Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 18-05-2011) 20-05-2011, n. 20104 Scriminanti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

er la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza 15 novembre 2010 la Corte di appello di Catania confermava la decisione 5 aprile 2007 del locale Tribunale che aveva affermato la penale responsabilità di T.M. in ordine ai reati di resistenza a pubblico ufficiale (addebitatogli perchè per opporsi agli ufficiali della polizia di Stato, sovrintendente C.V. e D.S.M. che stavano procedendo all’arresto del di lui genero V.A., si avventava alle spalle del primo colpendolo più volte al collo, e minacciava entrambi di morte) e di lesioni aggravate ex art. 576 c.p., comma 1, n. 1, e art. 61 c.p., n. 2 (per avere provocato al C. una contusione guaribile in sei giorni), uniti dal vincolo della continuazione, condannandolo, concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata recidiva, alla pena di mesi sei di reclusione.

Ricorre per cassazione il T. lamentando mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto al diniego dell’esimente di cui al D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, art. 4 violazione della disposizione ora ricordata, nonchè violazione di legge quanto alla misura della pena.

Il ricorso è inammissibile.

2. Come ha rigorosamente rilevato la sentenza impugnata, richiamando costantemente la decisione di primo grado, la circostanza che il V. sia stato assolto dal reato che ne aveva determinato l’arresto da parte della polizia giudiziaria non può da sola condurre all’applicazione dell’invocata esimente essendo stato l’arresto eseguito in presenza dei presupposti previsti della legge, in assenza di ogni contegno prevaricatorio o prepotente dei pubblici ufficiali.

Il tutto in consonanza con i principi reiteratamente affermati da questa Corte Suprema secondo cui ai fini della sussistenza dell’esimente di cui a D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4 non è sufficiente che il pubblico ufficiale ecceda dai limiti delle sue attribuzioni, ma è necessario altresì che tenga una condotta improntata a vessazione, sopruso, prevaricazione, prepotenza nei confronti del privato destinatario (ex plurimis, Sez. 6, 22 ottobre 2002, Argentini); con in più la consapevolezza della illegittimità da parte sia del pubblico ufficiale sia del privato (Sez. 6, 3 maggio 2000, Rostagno; in un caso pressochè corrispondente a quello ora al vaglio della Corte).

Senza contare che perchè operi la causa di giustificazione in esame è necessario che le azioni che potrebbero configurare i reati indicati in tale norma dipendano in termini di causalità e proporzionalità dagli atti arbitrar posti in essere dal pubblico ufficiale, altrimenti verrebbe ignorato il principio più generale del ristabilimento dell’equilibrio dell’ordinamento giuridico, qualora anzichè giustificarsi in via eccezionale il ripristino di una situazione alterata dall’arbitrio dell’autorità, si consentissero, attraverso il riconoscimento di cause di non punibilità, reazioni altrettanto arbitrarie proprio perchè sproporzionate (Sez. 6, 17 aprile 1985, Fiorillo).

Non è, poi, inutile rammentare che la prevalente giurisprudenza di questa Corte Suprema è consolidata nel senso che, qualora l’attività violenta o minacciosa sia posta in essere da un terzo che invochi l’illegittimità del comportamento dei pubblici ufficiali, non può, comunque, trovare applicazione la scriminante della reazione ad atti arbitrari, in quanto la locuzione usata dal legislatore nel D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, art. 4 secondo la quale "Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 339, 341, 342 e 343 c.p. quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari, i limiti delle sue attribuzioni", determina una correlazione indefettibile tra persona che può invocare la scriminante e la vittima dell’arbitrio, nel senso che le due figure debbono essere necessariamente riconducibili al medesimo soggetto e presuppone un rigoroso rapporto causale fra la condotta arbitraria del pubblico ufficiale e la reazione da parte di colui che l’ha subita (cfr. Sez. 6, 11 novembre 1998, Broccato).

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma alla cassa delle ammende che si ritiene equo determinare in Euro 1.000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *