Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-01-2011) 19-05-2011, n. 19720 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

vv. Bellino Augusto Mario.
Svolgimento del processo

1. C.V. venne rinviato a giudizio per rispondere dei reati di sequestro di persona, violenza sessuale, maltrattamenti e lesioni personali in danno della propria moglie S.V..

Il tribunale di Bari, con sentenza 18 febbraio 2004, assolse il C. dai reati di sequestro di persona, violenza sessuale e maltrattamenti perchè il fatto non sussiste e dichiarò l’improcedibilità del reato di lesioni per difetto di querela.

A seguito di impugnazione del pubblico ministero e della parte civile, la corte d’appello di Bari, con la sentenza in epigrafe, dichiarò l’imputato colpevole del reato di maltrattamenti e, con le attenuanti generiche, lo condannò alla pena di anni uno di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

2. L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione di legge per mancata dichiarazione di inammissibilità dell’appello del pubblico ministero, in quanto lo stesso non conteneva gli elementi di diritto e di fatto su cui si basava la censura.

2) mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che a fronte di una sentenza di assoluzione in primo grado, la corte d’appello non poteva limitarsi ad una generica manifestazione di una differente valutazione, ma avrebbe dovuto specificare i dati fattuali che conducevano univocamente al convincimento opposto e dimostrare puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti del primo giudice. Osserva poi che la sentenza di primo grado non aveva assolto l’imputato dal reato di maltrattamenti per mancanza dell’elemento materiale, bensì perchè aveva ritenuto assolutamente inattendibili le dichiarazioni della persona offesa anche con riferimento a tale reato. Inoltre, la corte d’appello ha erroneamente operato una valutazione frazionata delle dichiarazioni della donna, omettendo completamente di motivare in ordine alla esclusione di interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato relative ai maltrattamenti e le parti relative alla violenza sessuale ed al sequestro di persona. La motivazione è anche contraddittoria perchè, dopo avere escluso qualsiasi relazione tra le parti del racconto relative all’episodio del (OMISSIS) (per il quale la persona offesa è assolutamente inattendibile) e quelle relative al delitto di maltrattamenti, la corte indica quello stesso episodio fra i fatti sintomatici del regime di vita vessatorio. La corte poi ha precisato che il giudizio di inattendibilità intrinseca della persona offesa si fondava sui motivi di rancore per questioni di carattere economico nonchè su profili di incoerenza logica del racconto. La natura della inattendibilità era quindi tale da estendersi a tutte le parti del racconto.

3) lamenta che, essendo state concesse le attenuanti generiche, anche il delitto di maltrattamenti si era comunque prescritto prima della emissione della sentenza impugnata sicchè erroneamente la corte d’appello non ha dichiarato la estinzione del reato.

3. La parte civile S.V. propone ricorso per cassazione deducendo:

1) erronea applicazione dell’art. 124 c.p., comma 2 in relazione al reato di lesione personale realizzato il (OMISSIS), dal momento che per tale reato, refertato il (OMISSIS) alle ore 15, la querela era stata regolarmente presentata.

2) contraddittorietà della motivazione in ordine alla negazione della autonoma punibilità del delitto di lesione personale realizzato il (OMISSIS) ed alla negazione del concorso materiale di tale delitto con quello di maltrattamenti.

3) contraddittorietà della motivazione in ordine ai delitti di sequestro di persona e di violenza sessuale, in particolare relativamente alla rilevanza attribuita al regalo fatto dall’imputato alla moglie il (OMISSIS), senza considerare il referto delle lesioni arrecate in pari data. Lamenta anche erronea valutazione della relazione del consulente tecnico dell’imputato, in contrasto col certificato dell’ospedale. Contraddittoriamente poi la corte non ha ritenuto credibili le dichiarazioni della parte civile sul punto mentre le ha ritenute attendibili in ordine al delitto di maltrattamenti in famiglia. La corte ha anche omesso di considerare i riscontri esterni al racconto della donna. Non era poi possibile accordare credibilità alla persona offesa esclusivamente per alcuni capi di imputazione e non per altri.

4) erronea applicazione dell’art. 539 c.p.p., comma 1 per omessa liquidazione del danno e comunque assoluta carenza di motivazione sul punto.

5) mancanza di motivazione sulla richiesta di pagamento di una provvisionale.

In data 4.1.2011 la parte civile ha depositato memoria difensiva con la quale chiede il rigetto del ricorso dell’imputato e la conferma delle statuizioni civili anche in caso di declaratoria di prescrizione.
Motivi della decisione

4. Il primo motivo del ricorso dell’imputato è infondato perchè l’atto di appello del pubblico ministero non conteneva vizi di indeterminatezza tali da farlo ritenere inammissibile. E difatti, "l’ammissibilità dell’atto di impugnazione dipende dal tasso di determinatezza dei motivi che la sostengono, la cui valutazione deve essere volta ad accertare la chiarezza e specificità dei medesimi in rapporto ai principi della domanda, della devoluzione e del diritto di difesa dei controinteressati" (Sez. 4, 30.9.2008, n. 40243, Falcioni, m. 241477).

Nella specie risulta che l’appello del PM possedeva i necessari requisiti di determinatezza, avuto riguardo al contenuto sostanziale della impugnativa proposta, per cui la esplicita menzione dei fatti materiali relativi ai capi della sentenza impugnata può essere anche sintetica e parziale per gli aspetti di interesse per l’appello. Ed invero, da un lato la controparte è stata posta in condizioni di dedurre dal contenuto dell’impugnativa quali siano stati i capi ed i punti della sentenza impugnata oggetto dell’appello e, quindi, è stata posta in considerazione di esercitare il proprio diritto di difesa, mentre, dall’altro lato, il giudice devoluto ha potuto inferire dall’impugnativa medesima quali disposizioni del provvedimento impugnato siano state oggetto di censura.

5. Per quanto concerne il secondo ed il terzo motivo del ricorso dell’imputato, va preliminarmente rilevato che, in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia, la corte d’appello ha concesso le attenuanti genetiche, sicchè il limite edittale massimo di cui all’art. 572 cod. pen. è sceso al di sotto dei cinque anni, con la conseguenza che il periodo massimo di prescrizione è di sette anni e mezzo.

Il reato è stato contestato come commesso fino al (OMISSIS) di modo che la prescrizione è maturata l’1/6/2009, ossia prima della data del 21.12.2009 in cui è stata emessa la sentenza impugnata, che pertanto erroneamente non ha rilevato e dichiarato la già intervenuta causa di estinzione del reato.

Dagli atti non risultano in modo evidente cause di proscioglimento nel marito. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata senza rinvio agli effetti penali in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia perchè estinto per prescrizione. Non sarebbe infatti possibile un annullamento con rinvio agli effetti penali perchè tale pronuncia è impedita dall’obbligo di immediata dichiarazione della causa di estinzione del reato.

6. Poichè però in relazione a tale reato con la sentenza impugnata vi è stata condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile, il secondo motivo dell’imputato va egualmente esaminato nel merito agli effetti delle statuizioni civili.

Nel merito il motivo è fondato.

Il giudice di primo grado – dopo aver rilevato che le risultanze dibattimentali avevano mostrato che, nel corso della breve convivenza matrimoniale, i coniugi attraversarono "lunghi periodi di disaccordo e di incomprensione, sfociati spesso in litigi ed in accese discussioni, dovuti essenzialmente all’acquisto della casa coniugale ed ai problemi connessi alla sua titolarità, nonchè a problemi di incompatibilità caratteriale e ad una sostanziale diversità di vedute sulla gestione delle (modeste) risorse economiche familiari";

dopo aver ricordato l’allontanamento della donna dalla abitazione coniugale, il riavvicinamento e il ripristino della convivenza e infine il ricorso per separazione, nonchè il fatto che "alla fine del mese di (OMISSIS) si verificarono alterchi particolarmente accesi tra i due coniugi, ancora una volta dovuti alle questioni economiche sottese all’acquisizione patrimoniale immobiliare effettuata ed alle pretese di volta in volta avanzate dai predetti in ordine alla restituzione di quanto asseritamente corrisposto o anticipato per l’acquisto e per la ristrutturazione dell’immobile" – aveva esplicitamente escluso valenza probatoria alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, in quanto le stesse non avevano superato il doveroso riscontro di credibilità, a cominciare da quelle in merito all’episodio del (OMISSIS), e si erano rivelate in sè inidonee a suffragare l’assunto accusatorio. Secondo il giudice di primo grado, infatti, tali dichiarazioni "sono risultate contraddittorie e logicamente incoerenti, nonchè in toto sfornite di riscontri esterni, ma prima ancora intrinsecamente inattendibili alla luce dei confessati motivi di rancore che la persona offesa e parte civile costituita nutriva nei confronti del prevenuto". Questa motivazione, in sè valevole per tutti i reati contestati, era stata poi integrata per quanto specificamente concerne il reato di maltrattamenti in famiglia, dalla considerazione che per tale reato non ricorreva "l’elemento materiale e ciò a prescindere dalla idoneità degli episodi denunziati a costituire una abituale condotta vessatoria ai danni della persona offesa e della sussistenza dello elemento intenzionale, laddove la comprovata circostanza della perfetta reciprocità del disagio morale e psicologico dovuto alle incomprensioni ed all’incompatibilità caratteriale, non può ovviamente costituire un comportamento penalmente significativo ai sensi dell’art. 572 cod. pen. a carico di uno solo dei coniugi e, nella specie, a carico dell’imputato".

A fronte di questa ampia motivazione, la corte d’appello, dopo avere erroneamente ritenuto che il tribunale avesse escluso il reato di maltrattamenti non per la riconosciuta inattendibilità della persona offesa ma solo per insussistenza dello elemento materiale e di quello intenzionale, senza peraltro porsi comunque il problema della attendibilità delle dichiarazioni accusatorie nel loro complesso, ha ritenuto che il racconto della S., relativamente ai soli maltrattamenti fosse credibile, perchè si inseriva in un contesto di esasperata conflittualità familiare e perchè non sussisteva interferenza fattuale e logica tra le parti del racconto relative ai fatti del (OMISSIS) e le condizioni di vita che la donna era stata costretta a subire nel corso del matrimonio. Dopo aver rilevato che, secondo le dichiarazioni accusatorie, l’imputato aveva reiteratamente minacciato e percosso la moglie fino a causarle lesioni refertate nelle quattro circostanze indicate nel capo di imputazione (ed in una occasione notate dalla datrice di lavoro) la corte ha osservato che la legittima aspirazione della donna di avere una propria abitazione aveva incrinato il rapporto coniugale, esasperando la conflittualità familiare. In tale contesto l’imputato aveva posto in essere una serie di atti lesivi della integrità fisica e morale della moglie, con carattere di abitualità, tanto da rendere intollerabile e dolorosa la convivenza, con una azione sistematica e pervicace anche sotto il profilo psicologico, solo perchè la donna pretendeva di avere una propria abitazione. Tale condotta, secondo la corte d’appello, non era stata occasionale ma si era protratta per tutto il periodo di crisi coniugale, durato per oltre un anno, mentre era irrilevante che in questo periodo la convivenza non fosse stata stabile.

La corte d’appello, quindi, ha fondato la sua affermazione di responsabilità per il reato di maltrattamenti essenzialmente sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa, dal momento che gli altri elementi processuali indicati riguardano solo quattro referti medici per lesioni e le dichiarazioni di una testimone che una volta aveva visto la donna recarsi al lavoro piangendo e con dei lividi sulle braccia. La corte peraltro, dopo avere erroneamente ritenuto che il tribunale non avesse escluso il reato di maltrattamenti a causa della inattendibilità della S., ha totalmente omesso di compiere una doverosa ed autonoma valutazione della attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa limitandosi a richiamare una massima in tema di valutazione frazionata di dette dichiarazioni.

Orbene, esattamente innanzitutto il ricorrente lamenta che la corte d’appello, pur riconoscendo la validità ed esaustività della motivazione del tribunale, con specifico riferimento ai criteri di valutazione della prova applicati dal primo giudice, ne ha poi sovvertito la decisione in relazione alla sola imputazione di maltrattamenti in famiglia, senza non solo effettuare una compiuta penetrante analisi critica degli argomenti utilizzati dalla sentenza di primo grado dimostrandone l’insostenibilità, ma senza in realtà nemmeno motivare sulle ragioni della propria diversa valutazione.

Va invero ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, "La sentenza di appello, che riforma integralmente la sentenza assolutoria di primo grado, deve confutare specificamente, per non incorrere nel vizio di motivazione, le ragioni poste a sostegno della decisione riformata, dimostrando puntualmente l’imostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti anche avuto riguardo ai contributi eventualmente offerti dalla difesa nel giudizio di appello, e deve quindi corredarsi di una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati" (Sez. 5, 17.10.2008, n. 42033, Pappalardo, m. 242330); "In tema di motivazione della sentenza, il principio per cui, nel caso di riforma da parte del giudice di appello di una decisione assolutoria emessa dal primo giudice, il secondo giudice ha l’obbligo di dimostrare specificamente l’ìnsostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati, trova applicazione anche in caso di radicale rovesciamento di una valutazione essenziale nell’economia della motivazione, in un processo nel quale siano determinanti i contributi dichiarativi di alcuni soggetti chiamanti in reità o in correità, non essendo sufficiente la manifestazione generica di una differente valutazione ed essendo, per contro, necessario il riferimento a dati fattuali che conducano univocamente al convincimento opposto rispetto a quello del giudice la cui decisione non si condivida" (Sez. 5, 5.5.2008, n. 35762, Alesi, m. 241169).

Nella specie la corte d’appello si è limitata a dare una diversa valutazione del medesimo materiale probatorio utilizzato dal tribunale senza motivare sia sugli specifici dati fattuali che avrebbero potuto condurre univocamente ad un convincimento opposto a quello dei primi giudici sia soprattutto sulla stessa valutazione di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, che in definitiva hanno costituito l’unico elemento su cui si è fondata la sentenza di appello. La sentenza impugnata, come già rilevato, ha erroneamente ritenuto che il tribunale avesse escluso l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa limitatamente alle parti di esse connesse alle imputazioni di violenza sessuale e di sequestro di persona. Il tribunale invece, come si è visto, prima ancora di soffermarsi sulle specifiche modalità dei fatti denunziati e sulla integrazione dei delitti contestati, aveva ampiamente chiarito l’assoluta inattendibilità della denunziante, con valutazione che, ovviamente, si estendeva pienamente e totalmente ad ogni aspetto descritto dalla persona offesa. In ogni caso, anche qualora la motivazione della sentenza di primo grado non si estendesse al reato di maltrattamenti, la corte d’appello avrebbe comunque dovuto compiere una autonoma valutazione della attendibilità delle dichiarazioni accusatorie relative a questo specifico reato, tenendo ovviamente conto del complessivo racconto della persona offesa. La corte si è invece limitata a ritenere plausibile una valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa, facendo automaticamente ed apoditticamente derivare da tale possibilità un giudizio di piena attendibilità delle dichiarazioni diverse da quelle specificamente ritenute totalmente inattendibili dal tribunale.

In particolare la corte d’appello – richiamando una decisione di questa Sezione (26.9.2006, n. 40170, Gentile, m. 235575) – ha affermato che sarebbe legittima una valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa e che il giudizio di inattendibilità, riferito ad alcune circostanze, non inficia necessariamente la credibilità delle altre parti del racconto, sempre che non esista una interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato e sempre che l’inattendibilità di alcune parti della dichiarazioni non sia talmente macroscopica da compromettere per intero la credibilità del dichiarante. La corte ha dunque implicitamente ritenuto – senza peraltro motivare su tutti questi punti – che nella specie non sussistesse una inattendibilità macroscopica di alcune parti del racconto della donna o una interferenza fattuale e logica tra le parti del narrato, e ne ha fatto derivare l’automatica conseguenza che la parte del racconto relativa ai maltrattamenti dovesse ritenersi attendibile. Sennonchè, va innanzitutto rilevato che la suddetta decisione di questa Corte si riferiva a fattispecie diversa, ed in particolare a dichiarazioni della persona offesa relative ad episodi diversi e non allo stesso episodio. Nella specie, invece, si trattava di dichiarazioni relative al complesso delle modalità di svolgimento del rapporto coniugale, e quindi doveva comunque essere seguita la regola generale di una valutazione globale della attendibilità della teste persona offesa, tenendo conto di tutte le sue dichiarazioni e di tutte le circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo.

D’altra parte, anche la possibilità di valutazione frazionata non escludeva che nella specie la corte d’appello dovesse comunque motivatamente tenere conto del giudizio – dalla stessa corte d’appello condiviso – di inattendibilità, per le ragioni specificamente indicate, delle dichiarazioni relative alla violenza sessuale ed al sequestro di persona.

La sentenza impugnata, del resto, ha totalmente omesso di motivare anche sulla esclusione di una interferenza logica e fattuale tra le parti del narrato relative al reato di maltrattamenti e le parti relative alla violenza sessuale ed al sequestro di persona, essendo stata tale mancanza di interferenza solo apoditticamente affermata.

Non si rinviene nella motivazione alcun riferimento a fatti, circostanze o deduzioni logiche da cui poter arguire che la corte abbia ragionevolmente escluso qualsiasi legame tra le parte delle dichiarazioni ritenute inattendibili e quelle ritenute attendibili.

Sotto questo profilo, anzi, la motivazione è anche contraddittoria.

Infatti, dopo avere escluso qualsiasi correlazione tra le parti del narrato relative all’episodio del (OMISSIS) e quelle relative ai maltrattamenti, la sentenza indica quello stesso episodio tra i fatti sintomatici del regime di vita vessatorio a cui era sottoposta la persona offesa. In sostanza, quindi, la sentenza impugnata, da un lato, afferma che la persona offesa è intrinsecamente inattendibile rispetto ai fatti del (OMISSIS) e, dall’altro lato, pone proprio quei fatti del (OMISSIS) a fondamento del giudizio di attendibilità della persona offesa in relazione al delitto di maltrattamenti. La contraddittorietà peraltro investe la motivazione sotto un aspetto più generale. Ed infatti, nella prima parte la sentenza impugnata (condividendo il giudizio del tribunale) precisa che la valutazione di inattendibilità intrinseca della persona offesa si fondava sui confessati motivi di rancore che la stessa nutriva nei confronti del coniuge, per questioni di carattere economico connesse alla proprietà ed al possesso della casa coniugale, nonchè su accertati profili di incoerenza logica del racconto, precisando che "il complesso della risultanze probatorie inficiavano le dichiarazioni della S. proprio nel loro nucleo essenziale, con riferimento ai fatti che si sarebbero verificati in data (OMISSIS)". Orbene, la natura degli elementi ritenuti indiziari della inattendibilità (motivi di rancore per ragioni economiche e profili di incoerenza logica del racconto) è tale da investire tutte le parti del racconto, fatta salva una diversa conclusione motivatamente fondata su specifici elementi di fatto. Se invero sia il tribunale sia la corte d’appello hanno ritenuto che la persona offesa, che nutriva profondo risentimento nei confronti del marito anche per ragioni economiche, aveva una precisa inclinazione a mentire, non potevano poi senza alcuna adeguata e congrua motivazione escludere che tale inclinazione non condizionasse l’intera valutazione del profilo di attendibilità della persona offesa.

Va infine anche aggiunto che la sentenza impugnata – pur a fronte di una esplicita statuizione in senso contrario della sentenza di primo grado – ha sostanzialmente omesso di motivare anche sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato, non spiegando quali fossero i comportamenti materiali costitutivi del reato e soprattutto non motivando adeguatamente nè sulla idoneità degli episodi denunziati a costituire una abituale condotta vessatoria ai danni della persona offesa, nè sulla sussistenza dello elemento intenzionale.

7. In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata agli effetti civili limitatamente al reato di maltrattamenti in famiglia per vizio di motivazione, con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello. Nel resto il ricorso dell’imputato deve essere rigettato.

8. E infondato il primo motivo del ricorso della parte civile, con la quale questa sostiene che la querela presentata il (OMISSIS) si riferiva anche all’episodio di lesioni da essa riportate il (OMISSIS) e refertate nella stessa data del (OMISSIS), alle ore 15. Ora, la corte d’appello, con congrua ed adeguata motivazione – perfettamente corrispondente al reale contenuto della querela, che questa Corte ha potuto esaminare trattandosi di un dedotto error in procedendo – ha rilevato che, come risultava dalle stesse dichiarazioni rese in dibattimento dalla S., gli episodi di lesioni verificatisi in quella occasione erano stati due: il primo verificatosi la sera precedente dopo che lei si era rivolta all’avvocato per essere cautelata, ed il secondo verificatosi il giorno (OMISSIS) e refertato lo stesso giorno alle ore 15. La corte d’appello ha quindi esattamente ritenuto che la querela si riferisse esclusivamente all’episodio di lesioni avvenuto la sera del (OMISSIS), dal momento che nella querela si faceva appunto riferimento specifico alla reazione del marito la sera in cui la donna ritornò a casa dopo essere stata da un avvocato per farsi consigliare; mentre la querela stessa non avesse ad oggetto anche le lesioni del (OMISSIS), refertate nello stesso giorno, dal momento che nella stessa non si faceva alcun cenno a dette lesioni avvenute il giorno successivo, tanto che alla stessa non era stato allegato il relativo certificato medico.

In sostanza, risulta dalle stesse dichiarazioni della donna che gli episodi di lesioni furono due: uno avvenuto la sera del (OMISSIS) al ritorno a casa dopo essere stata dall’avvocato; ed uno il giorno (OMISSIS), refertato lo stesso giorno alle ore 15. La querela si riferisce esclusivamente alle lesioni del (OMISSIS), mentre non accenna in alcun modo alle lesioni del (OMISSIS), per le quali pertanto deve escludersi che sia stata presentata querela. Quanto all’episodio di lesioni del (OMISSIS), poi, esso è stato sì oggetto della querela, ma non è stato oggetto del capo di imputazione, il quale invero si riferisce specificamente ed e- sclusivamente (oltre a quelle del (OMISSIS)) alle lesioni personali "giudicate guaribili in giorni due" in data (OMISSIS). Sia la data sia l’indicazione della prognosi indicano chiaramente che la contestazione è stata mossa solo per le lesioni del (OMISSIS) (che erano state appunto refertate) e non anche per quelle del (OMISSIS) (per le quali non è stato prodotto certificato medico).

In conclusione, per il reato di lesioni verificatosi il (OMISSIS) non è mai stata presentata querela e quindi esattamente per esso è stato dichiarato che l’azione penale non poteva essere iniziata per mancanza di querela. Le lesioni verificatesi la sera del (OMISSIS), invece, pur essendo indicate nella querela, non sono mai state contestate nè con il capo di imputazione nè in seguito, sicchè le stesse non potevano essere oggetto del presente processo. E’ appena il caso di ricordare che esattamente la corte d’appello ha rilevato (con statuizione non impugnata) che non è stata contestata l’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61 c.p., n. 2 e quindi i reati di lesioni non sono procedibili d’ufficio.

9. Queste ultime considerazioni mostrano anche l’infondatezza del secondo motivo della parte civile. Il reato di lesioni del (OMISSIS) non è stato punito non perchè ritenuto assorbito in quello di maltrattamenti in famiglia, bensì perchè mai contestato.

10. Il terzo motivo della parte civile si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque infondato, avendo i giudici del merito fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali hanno escluso la sussistenza dei reati di sequestro di persona e di violenza sessuale. Come già dianzi rilevato, è del tutto congrua e plausibile la motivazione con la quale il tribunale ha valutato totalmente inattendibili le dichiarazioni accusatorie della persona offesa ed ha di conseguenza ritenuto che le risultanze istruttorie – concentrate nelle deposizioni testimoniali della persona offesa e del consulente tecnico di parte – non avessero fornito una prova idonea e sufficiente dell’elemento materiale dei fatti contestati. In particolare, il tribunale ha osservato che le dichiarazioni della denunciante erano non solo intrinsecamente inattendibili, ma anche contraddittorie e logicamente incoerenti, ed erano comunque di per sè inidonee a provare la violenza sessuale, deponendo esse piuttosto per la consumazione di un rapporto sessuale con modalità particolarmente appassionate e veementi, evidentemente usuali tra i due coniugi. Più in particolare, il tribunale ha evidenziato che le dichiarazioni in merito alla dinamica ed alle modalità di commissione della violenza sessuale e del sequestro di persona contestati, insieme all’assenza di qualsiasi riscontro esterno ed al significativo lasso di tempo intercorso tra il fatto e la querela, non solo non deponevano in modo univoco per l’assenza del consenso al rapporto sessuale, ma anzi inducevano il ragionevole convincimento che la donna, già in stato di sconforto e di abbattimento psicofisico a causa della crisi coniugale, avesse potuto enfatizzare la veemenza del coniuge, anche al fine di giustificare con se stessa e con il marito il suo comportamento, obiettivamente non propriamente coerente e dignitoso.

La corte d’appello, da parte sua, con motivazione parimenti congrua ed adeguata, ha ribadito la intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni della S. ed ha pienamente condiviso le argomentazioni della sentenza di primo grado. La corte ha altresì evidenziato che lo stesso giorno in cui l’imputato, secondo l’accusa, avrebbe sequestrato la moglie costringendola a subire un rapporto sessuale violento, i due coniugi si erano recati in gita ad (OMISSIS), dove erano rimasti anche a pranzo, e l’imputato aveva regalato alla moglie una tavolozza con incisi i loro nomi ed una frase affettuosa: circostanza questa che attesta la riconciliazione e che non si concilia con una gita imposta alla donna e con una successiva violenza sessuale. La corte ha altresì rilevato che i fatti, secondo l’accusa, si sarebbero svolti in una località abitualmente frequentata anche da turisti e da podisti, in un territorio impervio (che avrebbe dovuto produrre maggiore lesività se la donna fosse stata effettivamente trascinata sino al dirupo);

che il consulente aveva escluso con certezza che le modeste lesioni fossero ri-conducibili ad una violenza sessuale e in particolare alla brutale aggressione descritta dalla persona offesa; che non era stata riscontrata alcuna lesione sugli arti inferiori o su altre parti del corpo della donna (che aveva invece riferito che il marito l’aveva picchiata selvaggiamente con calci e pugni, strappandole i vestiti con inaudita violenza, colpendola in pieno volto con un pugno, trascinandola per il terreno impervio e facendola penzolare nel vuoto dal ciglio di un burrone); che il teste Z. aveva riferito di aver visto quella sera il C., suo cugino, trattenersi come al solito in casa di una zia comune, mentre era irrilevante la circostanza che l’imputato non avesse seguito la comitiva nella usuale passeggiata serale.

Il fatto che la corte d’appello, pur avendo ritenuto inattendibili le dichiarazioni della persona offesa su questi due reati, le abbia poi ritenute attendibili in ordine al reato di maltrattamenti, inficia, come si è già rilevato, quest’ultima valutazione sfornita di qualsiasi congrua motivazione, e non può al contrario inficiare la prima valutazione, fondata invece su una motivazione del tutto logica e plausibile.

11. In conclusione, il ricorso della parte civile deve essere rigettato con conseguente condanna della medesima parte civile al pagamento delle spese processuali del grado ancorate alla sua posizione.

Il quarto ed il quinto motivo della parte civile restano assorbiti.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di maltrattamenti senza rinvio agli effetti penali perchè estinto per prescrizione ed agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Rigetta nel resto il ricorso dell’imputato nonchè il ricorso della parte civile, che condanna al pagamento delle spese processuali del grado ancorate alla sua posizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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