Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-05-2011) 20-05-2011, n. 20117

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.T. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ ordinanza 21 febbraio 2011 del Tribunale di Messina (che ha rigettato l’istanza di riesame contro l’ordinanza di custodia cautelare in carcere 2 febbraio 2011 del G.I.P. del Tribunale di Patti, per il reato di cui all’art. 572 cod. pen. aggravato ex art. 61, n. 5, in danno della figlia M.M., disabile con ritardo cognitivo medio grave), deducendo vizi e violazioni nella motivazione della decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.
Motivi della decisione

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, in quanto il provvedimento del Tribunale del riesame, quale comunicato alla parte privata, pur munito della indicazione di deposito sottoscritta dall’ausiliario, è privo della data dell’avvenuto adempimento di detta formalità essenziale.

Il motivo è palesemente infondato.

Infatti, nell’originale del provvedimento, a disposizione della Corte di legittimità, l’atto risulta depositato il 22 febbraio 2011, giusta inequivoca attestazione del "cancelliere B3 dr.ssa L. M.C.".

In ogni caso è pacifico che l’ordinanza del Tribunale del riesame è stata comunicata alla parte il giorno 1 marzo 2011 ed è stata ritualmente impugnata dall’interessata.

Nessun problema reale quindi circa la data certa del provvedimento, non assunto in udienza dal giudice, posto che nell’originale dell’atto è stata apposta l’attestazione completa della data, da parte della cancelleria, al momento del deposito del provvedimento e la mancanza di certificazione della data stessa, da parte del segretario dell’ufficio, nella sola copia notificata, risulta priva di rilievo, avendo la parte tempestivamente esercitato i suoi poteri – doveri difensivi. Qui, comunque, ribadita la regola che il provvedimento emesso fuori dell’udienza, quand’anche privo della data di deposito, non è nè inesistente nè nullo, perchè la data è elemento estrinseco al provvedimento, previsto ai fini dell’efficacia, e serve a fissare il momento di inizio della sua rilevanza esterna.

Nella specie quindi la materiale omissione da parte dell’ausiliario, che pur ha apposto, in calce all’originale del provvedimento che ha sottoscritto, il relativo timbro di deposito, completo di data, ma ha omesso di indicare l’indicazione del giorno – mese – anno nella sola copia, portata a conoscenza della parte privata, è nella vicenda priva di rilievo, tenuto conto che l’imputata ed il suo difensore hanno comunque potuto utilmente e tempestivamente proporre impugnazione, con conseguente sanatoria di ogni irregolarità relativa all’ordinanza impugnata, essendo stati i relativi motivi presentati ritualmente.

Con un secondo e terzo motivo si prospetta vizio di motivazione per mancata risposta alle censure ed alle deduzioni difensive, che erano state formulate all’atto del riesame.

In particolare si lamenta che nella valutazione dei dati indiziari non si sia apprezzata: a) la disabilità mentale della teste persona offesa, M.M.L.; b) l’assenza di tracce corporee di maltrattamento e della deposizione sul punto del Dott. C.;

dell’amico di famiglia R.R.C.; della vicina di casa G.P.; di P.P.; c) la versione della G.P. circa l’inesistente stato di segregazione della donna; d) la necessità assoluta della presenza fattiva della madre indagata nell’accudimento quotidiano della figlia.

Con un quarto motivo (erroneamente indicato come "3") si evidenzia manifesta illogicità della motivazione sui rapporti dell’accusata con le altre due figlie C. e A., trascurando le diverse indicazioni risultanti dalla deposizione del teste R. e lo stato di esasperazione giudiziaria dovute alle liti della figlia C. con la madre. Inoltre si duole la ricorrente che non si sia considerata la sua fisica impossibilità di "malmenare la figlia, trentacinquenne" avuto riguardo alla sua ridotta funzionalità motoria.

I motivi secondo, terzo e quarto sono inammissibili in quanto essi prospettano alla Corte di legittimità un giudizio – critico ed alternativo – sulle considerazioni e valutazioni dei giudici cautelari, le quali risultano peraltro ottenute nel rigoroso rispetto di una ragionevole lettura della realtà (secondo massime di comune esperienza ed in relazione al l’id quod plerumque accidit), nonchè delle norme stabilite in punto di formazione e peso del materiale d’accusa, idoneo a fondare l’ordinanza di custodia cautelare e la sua funzionale ed esclusiva adeguatezza in punto di tutela delle ragioni della collettività.

L’argomentazione del provvedimento impugnato risulta infatti sui punti lamentati priva di incoerenze o salti logici, apprezzabili ed idonei ad invalidare il costrutto delle argomentazioni cautelari, tali non potendosi considerare le diverse conclusioni e considerazioni più volte prospettate nel ricorso le quali finiscono con delineare una diversa e più favorevole interpretazione dei dati processuali (testimonianze: C., R., P., Ge. e G.), peraltro non praticabile in sede di legittimità e tanto meno con esiti di annullamento della pronuncia gravata, la quale ha fondato la sua pronuncia valutando attentamente lo stato di mente della persona offesa ed individuando elementi di riscontro nelle asserzioni delle sorelle e nelle altre risultanze processuali.

Con un ultimo motivo si prospetta ancora vizio di motivazione in ordine alla possibilità di una reiterazione dell’illecito.

Il motivo è palesemente infondato riguardo alla precisa ed argomentata giustificazione proposta nell’ordinanza impugnata la quale ha ampiamente ed in modo incensurabile spiegato l’impraticabilità di misure più attenuate di quella in atto.

Il ricorso, nella verificata coerenza logico-giuridica ed adeguatezza della motivazione, quale proposta nella decisione impugnata, va dichiarato inammissibile.

All’inammissibilità del ricorso stesso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare in Euro 1000,00 (mille/00).
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente ai pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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