Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-05-2011) 20-05-2011, n. 20062 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 14 dicembre 2010, il Tribunale di Roma ha respinto le richieste di riesame avanzate nell’interesse di S.L., S.N., S.A. e B.L., avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 20 ottobre 2010 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale e riguardante, in riferimento alle ravvisate ipotesi di appropriazione indebita, riciclaggio e violazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-quinquies, il 100% delle quote della società in accomandita semplice Palace Hotel Maggiorato, il 100% delle quote della società Hotel Terme all’Alba s.r.l., gli immobili costituenti la struttura alberghiera sita in Via (OMISSIS), denominata Hotel Terme all’Alba e la struttura alberghiera sita in Via (OMISSIS), denominata Hotel Palace Maggiorato, i crediti vantati dai soci nei confronti delle società Palace Hotel Maggiorato in accomandita semplice e della società Hotel Terme all’Alba s.r.l., sino all’ammontare della somma complessiva di 18.889.000, quale sommatoria degli importi meglio specificati nel provvedimento di cautela.

Avverso il provvedimento adottato in sede di riesame hanno proposto ricorso per cassazione i difensori delle persone suddette. Nel ricorso proposto nell’interesse di S.A., si denuncia, nel primo motivo, erronea applicazione dell’art. 646 cod. pen. per la mancanza del requisito della tipicità della condotta e per la carenza del relativo elemento psicologico, con conseguente difetto del requisito del fumus in ordine al reato posto a base del provvedimento di cautela. Contrariamente all’assunto del giudice del riesame, il quale ritiene inconferente l’avvenuta restituzione al patrimonio sociale dei capitali precedentemente sottratti, trattandosi di post factum irrilevante, essendosi il reato ormai perfezionato, osserva il ricorrente come l’appropriazione indebita presupponga per la sua realizzazione una manifestazione di volontà univoca del soggetto attivo di tenere come propria la cosa.

Evenienza, questa, che non si sarebbe nella specie realizzata, posto che il "modello operativo" individuato dalla accusa, "vedeva immancabilmente il ritorno finale dei capitali – incrementato dagli interessi frattanto maturati – nel patrimonio delle società". Nella specie, d’altra parte, alla stregua di tale "modulo operativo" non v’era nè un danno, nè un pericolo di danno per il patrimonio e, quindi, senza la possibilità di configurare una persona offesa danneggiata dalla ipotizzata appropriazione indebita. Per altro verso, anche gli interesse maturati sulle somme fatte transitare a San Marino e poi fatte rientrare in Italia, quand’anche possano integrare – come reputa il Tribunale – un profitto ingiusto, non potrebbe tramutarsi in danno per le società, essendo esse riferibili agli stessi soggetti che avrebbero tratto vantaggio dalla operazione.

D’altra parte, la circostanza che l’operazione fosse stata consentita da tutti i soci, escluderebbe – contrariamente a quanto immotivatamente asserisce il Tribunale – la sussistenza della appropriazione indebita, essendosi il fatto realizzato con l’accordo dei titolari dei beni.

Nel secondo motivo si puntualizza come nella richiesta di riesame si fosse sottolineato – in riferimento al sequestro del 100% delle quote della società in accomandita Palace Hotel Meggiorato – che il vincolo doveva riguardare solo i soci accomandatari e le relative quote – nella specie, T.G. e S.N. – posto che solo a costoro compete, a norma dell’art. 2318 cod. civ., l’amministrazione della società. Pertanto, la imposizione del vincolo finalizzato allo scopo preventivo ravvisato nel decreto, non dovrebbe riguardare S.A., socio accomandante, privo di poteri gestori. La mancata riduzione del vincolo rappresenterebbe, dunque, una palese illogicità della ordinanza, "rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Si deduce, poi, violazione del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies e vizio di motivazione in riferimento al sequestro dei crediti per un importo di circa tre milioni di Euro e omessa motivazione in ordine alla censura concernente la non sequestrabilità delle somme riconducibili ad una ipotesi di reato comunque già prescritta. Viene infatti rilevato che il sequestro dei crediti è stato disposto in riferimento alla ipotesi di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12- sexies, il quale richiama l’art. 12-quinquies, che risulta ascritto al sig. S.A. sotto il capo F), ma per un importo di 8,383 milioni di Euro: dunque, essendo stato disposto il sequestro preventivo dei crediti fino all’ammontare di 11.129.000 Euro, il provvedimento di cautela risulta, in parte qua, eccedente di circa tre milioni di Euro rispetto all’importo risultante dalla correlativa imputazione. Censure, queste, sulle quali il Tribunale non avrebbe fornito risposta alcuna. Accanto a ciò, il Tribunale avrebbe fornito una spiegazione inappagante circa la somma di Euro 8,383 milioni di Euro, in quanto di essa, 4.586.291,37 Euro sono stati ricondotti alla ipotesi di appropriazione indebita aggravata: fattispecie, quest’ultima, non ricompresa fra quelle che legittimano il sequestro D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12-sexies, in ordine al quale si deduce, dunque, violazione di legge. Quanto ai restanti 6 milioni di Euro, parimenti il Tribunale , oltre ad ammettere espressamente la mancanza di elementi per ricondurne l’origine alla ipotesi di appropriazione indebita, ancora una volta erra in ordine alla applicabilità del citato art. 12-sexies, esclusa per quella ipotesi di rearto. Inoltre, il sequestro fa riferimento ad un trasferimento fraudolento di valori per oltre 11 milioni di Euro effettuato nel gennaio 2002: a prescrizione del reato sub F), dunque, già maturata.

Anche su tale censura, proposta in sede di riesame, il Tribunale non ha fornito risposta alcuna, mentre si segnalano discrepanze degli importi dei versamenti in conto capitale tra il provvedimento di sequestro e l’ordinanza del giudice del riesame, con conseguenti riflessi sulla congruità della motivazione.

Viene poi denunciata la illogica duplicazione del vincolo imposto sulle quote, sequestrate sia direttamente che per equivalente.

Infatti, per l’importo di tre milioni di Euro, quale valore attribuito alle quote sociali a seguito del reimpiego dei fondi fatti rientrare, fu disposto sia direttamente, attraverso il sequestro del 100% delle quote delle società Palace Hotel Meggiorato a.s. e Hotel Terme all’Alba s.r.l., sia per equivalente del loro valore, come sequestro sui crediti verso la società. Il tutto, evidentemente, senza alcuna giustificazione.

Si lamenta, infine, totale assenza di motivazione in merito alle censure svolte in sede di riesame a proposito del sequestro degli immobili che colpiva le società, in quanto autonomi soggetti, dotati – quanto alla s.r.l. Hotel Terme – di autonoma personalità giuridica, e quanto alla Palace Hotel Meggiorato in accomandita semplice, di "autonomia patrimoniale imperfetta", come affermato dallo stesso Tribunale del riesame.

Nel ricorso proposto nell’interesse di S.L., S. N. e B.L. si sottolinea che i predetti, soci della società a responsabilità limitata Hotel Terme all’Alba e della società in accomandita semplice Palace Hotel Meggiorato ( S. L. e B.L. quali soci accomandanti e S.N. quale socia accomandataria), indagati per appropriazione indebita aggravata di fondi delle società pari ad Euro 4.586.291,37 hanno aderito al "condono tombale" per gli anni 1997-2002, con conseguente esclusione di punibilità per i reati tributari. Deriva da ciò che gli importi utilizzati per acquisire il 30 gennaio 2002 la società Hotel Terme all’Alba sarebbero coperti da "condono tombale" pari ad Euro 5.741.981,60. Le somme dei ricorrenti trasferite all’estero, sono state poi fate rientrare attraverso lo "scudo fiscale" di cui al D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis. Tanto premesso, il ricorso rinnova le censure già dedotte in sede di riesame. Si contesta, anzitutto, la sussistenza del fumus relativo al delitto di appropriazione indebita, in quanto difetterebbe il requisito della altruità delle somme, in ragione della conformazione della compagine sociale, nonchè in rapporto al consenso della intera compagine sociale alla distrazione delle somme societarie. Difetterebbe, infine, anche il requisito della ingiustizia del profitto.

Si sottolinea, poi, che, in sede di opposizione al sequestro, è stata prodotta una consulenza tecnica tesa a dimostrare la coincidenza degli importi sottratti alle società con gli importi che sono rientrati nel patrimonio societario, a titolo di fondi di futura capitalizzazione, attraverso una disamina delle varie poste finanziarie effettuata anno per anno. Nessun danno potrebbe dunque derivare ai creditori sociali ed all’erario da versamenti effettuati in conto "futuro aumento di capitale sociale" o da versamenti infruttiferi "in conto capitale", trattandosi di versamenti che la società non dovrà restituire ai soci. Il fine perseguito dagli indagati era dunque soltanto quello di evadere il pagamento delle imposte, con la conseguenza che l’unico reato ravvisabile è quello tributario, nella specie sanato attraverso l’operazione di "scudo" di cui al già citato D.L. n. 78 del 2009, art. 13-bis.

Si deduce, inoltre, la mancanza di vincolo di pertinenzialità tra il reato di appropriazione indebita ed il sequestro di tutte le quote della Palace Hotel Meggiorato s.a.s., in quanto, anche a voler ritenere la che la qualità di socio accomandatario fosse pertinente alla commissione del reato di cui all’art. 646 cod. pen., ciò avrebbe dovuto comportare il sequestro solo della quota di sua pertinenza, pari al 10%, e non il sequestro del 100% delle quote societarie. Assenza di pertinenzialità che si prospetta anche in riferimento alla Hotel Terme all’Alba s.r.l..

Quanto, poi, al sequestro degli immobili e dei crediti vantati dai soci nei confronti delle società, si osserva che non sarebbero state considerate le somme che avevano formato oggetto di "condono tombale" nel 2002 e di "scudo fiscale" nel 2009: il sequestro, disposto per il reato di trasferimento fraudolento di valori attribuito a S. A., doveva essere depurato, nel suo importo di Euro 11.129.000, dell’ammontare del condono tombale, pari ad Euro 5.741.981,60, sanati per gli anni dal 1997 al 2002.

In merito, poi, alla legittima provenienza delle somme, si osserva che S.A. avrebbe acquistato il Palace Hotel Meggiorato negli anni ottanta e quindi in epoca di gran lunga precedente a quella cui si riferiscono i fatti in contestazione. Inoltre, a proposito del sequestro per equivalente disposto a norma dell’art. 64- quater cod. pen., si rileva che gli immobili sono nella disponibilità degli odierni ricorrenti e di una società fiduciaria, nessuno dei quali, però, indagato per il delitto di riciclaggio, ascritto ad altre persone che non vantano alcuna disponibilità sugli immobili in questione. Lo stesso dicasi in rapporto al sequestro degli immobili e dei crediti disposti in relazione alla ipotesi di confisca della L. n. 146 del 2006, ex art. 11, relativa al profitto del delitto di associazione per delinquere transazionale, ascritto a persone diverse dai ricorrenti, ancora una volta nessuno dei quali titolare di crediti verso le società o di disponibilità degli immobili.

Si contesta, altresì, diffusamente, la insussistenza del periculum in mora, tenuto conto che le somme fatte rientrare con lo "scudo fiscale" erano state portate allo scoperto e quindi con una condotta incompatibile con quella di occultarle.

Rievocate, nei termini innanzi riferiti, le doglianze poste a fondamento della richiesta di riesame, il ricorso contesta la fondatezza delle deduzioni svolte nella ordinanza impugnata. Quanto alla altruità delle somme oggetto della appropriazione, si richiama, infatti, la disciplina dettata in tema di imposte dirette, dall’art. 5 del relativo testo unico, dal quale si desume che, ai fini fiscali, la sottrazione di somme alla società equivale ad una appropriazione di somme che di per sè già spettano ai soci. Ciò varrebbe anche con riferimento alla società di capitali Hotel Terme all’Alba, trattandosi di piccola compagine sociale su base familiare. La replica dei giudici a quibus sarebbe, poi, del tutto apparente in ordine al rilievo relativo al consenso dei soci alle operazioni contestate e si denuncia violazione di legge laddove viene assorbito il fine speciale di evasione della imposta nel più generale fine di ingiusto profitto della appropriazione indebita, in tal modo disapplicando le previsioni speciali dettate dal D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5. Sarebbe poi errata la affermazione del Tribunale del riesame laddove reputa sussistente una utilizzazione personale di somme delle società, in quanto i fondi distratti sarebbero stati utilizzati per le società stesse. Non vi sarebbe stato, in particolare, alcun incremento della "qualità patrimoniale dei soci", così come erroneamente desunto da una pronuncia di legittimità pertinente a fattispecie opposta a quella qui in esame. Quanto agli interessi maturati, gli stessi sono accessori delle somme non dichiarate e non sono accessori dei beni personali dei soci.

L’appropriazione deve essere intesa in senso "funzionale", sicchè le somme transitate prima in uscita e poi in entrata, non possono riferirsi – come erroneamente ritenuto dai giudici a quibus – ad un fatto appropriativo già perfezionatosi ed esauritosi con il primo segmento di una condotta funzionalmente unitaria.

Viene prospettata, inoltre, carenza di motivazione circa il nesso di pertinenzialità tra le quote societarie ed il reato di cui all’art. 646 cod. pen. nonchè la mancanza di pericolo attuale in ordine al sequestro della totalità delle quote societarie, senza distinguere tra socio accomandatario e soci accomandanti. Il periculum in mora non sussisterebbe neppure in riferimento al sequestro degli immobili e dei crediti vantati dai soci verso le società, non senza rilevare che il periculum di ripetizione si riferisce a reati in parte già prescritti.

Si contesta, da ultimo, l’assunto dei giudici a quibus secondo il quale il richiamo al condono tombale riferito al sequestro D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12-sexies, sarebbe stato formulato dalla difesa dei ricorrenti in termini generici.

I ricorsi sono fondati in quanto, nella specie, alla luce della ricostruzione dei fatti operata nel provvedimento di sequestro ed alla stregua dei rilievi meramente assertivi, posti a base del provvedimento di riesame oggetto di impugnativa, per asseverare la sussistenza del fumus in ordine alla ravvisabilità del delitto di appropriazione indebita, se ne deve invece escludere la configurabilità, tanto sul piano dei relativi elementi strutturali, che sul versante della punibilità delle condotte ascritte agli indagati, odierni ricorrenti.

Il nucleo della problematica che ruota attorno alla configurabilità del reato in questione, si coglie, infatti, nella tesi esposta a pag.

28 del provvedimento cautelare che, nella specie, è stato del tutto acriticamente recepito dal giudice del riesame, malgrado i puntuali rilievi svolti al riguardo dalla difesa degli indagati. Si sostiene, infatti, in quel provvedimento, che la scelta di esercitare l’impresa sotto forma societaria, a prescindere dalle finalità – di natura imprenditoriale, fiscale o personale, sotto il profilo della diversa responsabilità patrimoniale – che possono aver animato una siffatta opzione, comporta precisi obblighi che impongono il rispetto della autonomia patrimoniale dell’ente – sia esso una società di persone che una società di capitali – "soprattutto a garanzia dei creditori (quali dipendenti e l’Erario)". Anche, dunque, nella ipotesi in cui l’imprenditore si appropri di denaro di pertinenza della società e lo utilizzi come patrimonio personale all’interno della società stessa – ad esempio, si afferma, per effettuare una ricapitalizzazione o costituendo un deposito a garanzia di finanziamenti societari – si verrebbe a determinare, comunque, un impoverimento delle risorse della impresa a favore della qualità patrimoniale dei soci.

Gli assunti, però, evocano profili diversi che presuppongono approcci altrettanto diversificati e, per taluni aspetti, alternativi. Non v’è dubbio, infatti, che la gestione della impresa sotto forma societaria, presupponga la individuazione e la creazione di un centro di imputazione soggettiva distinto dai singoli soci, anche senza che ad esso debba necessariamente corrispondere la attribuzione della personalità giuridica. Anche la società di persone, infatti, come nella specie è avvenuto attraverso la creazione della società in accomandita semplice Palace Hotel Meggiorato – della quale era socia accomandataria S.N. e soci accomandanti S.L., B.L. e S. A. – pur non essendo dotate di personalità giuridica ma soltanto di una autonomia patrimoniale, costituiscono pur sempre un centro di imputazione di situazioni soggettive, di rapporti ed effetti giuridici, in funzione dei quali è possibile l’instaurazione di rapporti giuridici distinti tra società e terzi e, persino, tra società e soci (cfr., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. 3^, n. 196 del 19 gennaio 1973). Una autonomia, d’altra parte, che significativamente coinvolge direttamente l’ente in quanto tale – tanto se fornito di personalità giuridica, che nella ipotesi in cui sia costituito da società o associazioni, anche prive di personalità giuridica – nella responsabilità amministrativa per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio da amministratori o gestori, secondo le linee tracciate dal D.Lgs. n. 231 del 2001.

Ma pur dovendosi, quindi, necessariamente apprezzare la distinguibilità "soggettiva" tra la società e le persone dei singoli soci, nonchè la diversa "titolarità" dei beni che compongono gli autonomi patrimoni, non può essere, da un lato, negletta la evidente correlazione "funzionale" che lega l’attività degli amministratori all’ente, e, dall’altro, individuata solo ed esclusivamente nella società o nei singoli soci – e non certo nei soggetti terzi, ad essa estranei – la potenziale vittima di condotte lato sensu distruttive delle pertinenze patrimoniali ad essa riferibili.

Da qui, già un primo approdo. La tutela del patrimonio e della sua "autonomia", predicata a fondamento della misura applicata, non potrà affatto ritenersi riferibile – come ha ritenuto la ordinanza applicativa – alla salvaguardia degli interessi dei creditori, giacchè così opinando, si trasferisce un modello di garanzia tipicamente costruito per le procedure concorsuali ad una condizione imprenditoriale in bonis, per la quale la società ha la piena disponibilità e libertà di gestione dei propri beni, a prescindere dal merito delle operazioni commerciali che possano determinare, in ipotesi, anche un depauperamento patrimoniale, in sè dannoso sul versante della garanzia generica per gli interessi dei creditori.

D’altra parte, come la condotta illecita degli amministratori può refluire a carico dell’ente sul versante della responsabilità amministrativa di cui al già citato D.Lgs. n. 231 del 2001, ove i reati siano stati commessi nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio, è al tempo stesso dirimente, per ciò che qui interessa, il rilievo che la condotta rivolta a fini che si rivelino favorevoli all’ente stesso (pur se realizzata attraverso modalità in sè contra ius), non può integrare la fattispecie delittuosa appropriativa ipotizzata a carico degli odierni ricorrenti. La giurisprudenza di questa Corte, infatti, ha avuto modo di puntualizzare che anche la eventuale creazione di riserve occulte e la utilizzazione extrabilancio di fondi sociali non sono condotte di per sè sufficienti ad integrare il delitto di appropriazione indebita, dovendosi escludere che possa essere qualificata come distrattiva, e tantomeno come appropriativa, una erogazione di denaro che, pur compiuta in violazione delle norme organizzative della società, risponda ad un interesse riconducibile anche indirettamente all’oggetto sociale. Per aversi appropriazione è infatti necessaria una condotta che non risulti giustificata o giustificabile come pertinente alla azione o all’interesse della società, in quanto può accadere che una persona giuridica, attraverso i suoi organi, persegua i propri scopi con mezzi illeciti, senza che ciò comporti di per sè la interruzione del rapporto organico. D’altra parte, la imputabilità alle società e, più in generale, alle persone giuridiche, di comportamenti anche illeciti di soggetti a esse legati da un rapporto organico, purchè non dettati da scopi puramente personali, è indiscussa nella giurisprudenza e nella dottrina civili, quale presupposto, ad esempio, della diretta responsabilità civile dello Stato per i comportamenti illeciti dei pubblici dipendenti. Da ciò si è tratto spunto per affermare che nè il versamento dei fondi extrabilancio su conti non formalmente riconducibili alla società, nè la destinazione di tali fondi al perseguimento con mezzi illeciti degli interessi sociali, ad esempio – si è affermato – con le erogazioni di finanziamenti illegali a partiti politici o a giornalisti – integrino gli estremi della appropriazione indebita. Il che, come è evidente, non può non valere anche per le ipotesi di estero vestizione di quote o di sottrazione di utili con relativo accantonamento su conti fiduciari, ove il tutto risulti finalizzato a sottrarre – come appare essersi pacificamente realizzato nella vicenda in esame – le relative attività al controllo della gestione valutaria ed agli oneri fiscali, (v., sul tema, Cass., Sez. 5^, 12 marzo 2010, Riccio; Cass., Sez. 5^, 21 gennaio 1998, Cusani; Cass., Sez. 5^, 13 giugno 1998, Altissimo).

Per altro verso, la circostanza che l’appropriazione debba essere riguardata come vicenda tutta "interna" alla società – con esclusione, dunque, di qualsiasi risalto, quali potenziali "vittime" della condotta appropriativa, di terzi o creditori, come invece erroneamente ritenuto nel provvedimento di sequestro – con la conseguenza, dunque, che il fatto deve essere realizzato in danno della società stessa o dei soci, è circostanza resa particolarmente evidente dalla "contiguità" che tale condotta appropriativa presenta rispetto alla figura della infedeltà patrimoniale, di cui all’art. 2634 cod. civ. come risultante a seguito della riforma introdotta dal D.Lgs. n. 61 del 2002. Come è noto, infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che le norme incriminatrici della infedeltà patrimoniale, di cui al richiamato art. 2634 cod. civ., e della appropriazione indebita di cui all’art. 646 cod. pen., sono fattispecie legate fra loro da un rapporto di specialità reciproca. La infedeltà patrimoniale, tipizza, infatti, la necessaria relazione tra un preesistente conflitto di interessi, con i caratteri della attualità e della obiettiva valutabilità, e le finalità di profitto o altro vantaggio dell’atto di disposizione, finalità che si qualificano in termini di ingiustizia per la proiezione soggettiva del preesistente conflitto. L’appropriazione indebita presenta, a sua volta, caratteri di specialità, per la natura del bene (denaro o cosa mobile), che solo ne può essere oggetto, e per l’irrilevanza del perseguimento di un semplice "vantaggio" in luogo del "profitto". L’ambito di interferenza tra le due fattispecie, si è anche sottolineato, è dato, dunque, dalla comunanza dell’elemento costitutivo della deminutio patrimonii e dell’ingiusto profitto, ma esse differiscono per l’assenza nella appropriazione indebita di un preesistente ed autonomo conflitto di interessi, che invece connota la infedeltà patrimoniale (Cass., Sez. 2^, 27 marzo 2008, Baruffaldi; Cass., Sez. 2^, 26 ottobre 2005, Francis; Cass., Sez. 1^, 24 giugno 2004, Bisignani; Cass., Sez. 5^, 23 giugno 2003, p.m. in proc. Sama ed altro).

Altrettanto dirimente è anche l’ulteriore profilo rappresentato dal necessario coinvolgimento della "volontà" dell’ente, agli effetti della ravvisabilità, sia pure in astratto, di una condotta appropriativi che si realizzi in suo danno. In tema di appropriazione indebita, infatti, deve ritenersi non controvertibile l’assunto secondo il quale non può ontologicamente ritenersi sussistente il requisito del profitto ingiusto, richiesto per la integrazione del reato, quanto sia realizzata in accordo con la volontà del titolare dei beni che sono oggetto della condotta (Cass. sez. 5^, 5 marzo 1993, Szewezyk). Ebbene, nella vicenda de qua, appare del tutto pacifico che le diverse operazioni attraverso le quali si sarebbe realizzata la condotta in ipotesi appropriativi, sono state realizzate, non soltanto nella piena consapevolezza dei rappresentanti legali delle società coinvolte e con il loro benestare e diretta condotta partecipativa, ma anche nel quadro di una totale convergenza di volontà ed interessi tra i diversi componenti "soggettivi" delle compagini associative, attestata dalla contestazione ai medesimi soggetti a titolo concorsuale dei fatti di appropriazione oggetto della contestazione provvisoria.

Non sussistendo, dunque, la ravvisabilità, nella specie, del reato "presupposto" di appropriazione indebita, cade, eo ipso, anche la correlata ipotesi di riciclaggio e l’altrettanto correlata ipotesi di trasferimento fraudolento di valori, che hanno sostenuto le varie forme di sequestro preventivo, diretto o per equivalente, disposte con il provvedimento oggetto di riesame. Restano ovviamente assorbite tutte le altre doglianze prospettate dai ricorrenti. Pertanto, sia l’ordinanza impugnata, sia il decreto di sequestro scrutinato in sede di riesame, devono essere annullati senza rinvio, con l’adozione delle determinazioni consequenziali in punto di restituzione dei beni agli aventi diritto.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e il decreto di sequestro emesso il 20 ottobre 2010 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma. Dispone la restituzione dei beni sequestrati agli aventi diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 c.p.p..

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