Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-04-2011) 19-05-2011, n. 19692

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

he si è riportato alla memoria ed alle conclusioni del ricorso.
Svolgimento del processo

L.B. ricorre, a mezzo del suo difensore, deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati, avverso la sentenza 11 maggio 2009 della Corte di appello di Catanzaro che, in parziale riforma della sentenza 16 maggio 2007 del G.U.P. presso il Tribunale di Vibo Valentia ha ridotto la pena per l’appellante ad anni 2 e mesi 4 di reclusione per i reati di peculato e calunnia, confermando nel resto.

1.) Il capo di imputazione.

La L., concessionaria della ricevitoria (OMISSIS), è accusata:

A) reato di cui all’art. 314 c.p. perchè, nella sua qualifica di incaricato di pubblico servizio e, segnatamente, di concessionaria della ricevitoria lotto n. (OMISSIS), avendo per ragione del servizio la disponibilità di denaro provento del gioco del lotto, in particolare Euro 25.173,21 relativi alle giocate della settimana contabile del (OMISSIS); Euro 56.602,08 relativi alle giocate della settimana contabile del (OMISSIS); Euro 149.442,83 relativi alle giocate della settimana contabile del (OMISSIS); Euro 261.628,52 relativi alle giocate della settimana contabile del (OMISSIS); Euro 323.800,32 relativi alle giocate della settimana contabile del (OMISSIS); Euro 62.593,58 relativi alle giocate della settimana contabile dei (OMISSIS), si appropriava ditali somme di denaro.

In (OMISSIS) fino al (OMISSIS).

B) reato di cui all’art. 368 c.p., e art. 61 c.p., n. 2), perchè, con dichiarazione rivolta all’Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di Stato di Cosenza, asseriva falsamente di aver effettuato i versamenti delle somme di denaro di cui al capo A) presso la Banca Carime di (OMISSIS), somme che avrebbero dovuto essere accreditate, tramite bonifico, a cura dell’Istituto di Credito, in favore della Lottomatica, ma che non lo sono state, in tal modo simulando tracce del reato di appropriazione indebita a carico dei funzionari della Banca Carime Agenzia di (OMISSIS), pur sapendoli innocenti.

Con l’aggravante del fatto commesso al fine di procurarsi l’impunità per il reato di cui al capo a).

In (OMISSIS).

2.) la sentenza del G.U.P. del Tribunale di Vibo Valentia.

Risulta agli atti che, con sentenza in data 16 maggio 2007 il G.U.P. presso il Tribunale di Vibo Valentia, all’esito del giudizio abbreviato, riteneva l’imputata responsabile dei reati ascritti e la condannava, previo riconoscimento di circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di anni tre di reclusione, con l’applicazione dell’indulto di cui alla L. n. 241 del 2006.

Il primo giudice evidenziava che la vicenda era nata dalla denuncia 9 novembre 2005 del Ministero della Economia e delle Finanze – Amministrazione dei Monopoli di Stato, Ufficio Regionale della Calabria e della Basilicata, con la quale si segnalava all’autorità giudiziaria che l’imputata, gestore della ricevitoria del lotto di (OMISSIS), aveva omesso di versare, alle date di scadenza, i proventi delle giocate inerenti alle settimane contabili comprese nel periodo dal (OMISSIS), per un importo complessivo di Euro 879.240,00.

In tale quadro, alla stregua delle successive indagini della Guardia di Finanza emergeva secondo il G.U.P. che l’imputata, sollecitata a documentare i versamenti delle somme di denaro in questione, aveva inviato alla amministrazione due fax relativi a due distinti ordini di bonifico, entrambi recanti il timbro della banca Carime, dai quali risultavano gli importi versati nelle date indicate.

Seguiva ancora – sempre nella ricostruzione dei fatti dei giudici di merito – una missiva in data 8 settembre 2005 a firma del legale della imputata e dalla medesima sottoscritta che dava contezza del mancato versamento delle somme spettanti ai Monopoli di Stato, imputandone il ritardo all’Istituto di Credito Carime e si comunicava l’apertura di un nuovo conto corrente presso la Banca Intesa, dal quale sarebbero stati effettuati gli accrediti. Circostanze queste non rispondenti al vero in quanto la Polizia giudiziaria verificava che non era stato eseguito alcun bonifico presso gli sportelli della filiale della Carime, nè era stato aperto alcun conto corrente presso la Banca Intesa.

Il primo giudice, dopo aver valorizzato le risultanze di prova date dal compendio documentale allegato alla denuncia e dagli esiti investigativi delle forze dell’ordine, ha affermato la responsabilità dell’imputata in aderenza alle contestate imputazioni.

3.) La motivazione della sentenza della Corte di appello impugnata.

Proposto rituale appello, la corte distrettuale con la sentenza 11 maggio 2009, oggi impugnata, ha ribadito il giudizio di colpevolezza della L., riducendo peraltro la pena ad anni 2 e mesi 4 di reclusione con conferma nel resto.

La gravata sentenza ha considerato prive di pregio le deduzioni in ordine alla insussistenza del reato di peculato ed alla mancata prova della condotta appropriativa.

Rileva infatti ed in particolare la Corte di appello:

a) che in base al contenuto della denuncia del 9 novembre 2005 risulta che l’imputata, gestore della ricevitoria del lotto di (OMISSIS), ha omesso di versare il complessivo importo di Euro 879.240,00, costituente provento delle giocate relative alle settimane contabili (OMISSIS): tanto sulla scorta dei controlli espletati in virtù del potere di vigilanza attribuito sugli adempimenti dei concessionari;

b) che il mero possesso degli scontrini da parte dell’imputata ((OMISSIS)) non assume valore dimostrativo dell’infondatezza dell’assunto accusatorie considerato che le giocate del lotto sono documentate dalla registrazione effettuate sul terminale telematico;

c) che pertanto il relativo importo è determinato in base al prospetto della Amministrazione Monopoli di Stato ed agli elementi che nel complesso corredano la denuncia 9 novembre 2005, la quale richiama i dati relativi alle settimane contabili resi conoscibili dalla Lottomatica, concessionaria dello Stato per la riscossione, non avversati da elementi probatori di segno contrario, e non essendo, per altra via, in tale quadro accreditabile la registrazione di giocate (e conseguentemente importi di giocate) inesistenti ed a titolo gratuito;

d) che rispetto al compendio probatorio l’esito negativo dei successivi accertamenti patrimoniali nei confronti della imputata e di alcuni suoi congiunti non infirma di per sè la ritenuta condotta appropriativa ed è pertanto inconferente.

Quanto alla sostenuta insussistenza del delitto di simulazione di reato, la Corte di appello ha premesso che il G.U.P. ha congruamente individuato in base all’enunciato fattuale contestato al capo B) il delitto di cui all’art. 367 c.p., avuto riguardo alla erroneità dell’enunciato riferimento normativo, alla luce del contenuto della missiva 6 settembre 2005 (recante prot. n. 8082 dell’8 settembre 2005) cui si correlava la documentazione con false copie di bonifico presso la filiale di (OMISSIS) della Banca Carime in relazione ai versamenti delle somme dovute, asseritamente effettuati.

Osserva sul punto la gravata sentenza che le indagini di Polizia giudiziaria sugli ordini di bonifico con timbro della Banca Carime, indicati in detta missiva, hanno escluso che sia stato eseguito presso gli sportelli della filiale della Carime alcun bonifico e che dunque la documentazione prodotta in ordine ai versamenti effettuati fosse rispondente al vero.
Motivi della decisione

1.) I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.

La difesa della L., con un primo motivo di impugnazione deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della nullità della sentenza per difetto di contestazione e mancata correlazione tra imputazione contestata e successiva sentenza di condanna.

In buona sostanza ed in altre parole si sostiene che a fronte di un tenore d’accusa, che fa riferimento a "false asserzioni mediante dichiarazioni", il G.U.P. valorizza, agli effetti della pronunzia di colpevolezza, la diversa condotta di "documentare con false copie di bonifico".

Affermare e documentare rappresentano infatti due azioni che non si porrebbero in rapporto di continenza ma di eterogeneità.

Con un secondo motivo, che costituisce il naturale sviluppo della prima doglianza, si lamenta la lesione del diritto di difesa e l’assenza di una motivazione idonea a consentire la percezione del processo cognitivo che ha portato alla statuizione di responsabilità.

Il terzo motivo altro non è che la specificazione riassuntiva dei primi due in punto di diversità di condotte contestate ("asserire" e "documentare").

Con un quarto motivo si evidenzia vizio di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 367 e 368 c.p., ritenuta la prima violazione e non la seconda, tenuto conto che il fatto originariamente contestato non integra nè la fattispecie prevista e punita dall’art. 367 c.p., nè quella successiva dell’art. 368 c.p..

Con un quinto motivo si sostiene l’insussistenza sia della ricezione che della appropriazione della somma di Euro 879.240,54, non versata, secondo l’accusa, alla Lottomatica s.p.a..

I motivi 1, 2, 3 e 5, tra loro inscindibilmente correlati, sono privi di fondamento.

Sul punto va preliminarmente precisato che la regola di base, al fine di stabilire la determinatezza dell’imputazione, è quella che impone di aver riguardo alla contestazione sostanziale e che consente di escludere le dette nullità ogniqualvolta il prevenuto abbia avuto modo di individuare agevolmente, come avvenuto nella specie, gli specifici fatti con riferimento ai quali l’accusa è stata formulata.

Inoltre, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all’art. 521 c.p.p. deve tenersi conto, non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicchè questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della decisione (Cass. Penale sez. 3, 27 febbraio 2008 Rv. 239866, Fontanesi; massime precedenti conformi: 41663/2005 Rv. 232423,10103/2007 Rv. 236099; 34789/2007 Rv.

237415; 45993/2007 Rv. 23932).

Se quindi il "fatto" va definito come l’accadimento di ordine naturale, dalle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, di luogo e di tempo, poste in correlazione fra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica, la violazione del principio di correlazione può realizzarsi e manifestarsi soltanto attraverso un’alterazione consistente ed una trasformazione radicale della fattispecie concreta, nei suoi elementi essenziali, che non consenta di rinvenire un nucleo comune, identificativo della condotta, con il risultato di un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità, tra il fatto contestato e quello accertato, capace di creare un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa, a fronte del quale si verifica un pregiudizio, concreto e reale, dei diritti della difesa (Cass. Penale sez. 2, 45993/2007 Rv. 239320, imputato Cuccia).

Nulla di tutto ciò si è verificato nell’odierna vicenda nella quale la condotta della difesa è stata molto attenta alle dinamiche processuali, ed ha approntato ogni possibile schema di contenimento dell’imputazione nel suo più ampio e sostanziale sviluppo.

Quanto alla responsabilità dell’imputata, per il reato di peculato contestato al capo A), va subito precisato che nella verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che entrambe risultano sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti.

In buona sostanza ed in altre parole, nella specie, ci si trova di fronte a due sentenze, di primo e secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente si da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza per il delitto di peculato.

In conclusione l’esito del giudizio di responsabilità non può essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente le quali si risolvono nel delineare una "mirata rilettura" di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonchè nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili, oppure perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta si è in concreto esplicata.

Nella specie i giudici di merito hanno concordemente ricostruito gli omessi versamenti del denaro, corrispondente alle giocate delle settimane contabili in questione, ed il conseguente impossessamento da parte della L., concessionaria della Ricevitoria del Lotto; hanno diffusamente spiegato il valore probatorio decisivo delle registrazioni effettuate sul terminale telematico ed hanno chiaramente motivato l’irrilevanza del possesso, da parte della concessionaria stessa, dei 5.048 scontrini relativi alle operazioni di gioco, in termini in questa sede incensurabili per la loro lineare logicità.

Le doglianze del ricorso, limitatamente ai motivi primo, secondo, terzo e quinto, non possono quindi essere accolte.

Fondata è invece la doglianza formulata nel quarto motivo, concernente l’insussistenza della contestazione sub B), formalmente indicata nel relativo capo di imputazione come violazione dell’art. 368 c.p., ma ritenuta invece dai giudici di merito (pag. 4 sentenza di primo grado) come "simulazione di reato", dovendosi pertanto ritenere erronea l’indicazione dell’art. 368 c.p..

E’ noto che il delitto di simulazione di reato non è configurabile se la condotta non è idonea a determinare il pericolo che venga iniziato un procedimento penale (Cass. pen. sez. 6, 4983/2009 rv.

246077; precedenti conformi: N. 7341 del 1977 Rv. 136153, N. 20045 del 2009 Rv. 244263, N. 28018 del 2009 Rv. 244397).

Nel caso di specie, l’imputata, gestore di una Ricevitoria Lotto, sollecitata a documentare i versamenti dei proventi delle giocate, relative al periodo "26 luglio-13 settembre 2005" e per un importo complessivo pari ad Euro 879.240,00, ha dichiarato, contrariamente al vero, al richiedente Ispettorato Compartimentale, di aver effettuato i versamenti dovuti presso la Banca Carime.

Ritiene la Corte che tale mendacio – per come risulta contestato – non realizzi l’azione esecutiva del ritenuto delitto di simulazione di reato per la sua concreta insufficienza ed inidoneità a determinare l’inizio di un procedimento penale, dato che il contenuto della "dichiarazione", valutato nella sua complessiva situazione fattuale, consente di escludere la necessità di svolgere ed indirizzare delle indagini nei confronti dei dipendenti e funzionari della Banca, anche se tale Ente viene indicato come destinatario dei versamenti, asseriti ma non effettuati.

Il fatto di simulazione del capo B) quindi non sussiste e la gravata sentenza va quindi annullata senza rinvio, limitatamente a tale capo, con eliminazione della corrispondente pena pari a mesi 4 di reclusione, con rigetto nel resto del ricorso.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B) perchè il fatto non sussiste ed elimina la corrispondente pena di mesi 4 di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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