T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 19-05-2011, n. 854 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A. La società in nome collettivo "A.R.B.D." di C.P. & C ha realizzato, nel 1992, un intervento – regolarmente assentito dall’amministrazione comunale con la concessione edilizia n. 122 bis del 6 maggio 1992 – di ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato in proprietà a destinazione turistico ricettiva, sito nel Comune di Rocca Pietore, in località Malga Ciapela e catastalmente censito al mappale n. 156, foglio n. 20.

B. Nel corso dell’esecuzione delle opere, per esigenze funzionali e connesse al rispetto delle disposizioni in materia di igiene ed edilizie, sono state, tuttavia, apportate alcune varianti segnatamente riferite: alla costruzione di una terrazza della larghezza di circa un metro al piano primo con copertura degli accessi ai locali posti al piano seminterrato; alla modifica e spostamento di alcune finestre e porte; alla creazione di nuove finestre; alla modifica degli abbaini del sottotetto; alla diversa distribuzione dei locali del sottotetto; allo spostamento di alcune pareti interne. Tali modifiche sono state effettuate senza richiedere la necessaria autorizzazione all’autorità preposta alla tutela dei beni ambientali, trattandosi di intervento che ha interessato una’area sottoposta a vincolo paesaggistico.

C. A seguito della notificazione dell’ordinanza n.12 del 16 luglio 1992, con la quale l’amministrazione provinciale ha ingiunto all’odierno ricorrente la sospensione dei lavori, P.C. ha presentato, in data 20 luglio 1992, una domanda per il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, favorevolmente riscontrata dall’amministrazione comunale in data 28 febbraio 1994, previa acquisizione del parere della Commissione Provinciale per i Beni Ambientali, espresso nella seduta del 30 novembre 1993.

D. Il C. ha successivamente presentato, in data 6 marzo 1995, anche due istanze di condono edilizio, relative alle medesime opere già oggetto della suddetta istanza di sanatoria – ai sensi dell’art. 39 della l. n. 724 del 23 dicembre 1994 e del d.l. n. 649 del 1994, versando la relativa oblazione.

E. L’amministrazione provinciale ha, dunque, adottato, in data 4 luglio 1995, il provvedimento in questa sede gravato, con il quale ha irrogato la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 15 della l. n. 1497 del 1939.

F. Avverso il suddetto provvedimento la difesa del ricorrente ha dedotto i seguenti motivi di ricorso.

La prima censura si appunta sulla violazione degli art. 7 e seguenti della l. n. 241 del 1990, a motivo dell’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio.

Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto il vizio di incompetenza e lamentata la violazione dell’art. 4 della legge regionale n.63 del 1994; la difesa di parte ricorrente sostiene, nello specifico, che, essendo la l.r. n.63 del 1994 entrata in vigore il 31 gennaio 1995, la nuova disciplina in essa contenuta troverebbe applicazione sia con riferimento ai procedimenti iniziati prima della sua entrata in vigore ma non ancora conclusi sia, ovviamente, ai procedimenti avviati dopo la suddetta data. Ciò con la conseguenza che un eventuale provvedimento sanzionatorio avrebbe dovuto essere adottato dall’amministrazione comunale alla quale, proprio con la sopra richiamata legge regionale, sono state subdelegate anche le funzioni amministrative relative all’adozione di provvedimenti cautelari e sanzionatori in materia di protezione delle bellezze naturali.

Con il terzo motivo di ricorso è stato censurato il vizio di incompetenza relativa nonché la violazione degli artt. 36 e 51 della l. n. 142 del 1990 e degli artt. 3 e 14 del d. lgs. n.29 del 1993, in quanto il provvedimento gravato è stato adottato dal Presidente della Provincia e non, invece, come desumibile dalle suddette disposizioni, dal dirigente.

Il quarto motivo di ricorso si appunta sulla violazione dell’art. 15 comma 3 della l. n. 1497 del 1939, a motivo della determinazione della sanzione non già in base ad una valutazione dell’ufficio del Genio Civile bensì di una stima effettuata da un tecnico libero professionista incaricato dall’amministrazione.

Con il quinto motivo di ricorso è stata censurata la violazione dell’art. 7 comma 16 del d.l. n.24 del 1995, reiterato con l’art. 7 comma 15 del d.l. n.88 del 1995, a sua volta reiterato con l’art. 7 comma 14 del d.l. n.193 del 1995. La difesa di parte ricorrente evidenzia, nello specifico, che, in base alle suddette disposizioni, le sanzioni amministrative di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 non potevano essere irrogate una volta conseguita l’autorizzazione in sanatoria; solo con l’entrata in vigore della l. n. 662 del 1996, infatti, è stato espressamente previsto che l’inapplicabilità, a seguito di condono edilizio, delle sanzioni amministrative, non si estende alle sanzioni in materia paesistica di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939.

Con il sesto motivo di ricorso è stata dedotta la violazione, sotto altro profilo, dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 e censurato il vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti, in considerazione del carattere ripristinatorio e risarcitorio dell’indennizzo previsto il quale, dunque, non troverebbe applicazioni nelle ipotesi, quale quella in esame, in cui l’intervento edilizio eseguito non ha prodotto alcun danno ai valori tutelati.

Con il settimo motivo di ricorso la difesa di parte ricorrente contesta i criteri di determinazione della sanzione che sembrano riferirsi al costo delle opere realizzate e che, comunque, non hanno costituito oggetto di adeguata motivazione.

L’ultimo motivo di ricorso è diretto a censurare la nullità dell’ingiunzione, avendo l’amministrazione provinciale notificato il provvedimento gravato non alla società proprietaria dell’immobile e titolare della concessione edilizia bensì alla persona fisica, legale rappresentante pro tempore e socio della medesima.

G. L’amministrazione provinciale si è costituita in giudizio per resistere al gravame concludendo per la reiezione del ricorso in quanto infondato.

H. All’udienza del 23 marzo 2011 i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive conclusioni, dopo di che la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1.Il Collegio ritiene di poter procedere direttamente all’esame del merito, non essendo stata sollevata alcuna eccezione preliminare e non emergendo questioni rilevabili d’ufficio.

2. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte.

3. Deve essere preliminarmente respinta la censura con la quale parte ricorrente lamenta la mancata comunicazione dell’inizio del procedimento che ha portato all’emanazione del provvedimento impugnato.

Va condiviso, infatti, quell’orientamento giurisprudenziale (ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11 novembre 2004, n. 16752) secondo cui la comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, è necessaria soltanto per i procedimenti iniziati d’ufficio e non già per quelli avviati ad istanza di parte nei quali lo stesso interessato con la sua domanda può inserire tutti gli elementi che ritiene debbano essere presi in considerazione dalla Pubblica Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento finale.

Considerato che nella fattispecie in esame, la sanzione irrogata, anche a prescindere dalla natura vincolata della stessa, è la diretta conseguenza dell’accoglimento della domanda di sanatoria edilizia presentata dai ricorrenti per l’intervento abusivo realizzato in un’area di valore paesaggistico, il relativo procedimento deve considerarsi avviato ad istanza di parte (e precisamente con la domanda di sanatoria), con la conseguenza che l’amministrazione non era tenuta a comunicare al ricorrente l’avvio del connesso e necessario procedimento di irrogazione della sanzione ambientale (in termini T.A.R. Lazio – Roma sez. II, 20 aprile 2002, n. 3370).

Il Collegio evidenzia, peraltro, che ai sensi dell’art. 21 octies della l. n. 241 del 1990 – applicabile alla fattispecie in quanto, come chiarito dalla maggioritaria giurisprudenza, norma avente carattere processuale (cfr., Cons. St., sez. V, 17 settembre 2008, n. 4414) – non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 04 marzo 2008, n. 1073; crf. anche Consiglio di Stato n.5414/06). La medesima disposizione, inoltre, nella sua seconda parte prevede che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Orbene, nella fattispecie, gli elementi addotti da parte ricorrente a sostegno del ricorso non sono tali da revocare in dubbio, come di seguito sarà evidente, che, ove anche rappresentati all’amministrazione provinciale, gli stessi avrebbero comportato l’adozione di una diversa determinazione.

Come infatti affermato dalla giurisprudenza del giudice d’appello, condivisa dal Collegio, vero è che l’art. 21 octies cit. pone in capo all’Amministrazione (e non al privato) l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, che il contenuto del provvedimento non poteva essere diverso; tuttavia, "onde evitare di gravare la p.a. di una probatio diabolica (quale sarebbe quella consistente nel dimostrare che ogni eventuale contributo partecipativo del privato non avrebbe mutato l’esito del procedimento), risulta preferibile interpretare la norma in esame nel senso che il privato non possa limitarsi a dolersi della mancata comunicazione, ma debba anche quantomeno indicare o allegare quali sono gli elementi conoscitivi che avrebbe introdotto nel procedimento ove avesse ricevuto la comunicazione" (così Cons. St., sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786).

La censura va, dunque, disattesa in considerazione dell’avvio del procedimento ad istanza di parte, del carattere sanzionatorio dell’indennità prevista dall’art. 15 della l. n. 1497 del 1939 che, dunque, si concreta in un atto dovuto nonché della mancata allegazione di elementi suscettibili di essere apprezzati ai fini di una eventuale diversa determinazione che l’amministrazione avrebbe dovuto assumere.

4. Con il secondo motivo di ricorso, con cui è stato dedotto il vizio di incompetenza e lamentata la violazione dell’art. 4 della legge regionale n.63 del 1994; la difesa di parte ricorrente assume, che, essendo la l.r. n. 63 del 1994 entrata in vigore il 31 gennaio 1995, la nuova disciplina in essa contenuta troverebbe applicazione sia con riferimento ai procedimenti iniziati prima della sua entrata in vigore ma non ancora conclusi sia, ovviamente, ai procedimenti avviati dopo la suddetta data. Ciò con la conseguenza che un eventuale provvedimento sanzionatorio avrebbe dovuto essere adottato dall’amministrazione comunale cui, proprio in forza della sopra richiamata legge regionale sono state subdelegate anche le funzioni amministrative relative all’adozione di provvedimenti cautelari e sanzionatori in materia di protezione delle bellezze naturali.

La censura è infondata.

Il Collegio non può che rilevare la sussistenza di un equivoco di fondo nel quale è incorsa la difesa di parte ricorrente.

P.C., come evidenziato nella narrativa in fatto, ha avviato distinti procedimenti, un primo procedimento volto alla sanatoria delle opere contestate, al quale ha fatto seguito la presentazione di due istanze di condono edilizio riferite sostanzialmente alle medesime opere già oggetto della precedente domanda.

Dalla stessa documentazione versata in atti si evince, infatti, che per il medesimo intervento abusivo è stata presentata una prima istanza in data 20 luglio 1992, ai sensi dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985 (tale disposizione è, infatti, espressamente richiamata a pag. 2 del provvedimento con il quale l’amministrazione provinciale ha autorizzato la sanatoria, prodotto dalla difesa del ricorrente all’interno dell’all. 6); la sanatoria è stata, dunque, richiesta ai sensi della disposizione che, al tempo, disciplinava l’istituto dell’accertamento di conformità. Ciò si desume, peraltro, dalla stessa domanda presentata il 20 luglio 1992 diretta ad ottenere, appunto, la sanatoria delle opere; del resto, al tempo, in assenza di una disciplina speciale che consentisse il condono delle opere, l’accertamento di conformità costituiva l’unico istituto attraverso il quale poter conseguire la sanatoria.

Tale procedimento diretto, si ribadisce, alla sanatoria mediante accertamento di conformità, ha trovato favorevole definizione; l’amministrazione comunale, infatti, in data 28 febbraio 1994, ha rilasciato la concessione edilizia n. 76/92 (all. 6 delle produzioni documentali di parte ricorrente).

Dopo oltre un anno dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria suddetta, in data 6 marzo 1995, il ricorrente ha anche presentato due istanze di condono edilizio – ai sensi dell’art. 39 della l. n. 724 del 23 dicembre 1994 e del d.l. n. 649 del 1994 – relative alle medesime opere già oggetto della precedente istanza di sanatoria.

Il Collegio evidenzia che i due istituti, quello del condono e quello dell’accertamento di conformità, hanno caratteri, natura e presupposti diversi e, peraltro, come sopra evidenziato, le domande di condono sono state presentate quando ormai la sanatoria per accertamento di conformità era già stata assentita dall’amministrazione.

Il provvedimento in questa sede gravato si riferisce non già al procedimento avviato con la presentazione delle domande di condono edilizio bensì al diverso e precedente procedimento avente ad oggetto la domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 13 della l. n. 47 del 1985.

L’amministrazione comunale ha rilasciato la concessione edilizia in sanatoria in data 28 febbraio 1994, quando ancora la legge regionale, di cui il ricorrente invoca l’applicazione, non era stata neanche emanata ed il provvedimento in questa sede gravato integra quello già adottato dal Presidente della Provincia il 1° dicembre 1993; l’Ente, dopo quel primo provvedimento, disponeva (sia pure residualmente, dopo il passaggio della materia di Comuni ex l.r. 63 del 1994) della competenza necessaria per irrogare la sanzione e determinarne la misura.

Il Collegio evidenzia, infatti, che, come chiaramente desumibile dall’art. 10, comma 3 della l.r. n. 63 del 1994 il Presidente della Provincia ha conservato il potere di definire quei procedimenti in cui, alla data di entrata in vigore della sopra indicata leggere regionale, (31 gennaio 1995), la commissione provinciale per i beni ambientali avesse già pronunciato il proprio parere; nella fattispecie tale parere era stato espresso nella seduta del 30 novembre 1993, cioè circa un anno e mezzo prima dell’entrata in vigore della l.r. n. 63 del 1994.

5. Con il terzo motivo di ricorso è stato censurato il vizio di incompetenza relativa nonché la violazione degli artt. 36 e 51 della l. n. 142 del 1990 e degli artt. 3 e 14 del d. lgs. n.29 del 1993, in quanto il provvedimento gravato è stato adottato dal Presidente della Provincia e non, invece, come desumibile dalle suddette disposizioni, dal dirigente.

Anche tale censura si palesa infondata.

La l.r. n.11 del 1984 ha istituito una sfera riservata di competenza in favore del Presidente della Provincia con la conseguenza che la delega delle specifiche funzioni è stata intesa come conferita in via esclusiva al suddetto organo monocratico, sicché tale competenza non è stata incisa dalle disposizioni di cui la difesa del ricorrente invoca l’applicazione che, infatti, fanno salve proprio quelle attribuzioni espressamente previste dalla legge o dallo statuto.

6. Anche il quarto motivo di ricorso, con il quale è stata censurata la determinazione della sanzione ad opera di un tecnico incaricato e non del Genio Civile, è infondata, non sussistendo alcuna preclusione al ricorso a tecnici privati per la quantificazione della sanzione (cfr. Cons. St., sez. V, 20 dicembre 1999, n.2113); il ricorso all’ausilio tecnico di uffici statali, sebbene non precluso in linea generale, costituisce, infatti, solo una possibilità rimessa alla scelta dell’autorità delegata. Si evidenzia, peraltro, che, come puntualmente rilevato dalla difesa dell’amministrazione resistente, lo stesso Presidente della Giunta Regionale Veneto, a suo tempo, aveva espressamente invitato – con determinazioni del 4 febbraio 1993 e del 12 maggio 1994 – i Presidenti delle province a provvedere in proprio alla determinazione della sanzione da irrogare ai.sensi dell’art. 15 della l. n. 1497 del 1939., Ciò che esse hanno fatto.

7. Con il quinto motivo di ricorso, con cui è stata censurata la violazione dell’art. 7 comma 16 del d.l. n.24 del 1995, reiterato con l’art. 7 comma 15 del d.l. n.88 del 1995, a sua volta reiterato con l’art. 7 comma 14 del d.l. n.193 del 1995, la difesa di parte ricorrente evidenzia, nello specifico, che, in base alle suddette disposizioni, le sanzioni amministrative di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 non potevano essere irrogate una volta conseguita l’autorizzazione in sanatoria: solo con l’entrata in vigore della l. n. 662 del 1996, infatti, è stato espressamente previsto che l’inapplicabilità delle sanzioni amministrative, a seguito di condono edilizio, non si estende alle sanzioni in materia paesistica di cui all’art. 15 della legge n. 1497 del 1939.

La censura è infondata.

Le disposizioni invocate dal ricorrente non sono applicabili alla fattispecie in quanto, come ampiamente evidenziato al capo 4 della presente pronuncia, il provvedimento impugnato non è stato adottato in relazione al procedimento di condono edilizio (procedimento, peraltro, non ancora concluso alla data di adozione del provvedimento in questa sede gravato) bensì al diverso e precedente procedimento conclusosi con il rilascio della sanatoria per accertamento di conformità.

Il Collegio evidenzia, inoltre, che, come noto, le disposizioni che disciplinano il condono edilizio costituiscono oggetto di stretta interpretazione e non sono suscettibili di applicazione analogica; le disposizioni richiamate dalla difesa del ricorrente trovano applicazione solo nel caso in cui sia presentata una domanda di condono e favorevolmente definito il relativo procedimento, al contrario, in specie, non di condono ma di sanatoria si tratta sicché non trova applicazione la citata normativa speciale.

Solo incidentalmente e per completezza di analisi il Collegio evidenzia, peraltro, che dalla documentazione versati in atti (all. 9 e 10 delle produzioni documentali di parte ricorrente) emerge che i procedimenti avviati con la presentazione delle due domande di condono edilizio si sono conclusi con il rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria in data 25 febbraio 1997 e, dunque, dopo l’entrata in vigore della l. n. 662 del 1996 la quale, all’art. 2 ha previsto che per le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497 e al decretolegge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, il versamento dell’oblazione non esime dall’applicazione dell’indennità prevista dall’articolo 15 della citata legge n. 1497 del 1939. Ne consegue, come chiarito dalla giurisprudenza del giudice d’appello, che ai fini dell’applicazione della suddetta previsione occorre fare riferimento al momento in cui il procedimento si è favorevolmente definito (cfr., Cons. St., sez. IV, 30 giugno 2003, n. 3931) e pertanto che l’inapplicabilità della sanzione di cui all’art. 15 sopra citato opera solo nell’ipotesi in cui la favorevole definizione del procedimento di condono sia avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge n. 662 del 1996.

Il motivo va quindi respinto.

8. Con il sesto motivo di gravame è stata dedotta la violazione, sotto altro profilo, dell’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 e censurato il vizio di eccesso di potere per difetto di presupposti, in considerazione del carattere ripristinatorio e risarcitorio dell’indennizzo previsto, il quale, dunque, non troverebbe applicazioni nell’ipotesi, come quella in esame, in cui l’intervento edilizio eseguito non ha prodotto alcun danno ai valori tutelati.

Anche questa censura è quindi infondata e va disattesa.

Come chiarito dalla consolidata giurisprudenza in materia l’art. 15 della legge n. 1497 del 1939 (divenuto poi l’art. 164 del d.lgs. n. 490 del 1999, ed oggi l’ art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004) va interpretato nel senso che l’indennità prevista per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici costituisce vera e propria sanzione amministrativa (e non una forma di risarcimento del danno), che come tale prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2006, n. 4690; Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7405; id. 3 novembre 2003, n. 7047; Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1729; Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2002, n. 6279; Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2000, n. 6007; id. 6 giugno 2000, n. 3185).

9. Con il settimo motivo di ricorso la difesa di parte ricorrente contesta i criteri di determinazione della sanzione che sembrano riferirsi al costo delle opere realizzate e che, comunque, non hanno costituito oggetto di adeguata motivazione.

Oltre che apparire generica la censura si palesa infondata.

Come emerge dal provvedimento gravato, il professionista incaricato dall’amministrazione provinciale della determinazione della sanzione, ha applicato, in assenza del danno ambientale, il criterio del profitto conseguito, facendo riferimento al valore venale delle opere eseguite che hanno determinato un incremento della cubatura e della metratura. Nessun vizio è, dunque, riscontrabile nella determinazione della sanzione irrogata al ricorrente, il quale, peraltro, non ha neanche ritenuto, pur essendo stato informato di tale possibilità, di richiedere la nomina del collegio peritale di cui all’art. 15, comma 4 della l. n. 1497 del 1939.

10 L’ultimo motivo di ricorso è diretto a censurare la nullità dell’ingiunzione, avendo l’amministrazione provinciale notificato il provvedimento gravato non alla società proprietaria dell’immobile e titolare della concessione edilizia bensì alla persona fisica del socio.

La censura è infondata.

Il Collegio evidenzia, in primo luogo, che l’eventuale vizio della notificazione del provvedimento impugnato potrebbe comportare la nullità della notificazione stessa, ma non la nullità ovvero l’illegittimità del provvedimento, che resta perfetto ed esistente, concernendo la notificazione dell’atto amministrativo – secondo le regole generali – non già la fase costitutiva, ma quella integrativa dell’efficacia dell’atto stesso.

Anche a prescindere da tale considerazione si osserva che, nella fattispecie, la società in nome collettivo "A.R.B.D." di C.P. & C è una società di persone ed il nominativo del ricorrente, legale rappresentante della società, figura finanche nella ragione sociale,, sicché la circostanza che il provvedimento gravato sia stato notificato al ricorrente personalmente e, dunque, senza la specificazione della sua qualità di rappresentante legale pro tempore, non determina alcuna incidenza sulla validità della notificazione.

Alla luce delle considerazioni svolte, il ricorso va rigettato.

11. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato lo rigetta.

Condanna P.C. alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’amministrazione resistente, liquidandole complessivamente in euro 1.500,00 di cui Euro 200,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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