Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-04-2011) 19-05-2011, n. 19674 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La Corte d’Appello di Palermo, con sentenza 27 maggio 2010, ha parzialmente confermato la sentenza 14 luglio 2008 del Tribunale della medesima Città che aveva condannato P.U. e PA.AN. alle pene ritenute di giustizia per i delitti di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 il primo e art. 56 c.p., art. 378 c.p., comma 1, il secondo. La Corte ha concesso a P. l’attenuante di cui all’indicato D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, riducendo la pena inflitta dal primo giudice, e ha invece confermato integralmente le statuizioni nei confronti di PA..

I giudici di merito hanno ritenuto accertato che gli imputati, entrambi appartenenti all’Arma dei Carabinieri, si fossero resi responsabili dei reati indicati che erano emersi, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, dalle indagini svolte e dal contenuto di conversazioni telefoniche intercettate.

In particolare, secondo la Corte di merito, da una conversazione svoltasi il 30 ottobre 2002, risulterebbe che P. aveva rifornito di cocaina tale C.G., tossicodipenaente e spacciatore. L’interpretazione del contenuto di queste conversazioni sarebbe confermata da quello di altre tre conversazioni intervenute tra le medesime persone il precedente 26 ottobre 2002. La Corte rileva come P. non abbia negato di essere l’interlocutore nei colloqui indicati ma abbia dato una spiegazione completamente diversa del significato dei colloqui che, secondo le sue spiegazioni, si inserivano in un contesto di rapporti con confidenti nel contrasto dello spaccio di stupefacenti.

Diverso il contesto in cui veniva accertato il fatto contestato a PA.AN.. A seguito dell’arresto di tale B. G., anch’egli tossicodipendente e spacciatore, la Guardia di Finanza aveva intercettato un colloquio tra B. e la moglie dal quale risultava che il medesimo, che aveva ingerito alcuni ovuli contenenti cocaina, era riuscito ad occultarne due e una di queste confezioni era stata nascosta lungo una strada in prossimità di (OMISSIS). Con la collaborazione della moglie di B. gli operanti avevano rinvenuto l’ovulo, lo avevano svuotato e ricomposto sul luogo predisponendo un servizio di osservazione. Dopo poco potevano osservare che sul luogo giungeva un’auto dei Carabinieri, alla cui guida si trovava PA., da cui scendeva B. (che si trovava in stato di custodia cautelare domiciliare) che prelevava l’involucro.

Successivamente veniva registrata una conversazione tra PA. e B. nella quale quest’ultimo riferiva al primo che nell’involucro non c’era nulla.

Da ciò la conclusione – fondante l’accusa del tentativo di favoreggiamento personale – che PA. fosse a conoscenza delle ragioni per cui B. si era fermato sul luogo.

2) Contro la sentenza di secondo grado hanno proposto ricorso entrambi gli imputati.

Con il ricorso da lui proposto P.U. deduce un unico motivo di censura con cui denunzia la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b ed e. Secondo il ricorrente la conferma della sentenza di condanna pronunziata in primo grado deriverebbe da un’erronea interpretazione di un singolo passaggio della conversazione intervenuta con C. il 30 ottobre 2002 ma questa interpretazione sì porrebbe in contrasto con tutte le altre acquisizioni probatorie.

Non avrebbe infatti tenuto conto, la Corte di merito, della particolare natura dei rapporti che l’appartenente alla polizia giudiziaria instaura con i confidenti ai quali necessariamente deve prospettare i massimi benefici che possono derivare dalla loro collaborazione. In particolare, nel caso di specie, i giudici di merito non avrebbero considerato che i bisogni di C. ben potevano essere soddisfatti, come in realtà avvenuto, con la consegna di una somma di danaro, debitamente autorizzata, con la quale il confidente tossicodipendente poteva soddisfare il suo bisogno urgente derivante dall’arresto (da lui propiziato) dello spacciatore che lo riforniva abitualmente.

In particolare il ricorrente prospetta una diversa ricostruzione del contenuto del colloquio del 30 ottobre evidenziando come l’espressione usata dal confidente (che quasi accusa P. di avergli fatto correre il rischio di morire per lo scambio di confezioni di eroina e cocaina) si riferisse in realtà ad altri spacciatori che gli avevano fornito la droga. Del resto lo stesso C., sentito in dibattimento, ha dichiarato che la droga era stata acquistata con i Euro 150,00 euro che P. gli aveva consegnato e la credibilità di tali dichiarazioni neppure è stata confutata dalla Corte.

Questa ricostruzione prospettata dal ricorrente sarebbe confermata dal tenore di altra conversazione dal cui contenuto appare evidente che le richieste del confidente a P. riguardano soldi e non stupefacenti. Del resto i risultati dell’istruzione dibattimentale hanno confermato anche quale era l’oggetto dell’indagine che P. stava svolgendo e per la quale intendeva acquisire notizie da C..

Il ricorrente contesta poi il significato attribuito alle conversazioni intercettate il 26 ottobre rilevando come i venti grammi di sostanza di cui si parla sono quelli effettivamente sequestrati allo spacciatore D.G. e regolarmente indicati nel verbale di sequestro. Poichè l’intervento era stato propiziato dal confidente il ricorrente prometteva un compenso. Del resto se P. si fosse trattenuto una parte della droga di ciò dovrebbero essere ritenuti responsabili tutti i componenti della squadra. Inoltre la tesi della Corte è smentita da tutte le deposizioni dei testi che confermano le dazioni di danaro da parte di P. a C..

3) Con il ricorso da lui proposto PA.AN. ha dedotto i seguenti motivi di censura:

– l’"illogica lettura dei fatti" da parte delle due sentenze di inerito in quanto non vi era alcuna prova che la sostanza contenuta nell’ovulo svuotato avesse natura stupefacente e tanto meno che il ricorrente fosse a conoscenza delle ragioni per le quali B. aveva chiesto al ricorrente di fermare l’auto;

– la mancanza di motivazione sulla richiesta che venisse disposto un esame tossicologico della sostanza sequestrata dalla Guardia di Finanza; di talchè deve ritenersi inesistente la prova dell’esistenza del reato presupposto;

– la mancata considerazione che si trattava di un reato impossibile perchè non esisteva più la droga al momento della condotta;

– l’illogicità della motivazione nella parte in cui ha escluso che B. fosse sceso dall’autovettura affermando di dover soddisfare un bisogno fisiologico;

l’"illogica pretermissione dell’analisi dell’elemento soggettivo" la cui esistenza non risulterebbe da alcun elemento e sarebbe anzi esclusa dalla circostanza che l’operazione – che aveva anche comportato l’evasione di B. che si trovava agli arresti domiciliari – fosse stata consentita dai superiori del ricorrente e quindi era riconducibile a finalità del servizio;

– l’erronea applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 9 non risultando da alcun elemento che la consumazione del reato fosse stata agevolata dalla qualità di carabiniere ricoperta dal ricorrente.

4) Entrambi i ricorsi sono inammissibili perchè proposti per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e per altre ragioni che verranno di seguito indicate.

Esaminando preliminarmente il ricorso di P.U. va rilevato che la sola sintesi dei motivi proposti evidenzia come, con le censure proposte, si proponga al giudice di legittimità un’interpretazione del contenuto dei colloqui intercettati diversa da quella concordemente compiuta da entrambi i giudici di merito.

E’ noto che l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni intercettate costituisce un accertamento fattuale che si risolve in una valutazione ricostruttiva dei colloqui che compete esclusivamente al giudice di merito che deve fornire una valutazione conforme ai principi della logica e delle massime di esperienza accertando che il significato sia connotato da criteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità. In questo senso si è più volte espressa la giurisprudenza di legittimità: v.

Cass., sez. 6, 11 dicembre 2007 n. 15396, Sitzia, rv. 239636; 10 giugno 2005 n. 35680, Patti, rv. 232576; sez. 4, 16 giugno 2004 n. 40172, Kerri, rv. 229568; sez. 5, 3 dicembre 1997 n. 5487, Viscovo, rv. 209566; 14 luglio 1997 n. 3643, Ingrosso, rv. 209620; sez. 6, 12 dicembre 1995 n. 5501, Falsone, rv. 205651.

I limiti del sindacato di legittimità sono dunque collocati all’interno di questi binari: il giudice di merito deve dare conto del contenuto dei colloqui intercettati, spiegarne il significato, chiarirne eventuali aspetti oscuri, indicare le ragioni perchè ad alcune parole e frasi viene attribuito un significato criptico, verificare la possibilità di una spiegazione alternativa del contenuto del colloquio.

Ove il giudice di merito abbia adempiuto a tali obblighi motivazionali è precluso alla Corte di cassazione operare una diversa ricostruzione; se invece, nell’opera interpretativa compiuta, il giudice di merito non abbia compiuto lo scrutinio descritto omettendolo o compiendolo in modo manifestamente illogico il giudice di legittimità può intervenire annullando, se del caso, la sentenza di condanna fondata in modo decisivo sui colloqui intercettati.

5) Alla luce dei principi indicati non può che aversi conferma dell’inammissibilità delle censure dedotte dal ricorrente P..

La sentenza impugnata ha così ricostruito il contenuto delle conversazioni che interessano la posizione del ricorrente: il 30 ottobre 2002 C., parlando al telefono con P., si lamenta del fatto che il suo interlocutore gli abbia consegnato una dose di cocaina confezionata con le stesse modalità di una dose di eroina e del fatto che, se l’avesse iniettata, sarebbe morto.

Come si è detto non compete a questa Corte verificare la corretta interpretazione del colloquio ma soltanto accertare se la Corte di merito abbia chiarito da quali elementi abbia tratto la convinzione che la dose gliela avesse fornita P. e non un terzo come sostenuto nell’appello. Ebbene la sentenza impugnata ricorda che P. chiede a C. (che si lamentava della mancanza di droga sul mercato) se era "rimasto contento" e C. gli risponde "con te ?" ottenendo la risposta "si, no, si" lamentandosi poi che la confezione lo stava inducendo in errore.

Il colloquio prosegue su questo tema e C. ribadisce che poteva morire e P. chiede addirittura scusa per quanto era successo e prosegue dicendo che si è sbagliato e che penserà al suo interlocutore in un’altra occasione.

Da ciò la Corte di merito trae la conseguenza che la droga gliela aveva fornita P. e questa conclusione non appare per nulla illogica perchè la ricostruzione si fonda su frasi dal contenuto ritenuto (incensurabilmente) inequivocabile e tale da smentire l’ipotetica e congetturale diversa ricostruzione sostenuta dal ricorrente.

Si aggiunga che il precedente 26 ottobre erano intercorse, tra i medesimi interlocutori, tre telefonate nelle quali inequivocabilmente secondo la motivata sentenza impugnata – si faceva riferimento appunto alla consegna della sostanza stupefacente fatta ritrovare a C. nascosta in un pacchetto di sigarette. E il contenuto di queste conversazioni costituisce solida conferma della ricostruzione di quella avvenuta il 30 ottobre essendo del tutto congetturale l’assunto che dell’appropriazione di una parte della droga i colleghi di P. non potevano non essere coscienti.

Del tutto prive di rilievo e di decisività sono poi le considerazioni svolte dal ricorrente secondo cui i rapporti con C. si collocano all’interno dei rapporti con i confidenti e che al confidente fosse stata consegnata (legittimamente) una somma di danaro o, ancora, che in altra occasione C. abbia chiesto a P. danaro e non droga. Non sono queste le circostanze in contestazione ma il fatto che l’imputato nell’episodio contestato integrante un’illecita cessione di sostanza stupefacente – sia andato ben al di là dei suoi compiti istituzionali di contrasto al commercio illecito di sostanze stupefacenti.

Inevitabile è dunque la conclusione che il ricorso sia stato proposto da P. per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità. 6) Anche il ricorso di PA.AN. deve essere ritenuto inammissibile sia pure per ragioni in parte diverse.

Analoghe peraltro sono le considerazioni da fare sul contenuto delle conversazioni intercettate. E, anche in questo caso, la Corte di merito ha fornito una risposta adeguata ai motivi di appello sull’interpretazione della condotta di PA. e della conversazione di cui si parlerà.

La condotta tenuta dal ricorrente, e già ricordata, non è in contestazione: egli si è recato in ora notturna, dopo un accordo telefonico, a prelevare B. presso l’abitazione dove si trovava agli arresti domiciliari. A bordo dell’auto di servizio (con la scritta "Carabinieri") ha accompagnato B. nel luogo dove si trovava l’ovulo contenente eroina; qui erano appostati gli appartenenti alla Guardia di Finanza (informati dalla moglie di B. che aveva deciso di collaborare) che hanno visto distintamente B. scendere e prendere l’involucro nel nascondiglio e poi tornare nell’auto condotta da PA. che ripartiva.

PA. ha protestato la sua innocenza fin dall’inizio dicendo che non sapeva dello scopo perseguito dal suo passeggero che riteneva fosse sceso dal veicolo per un bisogno fisiologico. Se anche il quadro indiziario si limitasse alla condotta descritta non sarebbe irragionevole un’affermazione di esistenza dell’elemento soggettivo perchè PA. non ha mai fornito una versione plausibile della sua condotta ed in particolare delle ragioni che l’avevano indotto ad accompagnare l’evaso B. nel viaggio notturno posto che non risulta che i due si siano recati, quella notte, in luoghi dove potevano essere svolte attività investigative.

Ma la Corte di merito ha indicato l’elemento di conferma inequivocabile dell’ipotesi di accusa ricordando che, dopo alcune ore dall’incontro, PA. telefonava a B. per chiedergli informazioni sul recupero e il suo interlocutore gli rispondeva in modo inequivoco che la confezione era vuota ("quel coso non era niente") dicendo che poi gli avrebbe spiegato. Dopo poco PA. si recava a caso di B..

E’ del tutto evidente quindi come la Corte di merito abbia adeguatamente motivato il suo convincimento sull’esistenza dell’elemento soggettivo in modo ineccepibile e certamente non illogico, traendo dal contenuto della conversazione intercettata -la cui interpretazione è incensurabile per le ragioni già ampiamente spiegate nell’esame del ricorso P. – la conferma dell’esistenza del dolo del favoreggiamento contestato all’imputato.

7) Anche gli altri motivi del ricorso proposto da PA. sono inammissibili.

Quelli concernenti la (adombrata; perchè la norma neppure viene indicata nel ricorso) violazione dell’art. 49 c.p. (reato impossibile) e la possibilità di ipotizzare l’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 9 non sono stati proposti con i motivi di appello e sono dunque inammissibili ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3. V’è solo da aggiungere, quanto al primo, che la mancanza della droga nella confezione non varrebbe ad escludere l’inesistenza dell’oggetto dell’azione perchè la contestazione del reato, come riportata nella sentenza di appello, fa riferimento all’aiuto fornito per eludere le investigazioni e la asportazione della confezione aveva questo effetto indipendentemente dalla presenza della droga all’interno dell’ovulo.

Manifestamente infondata è anche la censura che si riferisce all’asserito mancato accertamento della natura stupefacente della sostanza sequestrata dalla Guardia di Finanza e sostituita con sostanza inerte nell’ovulo poi prelevato da B.. Entrambi i giudici di merito hanno infatti ricordato che la sostanza era stata analizzata presso i laboratori della Guardia di Finanza, che le persone interessate hanno ammesso che si trattava di eroina e che gli altri ovuli sequestrati a B. contenevano questa sostanza.

Trattasi dunque, anche in questo caso, di un accertamento fattuale che, essendo adeguatamente motivato, si sottrae al vaglio di legittimità.

La natura originaria delle cause di inammissibilità non consente di dichiarare l’estinzione del reato contestato a PA. a seguito della prescrizione che sarebbe maturata dopo la sentenza di appello:

v. Cass., sez. un., 22 novembre 2000 n. 32, De Luca, rv. 217266. 8) Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi conseguono le pronunzie di cui al dispositivo. Con riferimento a quanto statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza 13 giugno 2000 n. 186 si rileva che non si ravvisano ragioni per escludere la colpa dei ricorrenti nella determinazione della causa di inammissibilità, ai fini della condanna al pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende, in considerazione della palese violazione delle regole del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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