Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-05-2011) 20-05-2011, n. 20118

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Lecce, in funzione di giudice del riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., decidendo a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, che aveva annullato la precedente ordinanza del medesimo Tribunale – confermativa dell’ordinanza impositiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di D.D. in ordine al reato di cui all’art. 56 c.p. – all’art. 629 c.p., comma 10 e art. 2 c.p. – D.L. n. 152 del 1991, art. 7 – limitatamente alla contestazione dell’aggravante ex art. 7 D.L. cit. sia sotto il profilo del metodo mafioso, che di quello della finalità di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa, annullava la menzionata ordinanza genetica limitatamente al secondo profilo dell’aggravante contestata, confermando la medesima aggravante sotto il primo profilo.

Contro tale decisione ricorre il P.M. Distrettuale, il quale nell’unico motivo a sostegno della richiesta di annullamento denuncia la violazione dell’art. 627 c.p., comma 3 e il vizio di motivazione, sostenendo che il Tribunale si era discostato dalla direttiva del Supremo Collegio, secondo la quale due dovevano essere gli elementi da prendere in considerazione ai fini della valutazione dell’aggravante sotto il secondo profilo, e precisamente le dichiarazioni delle persone offese, sufficienti già di per sè a dimostrare la finalità di agevolazione dell’attività del sodalizio mafioso e la utilizzazione di tali dichiarazioni, anche quale riscontro alle dichiarazioni accusatorie del collaboratore di giustizia P.G.. Al contrario il giudice del riesame si era limitato a rilevare da un lato la mancanza di riscontro alle accuse del pentito, senza tenere conto delle dichiarazioni delle persone offese anzidette e dall’altro che nulla induceva a ritenere che l’amico latitante al quale l’indagato intendeva prestare aiuto appartenesse al sodalizio mafioso, senza contare che non era affatto necessaria una specifica indicazione in tali sensi da parte del cautelato, ed in tal modo incorrendo nella violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3.

Il ricorso è inammissibile per difetto di interesse.

"Ed invero il ricorso per cassazione del P.M. diretto ad ottenere l’esatta applicazione della legge processuale, deve essere caratterizzato dalla concretezza e attualità dell’interesse, da verificare in relazione alla idoneità dell’impugnazione a rimuovere gli effetti, che si assumono pregiudizievoli (Cass. Sez. Un. 25/6 – 17/7/2009 n. 29529 Rv. 244110).

Nella fattispecie in esame tale interesse è vanificato dalla considerazione che la contestazione dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 è stato riconosciuto sussistente sia pure sotto il profilo del metodo mafioso posto in essere nella condotta criminosa contestata al D.D..
P.Q.M.

Dichiara la inammissibilità del ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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