T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 19-05-2011, n. 869 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Dai ricorsi e dagli altri atti delle cause, da riunire ex art. 70 c.p.a. per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva, emerge che:

– con concessione edilizia del 9 febbraio 1996, n. 2549, la sig.ra C. parte ricorrente veniva autorizzata a costruire in Parabita un opificio industriale per la trasformazione e la conservazione di prodotti agricoli;

– avendo ella realizzato l’immobile in parziale difformità da titolo edilizio, con istanza n. 16504 del 13 dicembre 2004 ne chiedeva la sanatoria ex lege n. 326 del 2003;

– l’istanza veniva accolta con permesso di costruire n. 2 del 26 gennaio 2005;

– in data 26 gennaio 2006, inoltre, la C. otteneva un permesso di costruire per opere di manutenzione straordinaria da eseguirsi all’interno del fabbricato;

– alcuni anni dopo, peraltro, ed in specie con nota del 10 marzo 2010, prot. n. 4864, l’A.C. avvisava i ricorrenti (la sig.ra C. e i figli A. e A.R., cui la prima aveva intanto donato l’immobile) dell’inizio di un procedimento volto al ritiro del permesso di costruire in sanatoria;

– con nota del 6 aprile 2010, prot. n. 176, infine, la p.a. comunicava l’adozione del formale atto di annullamento, nonché l’avvio dell’iter di ripristino dello stato dei luoghi.

2.- Venivano dunque proposti i ricorsi in esame, per i seguenti motivi:

– ricorso n. 904/2010:

A) Violazione degli artt. 7 – 10 l. 241/90. Violazione dei principi di partecipazione al procedimento amministrativo. Eccesso di potere.

B) Eccesso di potere. Contraddittorietà e difetto di istruttoria. Carenza di motivazione.

C) Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 l. 47/85 sotto diversi e concorrenti profili. Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 l. 326/03 sotto diversi e concorrenti profili. Eccesso di potere per falsità dei presupposti in fatto e in diritto. Incongruità della motivazione.

– ricorso n. 1282/2010:

D) Violazione del termine di conclusione del procedimento fissato nella nota in data 10 marzo 2010, prot. n. 4864.

E) Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies l. 241/90 ss.mm.ii.. Violazione dell’art. 32 e dell’all.to 1 d.l. 269/03, degli art. 2 e 35 l.r. 18/2004. Falsa applicazione dell’art. 35, comma 14, e dell’art. 31, comma 2, l. 47/85. Violazione della Circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti n. 2699/2005. Violazione dell’art. 32, comma 39, d.l. 269/2003. Falsa applicazione dell’art. 39, comma 16, l. 724/1994. Falsa applicazione dell’art. 32, comma 25, d.l. n. 269/2003 e delle N.T.A. del Comune di Parabita. Falsa applicazione dell’art. 32, comma 25, d.l. n. 269/2003, dell’art. 33 l. 47/85 e delle N.T.A. del Comune di Parabita. Falsa ed erronea presupposizione. Carenza istruttoria. Illogicità. Perplessità.

F) Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 octies e 21 nonies l. 241/90 ss.mm.ii.. Falsa ed erronea presupposizione. Carenza istruttoria e motivazionale. Illogicità sotto diverso profilo.

3.- Costituitosi in giudizio, il Comune di Parabita chiedeva il rigetto dei ricorsi sulla base di argomentazioni che saranno esaminate congiuntamente ai motivi di gravame proposti.

4.- All’udienza del 23 marzo 2010 le cause sono state introitate per la decisione.

5.- Tanto esposto in fatto, rileva il Collegio che i ricorsi sono fondati e vanno accolti nei sensi e per le ragioni che di seguito si indicheranno.

6.- Risulta in particolare fondato e assorbente di ogni altra censura il motivo di ricorso diretto ad evidenziare la mancanza, nel provvedimento impugnato, della dovuta valutazione circa l’esistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento del p.d.c. e, nel caso, della comparazione tra questo e l’opposto interesse della parte privata, ormai consolidatosi per l’avvenuta realizzazione degli interventi autorizzati: valutazione e comparazione normativamente prescritte dal disposto dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990 ("1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21 – octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati (…)"), e, prima ancora, dai precetti di logicità, proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa (T.a.r. Campania Napoli, III, 18 gennaio 2011, n. 268).

Il provvedimento di annullamento di un titolo edilizio, in definitiva, dev’essere adeguatamente motivato in ordine all’esistenza di un interesse pubblico, specifico e concreto che giustifichi il ricorso all’autotutela (cfr., Cons. Stato, IV, 16 aprile 2010, n. 2178; T.a.r. Lombardia – Milano, III, 12 novembre 2009, n. 5021; Tar Campania – Napoli, VIII, 7 dicembre 2009, n. 8597), in conformità ai principi generali per i quali il legittimo esercizio di siffatto potere richiede la valutazione, sulla base dell’effettiva e specifica situazione creatasi a seguito del rilascio dell’atto permissivo, di elementi ulteriori rispetto alla mera illegittimità dell’atto da eliminare (T.a.r. Lazio Roma, II, 7 luglio 2010, n. 23285).

Riportando i superiori principi alla fattispecie in esame, dunque, ne discende l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto privo dell’enunciazione dell’interesse pubblico specifico, diverso da quello generico al ripristino della legalità, che imponeva il ritiro del titolo concessorio, e, ancora, delle ragioni della prevalenza di tale interesse rispetto a quelli della parte privata (cfr T.a.r. Calabria Catanzaro, II, 10 giugno 2010, n. 1128).

7.- Alle considerazioni di ordine generale fin qui esposte, peraltro, deve aggiungersi che l’abuso inizialmente sanato neppure risulta presentare, per quanto appena si scriverà, profili di tale offensività degli equilibri edilizio – urbanistici della zona da rendere ex se evidenti le concrete ragioni per le quali, a distanza di circa cinque anni, l’amministrazione mutava avviso rispetto alla determinazione originaria.

7.1 In tal senso, difatti, occorre considerare che:

a) i riferimenti alla mancanza di accatastamento, della certificazione CCIAA e del completamento funzionale del manufatto all’epoca della manifestazione di interesse alla sanatoria non risultano, a distanza di cinque anni, di particolare significato quanto alla identificabilità di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento, trattandosi di aspetti (in disparte ogni pur possibile considerazione sulla genericità del rilievo relativo al completamento dell’immobile) di evidente valore al momento di valutare la sanabilità di un abuso, ma, invece, senza dubbio soccombenti rispetto agli opposti interessi quando si discuta del ritiro, molto tempo dopo, di un titolo edilizio già rilasciato e, dunque, della demolizione di un manufatto ormai condonato e stabilmente collegato al territorio.

b) quanto al tema della volumetria, inoltre, questo di chiaro significato in ordine alla potenziale offensività dell’immobile, va posto in luce, anzitutto, come non possa condividersi la tesi della p.a. secondo cui il manufatto in parola superava la percentuale di incremento rispetto alla costruzione originaria consentita dalla legge (30%, ex art. 32, comma 25, d.l. 269/03, e ciò in quanto, a giudizio dell’amministrazione, tale rapporto andava calcolato con esclusivo riferimento alle parti fuori terra della costruzione medesima, in applicazione della normativa edilizia ed urbanistica comunale vigente per le aree agricole, la quale non considera nel calcolo della volumetria le parti interrate).

Ritiene al contrario il Tribunale che, tenuto conto della particolare logica cui risponde la disciplina sul condono, e cioè il recupero di manufatti già realizzati, pur abusivamente, tale rapporto non possa che avere come base di calcolo il dato concreto, materiale, fenomenico (come correttamente evidenziato dalla difesa dei ricorrenti), e, quindi, l’intera costruzione originaria, indipendentemente dai parametri fissati, sul diverso piano della programmazione urbanistica ed ai fini del calcolo degli indici di fabbricabilità, dalla normativa comunale di settore.

In tale diversa prospettiva, dunque, anche questo riferimento motivazionale era illegittimamente articolato dal Comune.

Con riguardo al limite dei 3.000 mc. complessivi, ancora, in questo caso superato (secondo il Comune in violazione dell’art. 32, comma 25, d.l. 269/03), solo deve osservarsi come esso riguardi esclusivamente le opere residenziali (cfr. in tal senso C. Cost.10 febbraio 2006, n. 49), e, dunque, non quella di cui si controverte.

c) neppure il dedotto contrasto con la destinazione urbanistica di zona, infine, era di per sé decisivo ai fini dell’autoannullamento, vertendosi in fattispecie di condono edilizio e non di accertamento di conformità.

8.- I rilievi appena svolti rispetto all’effettivo impatto dell’immobile confermano e rafforzano, in definitiva, il senso delle considerazioni svolte in precedenza con riguardo alla mancata enunciazione dell’interesse pubblico concreto e attuale al ritiro del permesso di costruire e alla demolizione del manufatto nel provvedimento adottato in autotutela dal Comune, provvedimento che risulta per conseguenza illegittimo e che dev’essere, quindi, annullato.

9.- Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di entrambi i giudizi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza di Lecce, definitivamente pronunciando sui ricorsi n. 904/2010 e n. 1282/2010 indicati in epigrafe, li accoglie.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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