T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 19-05-2011, n. 858 Agricoltura

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

per la Regione Veneto;
Svolgimento del processo

A. L.L. svolge, insieme alla sorella Paola, un’attività agricola su un fondo di proprietà familiare, sito nel Comune di Fumane, destinato da tempo risalente alla viticultura. A tal fine le sorelle L. hanno costituito, nel 2006, la società agricola semplice C.L..

B. A seguito della pubblicazione, nel 2008, del bando regionale per l’erogazione di contributi nel settore agricolo previsti nel Piano di sviluppo rurale della Regione Veneto, L.L. ha presentato, in data 30 marzo 2009, la domanda per l’erogazione del contributo di cui alla misura 121, finalizzata alla promozione dell’ammodernamento delle aziende agricole (all. 10 e 11 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

Quale requisito soggettivo di ammissibilità della domanda diretta a beneficiare delle provvidenze di cui alla misura 121, il suddetto bando ha espressamente previsto il possesso della qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale (di seguito I.A.P.) ai sensi del d. lgs. n. 99 del 2004.

L.L. ha, dunque, presentato, in data 28 gennaio 2009, una domanda diretta ad ottenere la necessaria certificazione, conformemente alle previsioni di cui all’art. 1 del suddetto decreto legislativo (all. 7 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

La L., in particolare, al fine di comprovare la sussistenza dei requisiti prescritti per il riconoscimento della suddetta qualifica, ha prodotto, tra l’altro, i dati riferiti alla situazione reddituale, desumibili dal c.d. modello cud 2007 e, successivamente, nel corso del procedimento, ha comunicato quelli successivi, estrapolati dal modello cud 2008, varianti anche in considerazione della trasformazione della propria posizione lavorativa (all. 7 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

Si evidenzia, infatti, che la L. non svolge solo l’attività agricola suddetta ma è anche dipendente del Comune di Negrar (all. 4, 5 e 6 delle produzioni documentali di parte ricorrente), presso il quale è stata inizialmente impiegata a tempo parziale e, poi, a decorrere dal 1° aprile 2008 – a seguito del superamento di una selezione interna – in base ad un contratto di lavoro a tempo pieno (36 ore di lavoro settimanali, ripartite, con flessibilità di mezz’ora in ingresso ed in uscita, nel seguente orario: lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 8,00 alle 14,00, martedì, e giovedì dalle ore 8,00 alle ore 17,00). Il Comune di Negrar, peraltro, ha espressamente autorizzato L.L. allo svolgimento dell’attività agricola, attestandone la compatibilità con le esigenze del servizio (all. 8 e 9 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

La suddetta istanza è stata favorevolmente riscontrata dal Servizio Ispettorato Regionale per l’Agricoltura di Verona con il rilascio, in data 9 marzo 2009, della certificazione della qualità di I.A.P. (all. 2 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

Anche la domanda di ammissione alla misura 121 sopra indicata è stata accolta (all. 12 e 13 delle produzioni documentali di parte ricorrente) è la società agricola semplice C.L. ha ottenuto la liquidazione di un contributo pari ad Euro 108.485,11, corrispondente al 55% delle spese necessarie per l’intervento pianificato, ammontanti ad Euro 187.853,11. Tali spese sono state interamente ed effettivamente sostenute dalla società (all. 14 delle produzioni documentali di parte ricorrente) ed il contributo è stato erogato, allo stato, nella misura dell’80%.

C. E’ accaduto, però, che a seguito di accertamenti disposti dall’amministrazione regionale – a motivo di talune incongruenze rilevate in relazione a precedenti procedimenti aventi ad oggetto il riconoscimento della qualifica di I.A.P. al fine di usufruire delle agevolazioni fiscali per l’acquisto di terreni agricoli – il Servizio Ispettorato per l’Agricoltura di Verona ha comunicato, con nota del 18 aprile 2010, l’avvio del procedimento di annullamento in autotutela della certificazione di Imprenditore Agricolo Professionale rilasciata il 9 marzo 2009. Con tale nota, nello specifico, l’amministrazione regionale ha contestato la sussistenza del requisito del tempo di lavoro complessivo dedicato all’attività agricola, prescritto dall’art. 1, comma 1 del d. lgs. n. 99 del 2004. Ai sensi di tale disposizione, infatti, "è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, (…..) dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro"; sempre in forza della sopra indicata disposizione per "l’imprenditore che operi nelle zone svantaggiate di cui all’articolo 17 del citato regolamento (CE) n. 1257/1999, i requisiti di cui al presente comma sono ridotti al venticinque per cento". Il fondo coltivato dalla L. ricade in tale specifica previsione, essendo sito in area montana e, dunque, svantaggiata. L’amministrazione regionale ha sostenuto che non fosse possibile che la L. dedicasse all’attività agricola il 25% del tempo complessivo di lavoro poiché a decorrere dal 1° aprile 2008 essa lavorava a tempo pieno quale dipendente del Comune di Negrar.

D. L.L. ha, quindi, presentato le proprie osservazioni, depositando una documentata relazione (all. 16 delle produzioni documentali di parte ricorrente), volta a dimostrare che il tempo da essa dedicato all’attività agricola era superiore al 25% del tempo da essa complessivamente dedicato al lavoro, conformemente alla previsione normativa suddetta.

E. Il procedimento di annullamento in autotutela della certificazione I.A.P. è stato, tuttavia, concluso dall’Ispettorato Regionale per l’Agricoltura con il provvedimento in questa sede gravato (all. 1 delle produzioni documentali di parte ricorrente). Il giustificativo alla base del suddetto provvedimento risiede, invero, non già nella contestazione dell’effettivo svolgimento dell’attività agricola in una misura superiore al 25% del tempo complessivamente dedicato dalla L. al lavoro bensì nella sussistenza di un’incompatibilità giuridica tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, desunta dalla legislazione in materia di pubblico impiego (art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001 e disposizioni ivi richiamate).

F. Avverso il provvedimento impugnato la difesa della ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di ricorso.

G. E’ stata, in primo luogo, censurata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d. lgs. n.99 del 2004, dell’art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001 e, in parte qua, del bando di cui alla D.G.R. n.199/2008 nonché dedotto il vizio di eccesso di potere per sviamento.

La difesa di parte ricorrente evidenzia, nello specifico, che la Regione, al fine della valutazione in ordine al rilascio della certificazione di I.A.P., è tenuta alla verifica della sussistenza dei presupposti di fatto analiticamente individuati dal d. lgs. n. 99 del 2004 ed è palesemente priva del titolo ad applicare e far valere la disciplina del rapporto di pubblico impiego in sostituzione della P.A. datrice di lavoro. Ciò con la conseguenza che la Regione, esercitando il potere di annullamento in autotutela rispetto alla certificazione I.A.P. per finalità estranee (tutela della posizione del Comune datore di lavoro) a quelle ad esse demandate (verifica dei presupposti I.A.P.) è incorsa nel vizio di eccesso di potere. Vizio, peraltro, reso evidente, nelle prospettazioni di parte ricorrente, anche dall’irragionevolezza delle valutazioni effettuate dall’amministrazione regionale in ordine all’incompatibilità tra le due attività lavorative, atteso che tali valutazioni non possono che essere rimesse all’amministrazione datrice di lavoro, in quanto fornita di quelle conoscenze complete e dirette dei fatti alla base dell’apprezzamento circa la sussistenza di profili di incompatibilità.

La difesa della ricorrente sottolinea, altresì, che anche supponendo, in via di mera ipotesi, la sussistenza della situazione di incompatibilità contestata dalla Regione, il provvedimento gravato si palesa, comunque, illegittimo alla luce della specifica e dettagliata disciplina sul lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni che prevede – artt. 60 e 63 del D.P.R. n. 3 del 1957 – finanche nell’ipotesi di incompatibilità assoluta, non già la preclusione all’esercizio dell’attività diversa dall’impiego pubblico bensì la previa diffida dell’impiegato a cessare la situazione di incompatibilità, alla quale segue, nel termine di quindici giorni ed ove il dipendente non si determini in tal senso, la decadenza dall’impiego. La suddetta scelta costituisce, quindi, un diritto del lavoratore che pure ipotizzando, come pretende l’amministrazione evocata in giudizio, la sussistenza di una incompatibilità assoluta, non può essere leso attraverso la negazione del riconoscimento della qualifica di I.A.P.; la ricorrente non è stata destinataria di alcuna diffida e non è stata posta nelle condizioni di effettuare alcuna scelta, risultando in tal modo privata anche della possibilità di assicurare, attraverso le proprie determinazioni, il superamento dell’asserita incompatibilità contestata.

In tale quadro, inoltre, la difesa della ricorrente evidenzia che le norme in materia di pubblico impiego sopra indicate lasciano, comunque, dei margini di discrezionalità all’amministrazione datrice di lavoro quanto all’apprezzamento in ordine alla stessa sussistenza dell’incompatibilità e rimarca che, nella fattispecie, lo svolgimento dell’attività agricola è stato espressamente autorizzato dall’amministrazione comunale sicché, anche a prescindere da ulteriori considerazioni, tale attività è stata legittimamente esercitata. La ricorrente, dunque, era ed è in possesso dei requisiti per il riconoscimento della qualifica di I.A.P..

Le suddette deduzioni e prospettazioni vengono sostenute dalla difesa di parte ricorrente anche attraverso la puntuale ricostruzione degli orientamenti espressi dalla consolidata giurisprudenza in materia.

H. Con il secondo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, avendo l’amministrazione regionale proceduto all’annullamento della certificazione I.A.P. per ragioni diverse da quelle rappresentate nella comunicazione di avvio del procedimento e, dunque, nuove ed ulteriori rispetto a quelle che hanno costituito oggetto del contraddittorio in sede procedimentale. Parte ricorrente, inoltre, esclude l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 21 octies, evidenziando che le argomentazioni esposte, se illustrate e considerate anche in sede procedimentale, avrebbero certamente comportato l’adozione di una diversa determinazione da parte dell’amministrazione regionale.

I. La Regione Veneto si è costituita in giudizio per resisterne al gravemente concludendo per la reiezione del ricorso in quanto infondato.

L. Successivamente alla notificazione del ricorso introduttivo del presente giudizio L.L. ha ricevuto due comunicazioni correlate all’adozione del provvedimento gravato; una dell’Agenzia Veneta per i Pagamenti in Agricoltura riferita all’avvio del procedimento di revoca del contributo e di restituzione delle somme già erogate e l’altra dall’I.n.p.s., con la quale è stata informata della cancellazione dall’elenco degli imprenditori agricoli professionali. La difesa della L. ha, quindi, presentato domanda cautelare chiedendo la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato.

M. Con ordinanza collegiale n. 141 del 9 marzo 2011 questa Sezione, valutando che le ragioni e le esigenze di parte ricorrente potessero essere tutelate adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, ne ha disposto la trattazione ai sensi dell’art. 55, comma 10 c.p.a..

N. All’udienza del 9 marzo 2011 i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente il Collegio deve esaminare la questione di giurisdizione, sollevata d’ufficio in sede cautelare, sulla base della consolidata giurisprudenza delle S.U. della Corte di Cassazione in materia di riconoscimento della qualifica di Imprenditore Agricolo Professionale ai sensi dell’art 1 del d. lgs. 29 marzo 2004, n.99 (cfr., ex multis, S.U., 30 dicembre 1998, n.12903; 04 febbraio 1994, n. 1159).

Il suddetto orientamento si fonda sulla considerazione che la disposizione normativa sopra richiamata indica puntualmente le condizioni per il riconoscimento della qualifica di I.A.P. senza che residuino margini di discrezionalità in capo all’amministrazione, con la conseguenza che, a fronte del carattere vincolato dell’attività amministrativa, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile al richiedente è quella di diritto soggettivo. Da ciò discende, dunque, la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in tutti quei casi in cui oggetto della domanda proposta in via principale sia l’accertamento dello status di imprenditore agricolo professionale.

1.1.Ad un attento esame, il Collegio – condividendo le deduzioni sul punto sia di parte ricorrente che di parte resistente – evidenzia che il sopra richiamato orientamento giurisprudenziale non è pertinente alla fattispecie che ne occupa, in relazione alla quale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo.

1.2.Il petitum sostanziale della presente controversia – identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti indicati a sostegno della pretesa avanzata nel giudizio – attiene alla sussistenza di un requisito per l’erogazione del contributo pubblico oggetto della domanda presentata da L.L. in data 30 marzo 2009; come esposto nella narrativa in fatto, il bando regionale per l’erogazione di contributi nel settore agricolo previsti nel Piano di sviluppo rurale della Regione Veneto ha espressamente indicato, quale requisito soggettivo di ammissibilità della domanda diretta a beneficiare delle provvidenze di cui alla misura 121, il possesso della qualifica di I.A.P. ai sensi del d. lgs. n. 99 del 2004.

1.3. Il provvedimento di annullamento d’ufficio della certificazione di I.A.P. in questa sede gravato attiene, dunque, alla fase genetica del riconoscimento del contributo, posto che la stessa certificazione è strumentalmente ed esclusivamente correlata all’erogazione delle provvidenze di cui alla suddetta misura 121. L’oggetto della presente controversia, pertanto, non si esaurisce nel riconoscimento della qualifica di I.A.P. ma involge l’interesse della ricorrente all’erogazione del contributo.

Come affermato dalla consolidata giurisprudenza del giudice d’appello, il riparto di giurisdizione in materia di sovvenzioni, contributi pubblici ed aiuti comunitari è regolato dai normali criteri, fondati sulla natura delle posizioni soggettive azionate, per cui il beneficiario risulta titolare di un diritto soggettivo, a partire dalla fase successiva all’attribuzione dell’aiuto; pertanto, qualora la controversia sorga in relazione alla fase di erogazione del contributo o di ritiro della sovvenzione, sulla scorta di un preteso inadempimento del destinatario, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche ove si faccia questione di atti denominati revoca, decadenza, risoluzione e simili, purché fondati sull’asserito inadempimento da parte del concessionario, quanto alle obbligazioni assunte in rapporto al conseguito contributo. Il privato vanta, invece, una situazione soggettiva d’interesse legittimo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale anteriore al provvedimento attributivo del beneficio o se il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 24 gennaio 2011, n. 465; sez. VI, 04 dicembre 2009, n. 7596; sez. VI, 30 maggio 2007, n. 2751; sez. VI, 22 marzo 2007 n. 1375).

Il provvedimento gravato è un provvedimento di annullamento in autotutela della certificazione I.A.P. sicché, alla stregua delle coordinate tracciate dalla giurisprudenza sopra richiamata, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, collocandosi tale provvedimento non già nella fase "dinamica" di attuazione del rapporto e di impiego del contributo bensì nella fase "statica" della concessione del contributo (cfr., Cons. St., sez. VI, 04 dicembre 2009, n. 7596).

Come puntualmente e diffusamente evidenziato anche dalla difesa della ricorrente e come chiaramente emerge dal suddetto orientamento giurisprudenziale, spettano alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie che attengono alla fase del riconoscimento del contributo, a prescindere dalla circostanza che il provvedimento che nega l’esistenza del requisito sia intervenuto prima o dopo il provvedimento che rilascia la concessione.

Nella fattispecie oggetto di giudizio, il provvedimento gravato incide inequivocabilmente sulla fase di ammissione al contributo, essendo l’amministrazione intervenuta in autotutela proprio sulla certificazione I.A.P., richiesta quale condizione di ammissibilità della domanda volta all’erogazione della provvidenza.

1.4.A sostegno delle considerazioni sopra svolte il Collegio rileva, infine, che il riesame di legittimità del provvedimento amministrativo ai fini del suo annullamento in via di autotutela implica l’esercizio di una potestà discrezionale rimessa alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione (cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 16 dicembre 2008, n. 6234).

2.Il Collegio deve, a questo punto, procedere all’esame del primo motivo di ricorso, con il quale la difesa della ricorrente ha censurato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d. lgs. n.99 del 2004, dell’art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001 e, in parte qua, del bando di cui alla D.G.R. n.199/2008 nonché dedotto il vizio di eccesso di potere per sviamento.

Nello specifico, parte ricorrente evidenzia che la Regione, al fine della valutazione in ordine al rilascio della certificazione di I.A.P., è tenuta alla verifica della sussistenza dei presupposti previsti dal d. lgs. n. 99 del 2004 ed è palesemente priva del titolo ad applicare e far valere la disciplina del rapporto di pubblico impiego in sostituzione della P.A. datrice di lavoro. In altri termini, parte ricorrente sottolinea che alla Regione è affidata la funzione di verificare la sussistenza dei requisiti prescritti per il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo professionale mentre la verifica circa la presenza delle cause di incompatibilità previste dalla normativa in materia di pubblico impiego è affidata all’amministrazione datrice di lavoro. Ciò si desume, peraltro, ad avviso di parte ricorrente, dalla stessa formulazione dell’art. 1 del d. lgs. n. 99 del 2004 che àncora il riconoscimento del suddetto status di imprenditore agricolo professionale alla sussistenza di presupposti di fatto analiticamente individuati.

Su tali basi, dunque, la difesa della ricorrente sostiene che la Regione, esercitando il potere di annullamento in autotutela rispetto alla certificazione I.A.P. per finalità estranee (tutela della posizione del Comune datore di lavoro) a quelle ad esse demandate (verifica dei presupposti I.A.P.) è incorsa nel vizio di eccesso di potere.

Viene contestata, inoltre, la ragionevolezza delle valutazioni effettuate dall’amministrazione regionale in ordine all’incompatibilità tra le due attività lavorative, che devono, per contro, essere svolte dall’amministrazione datrice di lavoro in quanto fornita di quelle conoscenze complete e dirette dei fatti alla base dell’apprezzamento circa la sussistenza di profili di incompatibilità.

La difesa della ricorrente evidenzia, altresì, che, anche ammettendo, in via di mera ipotesi, la sussistenza di una incompatibilità, il provvedimento gravato sarebbe comunque illegittimo. Ciò in considerazione della specifica e dettagliata disciplina sul lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni che prevede – artt. 60 e 63 del D.P.R. n. 3 del 1957 – finanche nell’ipotesi di incompatibilità assoluta, non già la preclusione all’esercizio dell’attività diversa dall’impiego pubblico bensì la previa diffida dell’impiegato a cessare la situazione di incompatibilità, alla quale segue, nel termine di quindici giorni ed ove il dipendente non si determini in tal senso, la decadenza dall’impiego. Il legislatore, dunque, pone, in primo luogo, in capo al dipendente pubblico l’obbligo di cessare la situazione di incompatibilità; ciò può avvenire, attraverso la scelta, rimessa alle libere determinazioni del lavoratore, tra l’attività asseritamente incompatibile ed il pubblico impiego oppure attraverso l’opzione per forme di svolgimento dell’attività lavorativa – richiesta della riduzione del lavoro a tempo pieno e della sua trasformazione in lavoro a tempo parziale – comunque idonee ad assicurare la cessazione della situazione di incompatibilità. Solo nel caso della sostanziale inerzia del lavoratore le sopra richiamate disposizioni prevedono lo scioglimento di diritto del lavoro pubblico. La suddetta scelta costituisce, quindi, un diritto del lavoratore che, pure ipotizzando, come pretende l’amministrazione evocata in giudizio, la sussistenza di una incompatibilità assoluta, non può essere leso attraverso la negazione del riconoscimento della qualifica di I.A.P.; ciò in quanto tale diritto è riconosciuto proprio dalla normativa di cui la Regione invoca l’applicazione. In tale quadro, parte ricorrente rimarca che nessuna diffida è pervenuta alla L. la quale non è stata posta neanche nelle condizioni di esercitare quel diritto di scelta che avrebbe potuto anche consentire il superamento dell’asserita incompatibilità contestata.

Nell’ambito dell’articolato motivo di ricorso la difesa della ricorrente sviluppa argomentazioni e deduzioni ulteriori.

Oltre ad evidenziare la circostanza che le norme in materia di pubblico impiego sopra indicate lasciano, comunque, dei margini di discrezionalità all’amministrazione datrice di lavoro quanto all’apprezzamento in ordine alla stessa sussistenza dell’incompatibilità, viene rimarcato che, nella fattispecie, lo svolgimento dell’attività agricola è stato espressamente autorizzato dall’amministrazione comunale sicché – anche a prescindere da ulteriori considerazioni e dalla possibilità per la Regione di segnalare la causa di incompatibilità all’amministrazione comunale datrice di lavoro – tale attività è stata legittimamente esercitata.

La L., quindi, era ed è in possesso dei requisiti per il riconoscimento della qualifica di I.A.P. e, secondo quanto prospettato nell’articolazione difensiva, solo ove, in esito ad eventi comunque futuri ed incerti, correlati all’emersione e legittima contestazione di una causa di incompatibilità assoluta da parte dell’amministrazione datrice di lavoro, il prescritto requisito temporale venisse meno potrebbe farsi questione in ordine alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della qualifica di I.A.P..

Le suddette deduzioni e prospettazioni vengono sostenute dalla difesa di parte ricorrente anche attraverso la puntuale ricostruzione degli orientamenti espressi dalla consolidata giurisprudenza in materia. Tra questi, in particolare, il principio dell’incidenza della situazione di incompatibilità assoluta tra pubblico impiego ed altre occupazioni solo sul rapporto di lavoro pubblico e non sulla validità o regolarità dell’altra attività lavorativa svolta dal dipendente e la necessità di una valutazione in concreto della fattispecie, da parte dell’amministrazione datrice di lavoro, al fine di verificare la sussistenza di indici idonei ad evidenziare la sussistenza della situazione di incompatibilità, tenendo anche conto della quantità e qualità dell’impegno richiesto in rapporto alle specifiche mansioni svolte dal dipendente pubblico e dell’assenza di conflitti di interesse.

2.1. Le censura è fondata.

2.2. Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che i presupposti per il riconoscimento della qualifica di I.A.P. sono espressamente e specificamente individuati dall’art. 1 del d. lgs. n. 99 del 2004.

Ai sensi di tale disposizione "è imprenditore agricolo professionale colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro". La medesima norma, inoltre, prevede una riduzione al venticinque per cento dei suddetti requisiti per l’imprenditore che operi nelle zone svantaggiate di cui all’articolo 17 del citato regolamento (CE) n. 1257/1999.

Già da un primo esame della sopra richiamata disposizione emerge che il legislatore ha espressamente previsto la possibilità che l’attività agricola non venga svolta in via esclusiva; tale eventualità è stata, anzi, assurta a regola, come chiaramente si desume proprio dai criteri fissati per la valutazione sia requisito del tempo di lavoro sia del requisito reddituale. Ai fini del riconoscimento della qualifica I.A.P., infatti, è necessario che l’imprenditore dedichi almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo alle attività agricole e che da tale attività ricavi almeno il 50% del proprio reddito globale. Percentuali, peraltro, ridotte, come sopra evidenziato, nell’ipotesi in cui l’attività agricola sia svolta in zona svantaggiata.

2.3. Il fondo coltivato dalla L. è sito in area montana e, dunque, svantaggiata; perché possa ritenersi soddisfatto il requisito del tempo dedicato all’attività agricola ai sensi della normativa suddetta è sufficiente, quindi, che la ricorrente dedichi all’agricoltura un tempo pari ad almeno il 25% di quello concretamente e complessivamente dedicato al lavoro.

2.4. Dalla documentazione versata in atti emerge inconfutabilmente che il suddetto requisito è soddisfatto dalla L., la quale, infatti, ha adeguatamente comprovato di dedicare all’attività agricola oltre il 25%, precisamente il 28,6%, del proprio tempo di lavoro complessivo.

Nello stesso provvedimento gravato l’amministrazione regionale contesta, invero, non già l’effettivo svolgimento dell’attività agricola in una misura superiore al 25% del tempo complessivamente dedicato dalla L. al lavoro bensì la sussistenza di un’incompatibilità giuridica tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, desunta dalla legislazione in materia di pubblico impiego (art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001 e disposizioni ivi richiamate).

2.5.Il Collegio non può che rilevare l’illegittimità del provvedimento gravato, sia che il giustificativo alla base dell’esercizio del potere di autotutela venga ravvisato (come con tutta evidenza si desume dallo stesso provvedimento impugnato) nella sussistenza della suddetta incompatibilità sia che, come sostenuto, invece, dalla difesa di parte resistente – con argomentazioni che sconfinano in un’inammissibile (in quanto non fondata su elementi e considerazioni effettivamente emersi nel corso del procedimento amministrativo) integrazione postuma della motivazione – si ritenga che l’incompatibilità tra lavoro pubblico a tempo pieno e attività agricola rileverebbe non in sé considerata ma in quanto elemento idoneo ad escludere, sotto il profilo logicogiuridico, la possibilità che residui alcun margine per l’integrazione del requisito temporale prescritto.

2.6. L’interpretazione dell’art. 1, comma 1 del d. lgs. n. 99 del 2004, svolta alla stregua dei consueti canoni ermeneutici e considerando anche la ratio sottesa alla disciplina in materia, induce a ritenere che, al fine del riconoscimento della qualifica I.A.P., assume rilievo il dato di fatto, concreto ed obiettivo, dell’effettivo svolgimento dell’attività agricola in misura almeno corrispondente alla sopra indicata percentuale.

Non può essere condivisa, dunque, l’interpretazione prospettata dalla difesa dell’amministrazione resistente, secondo la quale, nell’ipotesi di svolgimento dell’attività extra agricola a tempo pieno, tutto il tempo residuo sarebbe "tempo libero", come tale non computabile ai fini della valutazione del suddetto requisito del tempo dedicato all’attività agricola.

E’ vero, infatti, che la ricorrente è dipendente a tempo pieno, a far data dal 1° aprile 2008, del Comune di Negrar ma è anche dimostrato che lo svolgimento di tale attività, espressamente autorizzato dall’amministrazione comunale, per l’impegno temporale richiesto (36 ore di lavoro settimanali, ripartite, con flessibilità di mezz’ora in ingresso ed in uscita, nel seguente orario: lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 8,00 alle 14,00, martedì, e giovedì dalle ore 8,00 alle ore 17,00), non ha precluso materialmente lo svolgimento dell’attività agricola in misura superiore al 25% del tempo di lavoro complessivo, sufficiente ad ottenere il requisito della qualifica di I.A.P., secondo i parametri fissati, nella Regione Veneto, con la deliberazione della Giunta Regionale n.3470 del 2004.

La ricorrente, infatti, a partire dall’assunzione dell’impiego pubblico a tempo pieno, ha dichiarato di dedicare all’attività agricola i pomeriggi del lunedì, mercoledì e venerdì e l’intera giornata dal sabato e dettagliatamente indicato il montante delle ore complessivamente dedicate all’attività agricola; tale dati, che non appaiono comunque anomali anche secondo canoni di ragionevolezza e comune esperienza, non sono contestati dall’amministrazione regionale.

Ai sensi della normativa in materia di riconoscimento della qualifica di I.A.P., quindi, la ricorrente risulta soddisfare il requisito del tempo di lavoro non emergendo, come sopra evidenziato, alcuna contestazione, specifica e concreta, in relazione al dato fattuale della materiale coltivazione del fondo con un impegno che, per quantità e continuità, integra i presupposti prescritti.

2.7.Il Collegio, condividendo sul punto le deduzioni della difesa della ricorrente, ritiene che il discrimine tra un’attività svolta come hobby, per mero interesse e divertimento, nel "tempo libero" e il lavoro effettivo ed idoneo a far acquisire la qualifica di I.A.P., sia stato affidato dal legislatore proprio ai requisiti ed ai parametri previsti dall’art. 1 del d. lgs. n. 99 del 2004, in assenza dei quali, infatti, lo svolgimento dell’attività agricola non assume alcun rilievo ai fini dell’applicazione della normativa statale.

2.8.Sussistendo i presupposti analiticamente previsti dal legislatore, per contro, deve essere riconosciuta la qualifica di I.A.P., non essendo prevista e dunque ammessa l’introduzione di requisiti e condizioni ulteriori che, come di seguito si avrà modo di evidenziare, potranno rilevare ad altri fini e con altri effetti ma non già comportare il disconoscimento di un lavoro, peraltro gravoso qual è quello agricolo, effettivamente svolto e conseguentemente giustificare il diniego della relativa certificazione.

Né le valutazioni sopra svolte possono essere superate alla luce della locuzione che figura nel secondo comma dell’art. 1 del d. lgs. n. 99 del 2004, ai sensi del quale le Regioni "accertano ad ogni effetto il possesso dei requisiti di cui al comma 1"; il senso di tale previsione è, infatti, quello di specificare che gli effetti della certificazione di I.A.P. sono quelli stabiliti dalla legge. Tale evidente interpretazione si desume, peraltro, dalla seconda parte del medesimo comma sopra richiamato che, infatti, fa salva unicamente "la facoltà dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS) di svolgere, ai fini previdenziali, le verifiche ritenute necessarie ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 2001, n. 476".

2.9.Prive di pregio si palesano, inoltre, le considerazioni svolte dalla difesa dell’amministrazione resistente in ordine alle motivazioni che hanno indotto ad effettuare i controlli sulla certificazione rilasciata alla ricorrente; assorbente rilevanza assume, infatti, la circostanza che l’amministrazione regionale ha rilasciato la certificazione sulla base dei medesimi dati fattuali corretti – nello stesso provvedimento gravato vengono menzionate le modifiche dei dati inizialmente allegati all’istanza volta ad ottenere la certificazione, apportate nel corso del procedimento – successivamente valutati in sede di esercizio del potere di autotutela.

2.10. Il Collegio deve, a questo punto, esaminare l’ulteriore profilo – l’unico, invero, posto alla base del provvedimento di annullamento in autotutela gravato – che attiene agli effetti dell’incompatibilità contestata alla ricorrente sulla certificazione rilasciata dall’amministrazione regionale.

2.11. Si evidenzia, in primo luogo, che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa di parte resistente, l’amministrazione comunale presso la quale la L. svolge l’attività lavorativa ha rilasciato più di un’autorizzazione alla ricorrente per lo svolgimento dell’attività agricola; la difesa della L. ha, tra l’altro, prodotto anche l’autorizzazione inviata dal Comune di Negrar, in data 8 giugno 2010 (prima, dunque, dell’adozione del provvedimento gravato, come emerge dalla nota di trasmissione a mezzo fax) alla Regione, a riscontro della specifica richiesta da quest’ultima formulata.

2.12 Ciò chiarito occorre verificare se l’asserita incompatibilità tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, contestata dall’amministrazione regionale, possa costituire giustificativo idoneo a sostenere la legittimità del provvedimento gravato.

2.13. Nel pubblico impiego vige, come noto, un generale principio di incompatibilità, in forza del quale è preclusa al dipendente pubblico la possibilità di svolgere qualsiasi altra attività, tra cui quelle commerciali, industriali, artigiane e professionali in costanza di rapporto di lavoro. Il fondamento è di natura costituzionale e si rinviene nell’art. 98 della Costituzione; la ratio di un sistema così rigido risiede nel convincimento che le energie psicofisiche impiegate dal dipendente non devono essere depotenziate con l’impiego in altre occupazioni e nel principio del buon andamento e di imparzialità della PA, secondo il quale l’interesse pubblico non può essere curato in concorso con interessi connessi allo svolgimento di altre attività, con il rischio di ledere l’indipendenza ed i doveri di lealtà del lavoratore, nonché lo stesso prestigio della PA.

La norma di riferimento è l’art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001, che richiama la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e seguenti del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, facendo salve le disposizioni speciali e l’ipotesi di svolgimento del lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno.

La normativa sopra citata reca una disciplina articolata dell’incompatibilità la quale, dunque, deve essere verificata nei modi, nelle forme e con gli effetti legislativamente previsti; le suddette disposizioni, come sopra evidenziato, prevedono, tra l’altro, che l’impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall’incarico.

Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, ne consegue che soltanto nel caso in cui l’impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all’art. 55 del decreto citato, posto che, diversamente, trova applicazione l’istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati "ab origine", avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro (Cass. Civ., sez. lav., 21 agosto 2009, n. 18608).

Le valutazioni in ordine alla sussistenza della situazione di incompatibilità e la conseguente contestazione sono rimesse all’amministrazione datrice di lavoro non solo in quanto amministrazione direttamente interessata, poiché parte del rapporto, ma anche in quanto fornita delle conoscenze e degli elementi necessari per apprezzare la sussistenza di profili di incompatibilità.

Il linea generale il Collegio osserva che negli ultimi anni, le rinnovate sensibilità sul tema dell’imparzialità, del buon andamento e dell’efficienza delle pubbliche amministrazioni, hanno sollecitato un maggiore rigore anche in materia di controlli sul c.d. "doppio lavoro non autorizzato"; tali istanze sono state recepite dal legislatore il quale si è determinato non già introducendo una competenza diffusa in ordine alla verifica della sussistenza delle cause di incompatibilità, bensì imponendo obblighi di comunicazione in capo alle stesse amministrazioni datrici di lavoro e prevedendo verifiche riservate a specifiche amministrazioni (il riferimento è, in particolare, al comma 16 bis dell’art. 53 del d. lgs. n. 165 del 2001, introdotto dall’articolo 47, comma 1, decretolegge n. 112 del 2008, poi sostituito dall’articolo 52 del decreto legislativo n. 150 del 2009).

Nella fattispecie oggetto di giudizio, l’amministrazione regionale non solo ha proceduto alla valutazione in ordine alla sussistenza dell’incompatibilità rimessa, per le ragioni sopra esposte, all’amministrazione datrice di lavoro, ma ciò ha fatto violando le garanzie previste dalla citate disposizioni, non considerando che lo svolgimento dell’attività agricola è stata espressamente autorizzata dal Comune di Negrar ed adottando un provvedimento i cui effetti contrastano radicalmente con i principi affermati dalla stessa giurisprudenza in materia di incompatibilità.

Costituisce ormai jus receptum il principio secondo il quale la situazione di incompatibilità assoluta tra lavoro pubblico e altra occupazione produce effetti giuridici solo sul rapporto di lavoro pubblico e non sulla validità o regolarità dell’altra attività lavorativa svolta dal dipendente; ciò in quanto, come chiarito dalla consolidata giurisprudenza, l’art. 60 del d.p.r. n. 3 del 1957 pone un divieto nell’interesse della pubblica amministrazione che, pertanto, opera nell’ambito del rapporto impiegatizio con la conseguenza che la violazione può determinare l’applicazione delle sanzioni previste dallo statuto degli impiegati civili dello Stato ma non può riverberare alcuna incidenza sulla validità dell’attività svolta trasgredendo quel divieto (in questi termini, ex multis, Cass. Civ., sez. lav., 25 febbraio 2000, n. 2171; Cass. Civ., sez. lav., 22 maggio 1991, n. 5736).

Del tutto illegittimamente, dunque, l’amministrazione regionale ha assunto, con il provvedimento in autotutela gravato, una determinazione che pone a proprio fondamento la sussistenza di una situazione di incompatibilità al fine di sostenere la preclusione al riconoscimento della qualifica I.A.P..

Ciò in specie ove si consideri, come già evidenziato, che il Comune di Negrar, valutata la compatibilità delle due attività lavorative, ha formalmente autorizzato la L. allo svolgimento dell’attività agricola.

3..In relazione alle ulteriori doglianze dedotte avverso il provvedimento impugnato, il Collegio ritiene di poter procedere all’assorbimento, non potendo derivare alla ricorrente alcuna utilità ulteriore rispetto a quella già conseguita in esito alle considerazioni sopra svolte.

In conclusione, il ricorso va accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

4. La relativa novità delle questioni trattate e le peculiarità della fattispecie inducono all’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2011 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Angelo Gabbricci, Consigliere

Brunella Bruno, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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