Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 27-01-2011) 19-05-2011, n. 19664 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 31/3/2008 il Tribunale di Busto Arsizio assolveva, perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato, C.R.M. dal delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per la detenzione per fini di cessione di 2,8 gr. lordi di cocaina e gr. 1,5 di hashish (acc. in (OMISSIS)).

Osservava il Tribunale che dall’istruzione svolta non era emerso che la droga detenuta fosse destinata alla cessione, tenuto conto della minima quantità, compatibile con l’uso personale e del fatto che i due giovani visti discutere con il C. non erano stati escussi per riferire dei rapporti con l’imputato, nè perquisiti per accertare se avessero acquistato droga.

2. Con sentenza del 11/1/2010 la Corte di Appello di Milano, riformava la pronuncia di primo grado, condannando l’imputato alla pena di mesi 8 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, ritenuto il fatto di lieve entità e con le attenuanti generiche.

Evidenziava la Corte che la destinazione alla cessione della droga si evinceva dalle seguenti circostanze:

– la sua presenza in un luogo notoriamente destinato allo spaccio;

– la sua animata discussione con due giovani, tipica di una contrattazione;

– la detenzione di due diverse tipologie di droghe.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, lamentando la violazione di legge ed il difetto di motivazione, laddove il giudice di merito aveva riformato la sentenza di primo grado, attentamente motivata, basando la condanna su labili e sfuggenti supposizioni e approssimative congetture, inidonee a trasformare un semplice assuntore di droga in spacciatore.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile.

Va ricordato che, quando il giudice di appello riformi totalmente la decisione di primo grado, ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (cfr. Cass. Sez. Un., sentenza n. 33748 del 12/07/2005 ud. (dep. 20/09/2005), Mannino, Rv. 231679; Cass. Sez. 6^, sentenza n. 22120 del 29/04/2009 ud. (dep. 27/05/2009), Tatone, Rv.

243946).

Nel caso di specie il giudice di appello, con motivazione coerente e non manifestamente illogica ha evidenziato come la destinazione della droga alla cessione si evinceva dalla complessiva condotta del C..

Invero questi, come da lui stesso dichiarato, deteneva la sostanza già da alcuni giorni. Orbene, come osservato dalla Corte di merito, se la droga fosse stata detenuta per esclusivo uso personale, non vi era necessità di portarla al seguito in luogo pubblico ed occultarla indosso, addirittura nelle mutande.

Ciò era compatibile con la finalità di spaccio della sostanza, avvalorata tale conclusione dall’animato contatto che il C. aveva avuto con altri due giovani.

Le argomentazioni svolte dalla Corte distrettuale sono in linea con i criteri che governano la valutazione della prova.

Invero, come noto, atteso il principio della libertà di convincimento del giudice e della insussistenza di un regime di prova legale, il presupposto della decisione è costituito dalla motivazione che la giustifica.

Ne consegue che il giudice può scegliere, tra le varie tesi quella che maggiormente ritiene condivisibile, purchè illustri le ragioni della scelta operata (anche in rapporto alle altre prospettazioni che ha ritenuto di disattendere) in modo accurato attraverso un percorso logico congruo che il giudice di legittimità non può sindacare nel merito" (Cass. 4^, n. 46359/07, imp. Antignani, rv. 239021).

Nel caso di specie le contrarie argomentazioni difensive, in questa ottica, esprimono solo un dissenso rispetto ad una ricostruzione del fatto che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale, sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00 (mille).
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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