen. sez. 2, 32577/2010 Rv. 247973).

Tanto premesso, nel caso in esame la giustificazione, offerta dalla Corte di appello in punto di sussistenza dell’"an debeatur" sotto il profilo civilistico, appare decisamente carente a fronte delle puntuali e non adeguatamente risolte osservazioni critiche dell’imputato, per ciò che attiene ai profili di altezza e volumetria, in concreto realizzati, al computo della distanza tra la veranda ed il confine con il fondo limitrofo, ed all’affermato smussamente dell’angolo della veranda stessa, realtà queste per le quali difetta in sentenza una adeguata e completa risposta.

Tale deficit motivazionale comporta quindi l’annullamento delle statuizioni civili relative all’illecito la cui estinzione è stata dichiarata nel giudizio di secondo grado, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

La gravata sentenza va pertanto annullata nei confronti del S., limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Rigetta nel resto il ricorso del Procuratore generale.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti del S. limitatamente alle statuizioni civili con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Rigetta il ricorso del Procuratore generale.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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