CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – SENTENZA 31 marzo 2010, n.7949 PAGAMENTO DI ASSEGNO NON TRASFERIBILE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

1. Con il ricorso si denunciano la violazione dell’art. 43 della legge assegni e dell’art. 2043 cod. civ., nonché dell’art. 1372 cod. civ. e vizi motivazionali. Si deduce al riguardo che il tribunale di Napoli, dopo avere respinto la domanda di pagamento dell’assegno bancario non trasferibile indicato in narrativa, non essendone essa ricorrente mai stata in possesso ed essendo quindi priva del diritto cartolare, aveva accolto la domanda di risarcimento danni, avendo ravvisato nel comportamento della Banca di Roma, che aveva pagato l’assegno a persona diversa dall’attrice, ordinataria di esso, una violazione dell’art. 43 della legge assegni, che impone che il pagamento dell’assegno bancario non trasferibile debba essere fatto solo all’ordinatario, ovvero, a sua richiesta, sul suo conto corrente. Si deduce che la Corte d’appello, viceversa, con l’impugnata sentenza, ha ritenuto la sussistenza di una contraddizione tra raccoglimento dell’opposizione allo stato passivo della SIM in liquidazione coatta e la condanna della banca per violazione della disciplina sugli assegni non trasferibili. Tale contraddizione evidenziava che non era possibile per la ricorrente chiedere un risarcimento ex art. 43 della legge assegni, non essendo essa mai stata in possesso del titolo, e non esistendo nessun collegamento, se non fittizio, tra lei ed il titolo, emesso senza suo ordine e mai pervenutole, cosicché essa era solo apparentemente ordinataria. Inoltre nella specie non vi sarebbe prova che il danno subito dall’odierna ricorrente derivasse dal su detto pagamento, essendo invece esso ascrivibile ai suoi rapporti con la SIM che aveva chiesto l’emissione dell’assegno. Con il motivo si deduce, a sostegno dell’erroneità di tale motivazione, innanzitutto che il credito della ricorrente era stato esattamente ammesso al passivo della l.c.a., della SIM perché “in mancanza di una quietanza… la mera emissione dell’assegno non ha alcuna efficacia liberatoria” e ciò non era incompatibile con l’accoglimento della domanda di risarcimento proposta nei confronti della Banca di Roma per l’indebito pagamento dell’assegno a terzi. Si deduce ancora che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, per proporre la domanda di risarcimento ex art. 43 della legge assegni non c’è bisogno di avere avuto il possesso del titolo, che è necessario, invece, per proporre la domanda di pagamento. Né l’ordinatario dell’assegno non trasferibile, quale era l’odierna ricorrente, che chieda il risarcimento per essere stato l’assegno pagato a persona diversa, deve dare alcuna prova del danno – che deve invece dare chi sia terzo – essendo per l’ordinatario il danno “in re ipsa”. Comunque la Corte di appello non poteva ritenere che alla ricorrente non fosse derivato alcun danno dall’indebito pagamento del titolo a un terzo, essendo il danno ricollegabile ai suoi rapporti con la SIM e l’agente di cambio D.A., che invece erano irrilevanti ai fini della responsabilità della banca. Si deduce che, risalendo l’emissione dell’assegno al luglio 1993 e la liquidazione coatta della SIM al 1996, il mancato pagamento dell’assegno avrebbe determinato il mancato addebito dello stesso sul c.c. della SIM, la quale si sarebbe resa conto di non avere attuato, com’era sua intenzione, il recesso dal contratto mediante il pagamento, con l’assegno, del saldo in favore della ricorrente e avrebbe potuto esperire indagini in proposito, provvedendo ad emettere un duplicato ai sensi dell’art. 73 della legge assegni, mentre era ancora “in bonis”. Ne deriverebbe che l’affermazione secondo la quale non vi era prova di un danno per la ricorrente conseguente all’indebito pagamento dell’assegno sarebbe del tutto illogica.

1.2. Il ricorso è fondato.

Va premesso che nel caso di specie secondo quanto statuito dalla sentenza impugnata forma ormai oggetto di giudicato la versione dei fatti allegata dall’attrice e precisamente: che essa aveva stipulato con la Soc. X SIM un contratto d’investimento avente ad oggetto la raccolta di ordini e la gestione patrimoniale di valori immobiliari, provvedendo a fornirle la provvista per l’esecuzione del mandato; che essendo stata la SIM sottoposta a procedura di liquidazione coatta amministrativa, essa attrice aveva chiesto di essere ammessa al passivo per un importo di lire 731.154.499, ma la domanda era stata respinta; che proposta opposizione, la SIM si era costituita deducendo che il saldo delle operazioni svolte, pari a lire 461.237.673, era stato versato ad essa opponente nel luglio 1993, con assegno bancario non trasferibile, a suo tempo incassato, come da firma sulla fotocopia dell’assegno prodotto; che detto assegno, non trasferibile, tratto sulla Banca di Roma, in effetti era risultato girato, con firma falsa di essa attrice, accompagnata da una dichiarazione “per conoscenza e garanzia” a firma di tale F.d.A. “p.p. dell’Agente di cambio D.A. Guido” in seguito dichiarato fallito, versato sul conto di quest’ultimo, presso la Banca di Roma, che lo aveva a lui pagato accreditandolo sul suo conto corrente.

La problematica che in tale contesto di fatto è posta con il ricorso concerne l’esattezza o meno della decisione della sentenza impugnata secondo la quale l’attrice – poiché l’assegno bancario non trasferibile in questione era stato emesso in suo favore, ma essa non ne era mai venuta in possesso ed anzi era stato emesso a sua insaputa; l’assegno era stato emesso da una SIM (con la quale essa intratteneva un rapporto di gestione) successivamente posta in liquidazione coatta amministrativa, al passivo della quale aveva chiesto e ottenuto di essere ammessa con sentenza passata in giudicato; essa non aveva dato specifica prova di avere subito un danno definitivo – non aveva titolo per invocare la responsabilità della banca che, a seguito di una girata a sua firma, risultata falsa, aveva accreditato il titolo sul conto di un terzo, pagandolo a costui.

In proposito va considerato che, a norma dell’art. 43, comma 1, del r.d. n. 1736 del 1933, l’assegno bancario emesso con clausola “non trasferibile” “non può essere pagato se non al prenditore o, a richiesta di costui, accreditato nel suo conto corrente” e il prenditore “non può girare l’assegno se non ad un banchiere per l’incasso”, mentre a norma del secondo comma “colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento”.

Secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cass. 9 febbraio 1999, n. 1098; 12 marzo 2003, n. 3654; 13 maggio 2005, n. 10118; 25 agosto 2006, n. 18543; Cass. Sez. un. 26 giugno 2007, n. 14712), il disposto dell’art. 43, comma 2, del r.d. n. 1736 del 1933 – applicabile anche all’assegno circolare in virtù del richiamo del successivo art. 86 – va interpretato nel senso che esso, disponendo che colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal beneficiario o dal banchiere giratario per l’incasso risponde del pagamento, regola in modo autonomo l’adempimento del pagamento dell’assegno non trasferibile, con deviazione sia dalla disciplina generale del pagamento dei titoli di credito con legittimazione variabile dettata dall’art. 1992 cod. civ., sia dal disposto del diritto comune delle obbligazioni di cui all’art. 1189 cod. civ., che libera il debitore che esegua in buona fede il pagamento in favore del creditore apparente. E ciò nel senso che, nel caso di assegno non trasferibile, la banca che abbia effettuato il pagamento in favore di chi non era legittimato a riceverlo non è liberata dall’obbligazione finché non paghi all’ordinatario esattamente individuato, ovvero al banchiere suo giratario per l’incasso, a prescindere dalla sussistenza di una colpa nell’errore d’identificazione del prenditore.

Il pagamento dell’assegno bancario non trasferibile effettuato in violazione di quanto prescritto dall’art. 43 dà luogo, pertanto, a responsabilità della banca trattaria nei confronti del beneficiario dell’assegno.

Di fronte a tale contesto normativo da interpretarsi nel senso su detto, la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi errata, essendo incontroverso che nel caso di specie la Banca di Roma ebbe ad accreditare l’assegno bancario non trasferibile in questione a persona diversa dal beneficiario, in violazione delle prescrizioni dell’art. 43 sopra indicate, con la sua conseguente responsabilità per i danni che ne siano conseguiti al beneficiario medesimo. Al riguardo non rileva che, nel caso di specie, l’ordinataria dell’assegno non sia mai venuta in suo possesso, questo essendo necessario per ottenerne il pagamento secondo le regole proprie della circolazione cartolare, ma non in forza del disposto dell’art. 43, che è volto a tutelare, prevedendo una speciale responsabilità della banca, il beneficiario di esso anche nell’ipotesi in cui l’assegno non sia mai venuto in suo possesso, ma sia caduto nell’illecito possesso di altri. Né possono rilevare, per esonerare la banca dalla responsabilità ex art. 43, le ragioni e modalità per le quali l’assegno era stato emesso dalla SIM in suo favore, una volta accertato che un rapporto sottostante esisteva e la somma portata dall’assegno costituiva il saldo di quanto dovuto dalla SIM all’odierna ricorrente sulla base di tale rapporto, riconnettendosi detta responsabilità, cosi come configurata dalla norma, unicamente all’accertamento che, in relazione a detto rapporto, all’ordinatario sia derivato un danno dal mancato pagamento secondo le regole dell’art. 43. Quanto, infine, a quest’ultimo profilo, la circostanza chela beneficiaria sia stata ammessa al passivo della SIM che aveva emesso l’assegno e con la quale essa intratteneva un rapporto di gestione – ormai posta in liquidazione coatta – significa unicamente che il debito della SIM nei suoi confronti non è stato estinto, ma costituisce motivazione illogica far derivare da ciò la mancanza di prova del danno; costituisce anzi essa indizio di questo, sotto il duplice profilo della probabile incapienza dell’attivo della SIM posta in liquidazione coatta a soddisfare l’ordinataria di quanto dovutole in relazione al rapporto sottostante l’emissione dell’assegno e dell’avvenuto depauperamento della SIM, in conseguenza dell’irregolare pagamento dell’assegno, con addebito sul suo c.c., a soggetto a sua volta fallito, con danno per la SIM medesima e, quindi, per i suoi creditori e l’attrice. Ne deriva che il giudice di merito non poteva escludere, in conseguenza dell’ammissione con sentenza passata in giudicato del credito risultante dall’assegno, irregolarmente pagato dalla Banca di Roma, che il danno in questione esistesse.

Pertanto il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio motivazionale, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, la quale in sede di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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