Cons. Stato Sez. IV, Sent., 20-05-2011, n. 3027 Sospensione dei lavori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Comune di Roma ha rilasciato alla società appellante la concessione edilizia n. 2207C del 30 dicembre 1991, per la realizzazione di una palazzina.

Successivamente, il Comune di Roma ha emesso:

– un provvedimento di sospensione dei lavori in data 1° giugno 1992 (impugnato dalla società con il ricorso n. 3865 del 1992, proposto al TAR per il Lazio, che con l’ordinanza n. 1649 del 1992 ha sospeso l’efficacia del provvedimento);

– un provvedimento di sospensione dei lavori in data 15 luglio 1992, n. 259 (impugnato con il ricorso n. 3864 del 1992, proposto innanzi allo stesso TAR, che con l’ordinanza n. 1648 del 1992 ha accolto la domanda cautelare);

– un provvedimento di sospensione dei lavori in data 27 agosto 1992, n. 261, e un provvedimento contingibile ed urgente di sospensione dei lavori per ragioni di ordine pubblico di data 20 ottobre 1992, n. 263 (impugnato con il ricorso n. 475892, cui è seguita l’ordinanza di accoglimento della domanda cautelare n. 1824 del 1992);

– un provvedimento di sospensione dei lavori in data 26 novembre 1992, n. 266 (impugnato col ricorso n. 6046 del 1992, cui è seguita l’ordinanza di accoglimento della domanda cautelare n. 142 del 1993).

Con la delibera n. 332 del 18 dicembre 1992, adottata a norma dell’art. 1 della legge n. 1 del 1978, il consiglio comunale ha poi approvato il "progetto Belvederè per la realizzazione di opere pubbliche in via dell’Assunzione e incidenti sul suolo per il quale era stata rilasciata la concessione edilizia del 30 dicembre 1991.

Col ricorso n. 4372 del 1993, anche tale delibera è stata impugnata innanzi al TAR per il Lazio (che, con l’ordinanza n. 1210 del 1993, ha respinto la domanda cautelare).

Dopo la misura soprassessoria n. 185 del 29 gennaio 1993, emessa dal presidente della giunta regionale del Lazio avente ad oggetto i lavori assentiti con la citata concessione edilizia, la stessa giunta regionale ha approvato l’anzidetta variante al pianto regolatore con la delibera n. 3077 del 16 maggio 1994.

E’ stato conseguentemente attivato il procedimento espropriativo (con la delibera della giunta comunale n. 3442 del 17111995); è stata indetta la gara per la realizzazione dei lavori (v. la delibera della giunta comunale n. 1187 del 12 aprile 1996); è stata fissata l’indennità provvisoria dell’esproprio (con l’ordinanza sindacale n. 253 del 17 novembre 2000).

Tali atti sono stati a loro volta impugnati con motivi aggiunti nel giudizio n. 4372 del 1993.

Con la sentenza gravata n. 7426 del 2003, il TAR per il Lazio, riuniti tutti i predetti ricorsi, ha dichiarato improcedibili quelli proposti contro gli atti di sospensione della concessione edilizia e dei relativi lavori; ha respinto il ricorso promosso contro i provvedimenti con i quali è stata adottata hanno approvato la variante urbanistica e quelli concernenti l’attivazione del procedimento espropriativo; ha respinto,infine, la domanda di risarcimento del danno (formulata in occasione della impugnazione degli atti che hanno precluso la costruzione della palazzina).

Con l’appello in esame, è lamentata la manifesta erroneità della sentenza gravata, sia per ragioni processuali che sostanziali.

In particolare viene dedotto che il TAR non avrebbe potuto dichiarare improcedibili i ricorsi proposti contro gli atti con i quali il Comune, attraverso la loro preordinazione temporale, ha sostanzialmente impedito la realizzazione dei lavori assentiti con la concessione edilizia del 30 dicembre 1991; semmai,aggiunge l’appellante, doveva disporsene l’annullamento, con le relative conseguenze in ordine all’accoglimento della domanda di risarcimento del danno.

Con l’atto d’appello viene inoltre dedotto che i lavori furono inoltre impediti:

– da comportamenti materiali, aventi rilevanza penale e comunque di per sé illeciti, posti in essere da abitanti della zona in assenza di attività di polizia volte al mantenimento della legalità;

– dai provvedimenti comunali impugnati in primo grado, che si sono basati sulle proteste e sui comportamenti materiali degli abitanti della zona, e non su effettive ragioni di interesse pubblico.

L’appello – nel riproporre le censure di primo grado e nel contestare le statuizioni di rigetto della sentenza gravata – si conclude con la domanda di accoglimento dei ricorsi originari e dei relativi motivi aggiunti, con conseguente accoglimento della domanda di risarcimento di tutti i danni subiti.

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio chiedendo che l’appello venga respinto, ritenendo la sentenza gravata integralmente conforme alle regole di diritto di cui doveva farsi applicazione.

All’udienza del 9 aprile 2010 la causa è stata trattenuta in decisione e con sentenza parziale n.4092 del 2010, la Sezione, anzitutto ha ritenuto la tempestività del gravame;ha inoltre ritenuto necessario che si procedesse, ai fini della verifica della statuizione di sostanziale rigetto della domanda risarcitoria recata nella sentenza appellata, ad acquisire "una documentata relazione, dalla quale emergano le circostanze e le ragioni che hanno indotto il Comune di Roma ad emanare i provvedimenti di sospensione dei lavori della palazzina in questione".

La nuova udienza di discussione è stata fissata per 14 dicembre 2010.

In data 8 settembre 2010 il Comune di Roma in adempimento della suddetta richiesta istruttoria ha depositato la nota del IX° Dipartimento n.53980.

Parte appellante ha depositato memoria.

Il Comune di Roma successivamente a tale adempimento non ha depositato scritti difensivi.

All’udienza del 14 dicembre 2010 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione e con la sentenza n.608/2011, la Sezione, ai fini del compiuto esame della domanda risarcitoria dispiegata da parte appellante, ha chiesto all’Agenzia del Territorio di Roma di trasmettere una nota nella quale doveva essere indicato il valore di mercato, con riferimento agli anni 1992 e 1993, sia del terreno di proprietà della società appellante assoggettato ad espropriazione dal Comune di Roma con gli atti contestati in questa sede (foglio 356 part.lle 63,64,65) che delle altre particelle ad esso adiacenti, anch’esse di proprietà della medesima società appellante.

A tale richiesta L’Agenzia non ha dato risposta.

La causa è stata nuovamente chiamata all’udienza del 12 aprile 2011, e su richiesta delle parti trattenuta in decisione.

Nel giudizio in esame è controversa la legittimità dei provvedimenti con cui il Comune di Roma, dopo aver rilasciato alla Società appellante la concessione edilizia n. 2207C del 30 dicembre 1991di data 30 dicembre 1991 concernente la realizzazione di una palazzina a due piani, ha dapprima emanato una serie di provvedimenti di sospensione della concessione prima, e dell’inizio dei lavori poi, e successivamente, secondo un disegno preordinato sin dall’inizio a tal fine, ha adottato una variante allo strumento urbanistico ex l.n.1/78, seguita dalla approvazione regionale, nonchè dai conseguenti provvedimenti d’occupazione d’urgenza e d" espropriazione finalizzati alla realizzazione dell’opera pubblica raffigurata nel progetto "Belvedereparco attrezzato"

A fronte di quanto sopra la società appellante ha proposto nel 1992 i ricorsi di primo grado avverso i provvedimenti che hanno sospeso i lavori di realizzazione della palazzina e nel 1993 ha impugnato (con ricorso seguito da motivi aggiunti) i provvedimenti di natura urbanistica e quelli successivi del procedimento d’occupazione d’urgenza delle aree di sua proprietà ed del procedimento espropriativo.

La società ha inoltre chiesto che il Comune di Roma venga condannato a risarcire i danni ad essa causati con un comportamento gravemente illegittimo, testimoniato non soltanto dai singoli atti impugnati ma soprattutto dal comportamento complessivo a cui l’adozione dei detti atti è stato funzionale, con il risultato di impedire la realizzazione della palazzina a suo tempo assentita a beneficio della realizzazione del detto "Belvedereparco attrezzato"

Con la sentenza impugnata n. 7426 del 2003, il TAR per il Lazio ha dichiarato improcedibili i ricorsi proposti contro gli atti di sospensione dell’concessione edilizia e dei lavori; ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti proposti contro la variante allo strumento urbanistico e i conseguenti atti ablatori ed ha altresì respinto la domanda risarcitoria.

Con l’appello in esame, è dedotto che – contrariamente a quanto statuito dal TAR – i ricorsi di primo grado sono tutti procedibili e fondati, anche nella parte in cui è stata chiesta la condanna al risarcimento del danno.

Ad avviso del collegio, come già anticipato nella sentenza istruttoria n.608/2011 l’appello è fondato.

E’ premessa essenziale di tale esito la indiscussa circostanza che l’opera pubblica consistente nella esecuzione del "progetto Belvedereparco attrezzato" è stata realizzata dal Comune di Roma in via dell’Assunzione (anche) sul terreno di proprietà della Società appellante per il quale era stata rilasciata la concessione edilizia n.2207/C del 30 dicembre 1991.

In relazione a tale sopravvenuta destinazione pubblica del terreno di sua proprietà la Società appellante chiede ora la declaratoria dell’illegittimità dei provvedimenti con il quali il Comune di Roma ha ad essa impedito di realizzare il progetto assentito, al fine di ottenere la condanna dell’Amministrazione comunale ha risarcimento del danno subiti avendo perduto il diritto di edificare come conseguenza della mancata utilizzazione del titolo concessorio

In tale prospettiva l’esame dei provvedimenti impugnati deve quindi essere effettuato astraendo dall’interesse di parte appellante ad ottenere la decisione di annullamento dei provvedimenti impugnati che evidentemente non sussiste più essendo stata ormai realizzata l’opera pubblica, ma analizzando al tempo stesso se attraverso gli atti adottati ritenuti illegittimi, il Comune ha colpevolmente tenuto una condotta illecita che si è rivelata fonte di danno ingiusto a carico della Società appellante.

Il primo giudice ha dichiarato improcedibili per carenza sopravvenuta di interesse i quattro ricorsi (nn.3865/92;3864/92;4758/92;6046/92) con i quali la società appellante ha impugnato le ordinanze del 1992 con i quali il Comune di Roma ordinando la sospensione della concessione edilizia prima e dell’inizio dei lavori poi, ha sistematicamente impedito alla società appellante di eseguire il progetto per la costruzione di un villino bifamiliare assentito con l’anzidetta concessione edilizia.

La dichiarazione d’improcedibilità dei ricorsi viene motivata con la circostanza che nelle more dei giudizi l’Amministrazione comunale ha adottato i provvedimenti del procedimento espropriativo (che parte appellante in primo grado ha impugnato con ricorso n.4372/1993 e con successivi motivi aggiunti) ai quali è seguita la realizzazione dell’opera pubblica (Belvedere e parco attrezzato in via dell’Assunzione) utilizzando proprio l’area di propriètà della società ricorrente ed oggi appellante, interessata dalla concessione edilizia n.2207/C società.

Di conseguenza a giudizio del primo giudice "nessun vantaggio riceverebbe la stessa, pertanto, dall’eventuale annullamento delle ordinanze di sospensione".

Ora, prescindendo dalla condivisibilità, in relazione alla domanda risarcitoria proposta, del narrato esito di rito con cui sono stati definiti i ricorsi proposti dalla Società appellante contro le ordinanze di sospensione impugnate, rileva affermare che quest’ultime a giudizio del collegio erano palesemente illegittime sotto molteplici profili.

E ciò per la ragione che tali provvedimenti hanno avuto ad oggetto anche prima direttamente poi indirettamente, la stessa concessione edilizia. n.2207/C del 30 dicembre 1991, incidendo su di essa a tempo indeterminato si sono risolti in un potere provvedimentale il cui esercizio non è supportato da alcuna norma, tenendo presente che l’autorità amministrativa ove ne sussistano i presupposti, può ricorrere soltanto, ma si tratta di ben diversa ipotesi, al potere di autotutela esercitato attraverso l’annullamento e la revoca. del provvedimento che la stessa abbia già adottato e che si riveli ab origine illegittimo ovvero non più rispondente agli interessi pubblici.

Né, come giustamente osservato dalla società in primo grado " si può sospendere a tempo indeterminato con le reiterate ordinanze una concessione edilizia in attesa di una futura ed incerta adozione di una variante al P.R.G.", che in effetti è apparsa l’unica ed effettiva ragione per la quale i provvedimenti di sospensione sono stati adottati.

A tal proposito è giunto il momento di evidenziare che dall’esame degli atti tale finalità appare collegata alle forti sollecitazioni degli abitanti della zona che il Comune di Roma ha ritenuto di far proprie con le modalità che si sono espresse attraverso l’adozione degli atti oggetto del presente giudizio

In relazione a quest’ultimo profilo dell’illegittimità dedotte va sinteticamente ricordato che la società appellante ha contestato (ric.n. 4372/93;) la realizzazione dell’opera pubblica anzidetta impugnando gli atti del procedimento d’occupazione d’urgenza e del procedimento espropriativo, nonché di altri atti con quest’ultimi strumentalmente connessi..

Primo tra tutti il decreto del Presidente della Giunta Regionale del Lazio con il quale è stata disposta nuovamente la sospensione dei lavori relativi alla citata concessione edilizia n.2207/C del 1991, la cui impugnazione è stata dal giudice di primo grado dichiarata improcedibile per carenza d’interesse nella considerazione che alcun vantaggio la parte ricorrente avrebbe potuto ricavare dal suo annullamento essendo i lavori della palazzina comunque impediti dalle anzidette precedenti ordinanze di sospensione della medesima concessione edilizia prima e dei relativi lavori poi.

Si ricava dal testo che tale decreto regionale che esso è sorretto sull’art.1 della legge 3 novembre 1952 n.1902 e sull’art.5 della l.r. 6 luglio 1977 n.24.

In base a tali disposizioni, a richiesta del sindaco e per il periodo occorrente per l’approvazione dello strumento urbanistico già adottato, il Presidente della Giunta regionale, "con provvedimento motivato da notificare all’ interessato, può ordinare la sospensione dei lavori di trasformazione delle proprietà private che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l’ attuazione del piano".

Senonchè nel provvedimento impugnato l’autorità regionale non ha affermato altro se non che "i lavori relativi alla concessione edilizia in atto compromettono e rendono più onerosa l’attuazione della variante", limitandosi in questo modo ad esprimere una sostanziale riproduzione della parte finale del testo della norma di cui ha inteso avvalersi, eludendo in questo modo il dovere di motivare, pur chiaramente espresso richiamata, e che avrebbe imposto di indicare in modo specifico, raffrontando l’interesse privato con l’interesse pubblico, per ricavarne le ragioni della sospensione dei lavori connessi alla concessione edilizia in rapporto al contenuto del piano adottato.

Il difetto di motivazione che determina l’illegittimità dell’esaminato decreto sussiste anche nei riguardo della variante adottata dal Comune con l’antecedente deliberazione consiliare n.332 del 18 dicembre 1992 contenente adozione ex comma IV° legge n. del 1978 del progetto "Belvedere.parco pubblico attrezzato" costituente variante al P.R.G. da zona N1 ed F1 a zona N e "strade locali o di quartiere".

Ad avviso del giudice di prime cure non sussiste il difetto di motivazione dedotto dalla Società in considerazione della indiscussa prevalenza della pianificazione rispetto agli interessi privati che vengono sacrificati anche quando quest’ultimi hanno trovato qualificato riconoscimento nel rilascio della concessione edilizia.

E tanto più tale prevalenza sarebbe stata giustificata nella fattispecie poichè la pianificazione perseguiva il fine di reperire spazi verdi di cui la zona interessata era carente.

Ora è vero che il primo giudice non ha ignorato che la variante impugnata dovesse motivare sul profilo concernente la compatibilità delle sue finalità con la concessione edilizia rilasciata alla società appellante circa un anno prima, ben consapevole che l’Amministrazione in sede di pianificazione non può sacrificare immotivatamente interessi privati da essa stessa già riconosciuti. con il conferimento di una posizione qualificata.

Tuttavia dell’adempimento di tale dovere di motivazione non v’è assolutamente traccia negli atti che riguardano l’adozione della variante in esame, né a tale omissione pone riparo l’isolata citazione della detta concessione edilizia nella relazione tecnica a sua volta richiamata nella parte iniziale della deliberazione con la quale è stato approvato il progetto dell’opera pubblica,(delib.n.332/1992)

Per ritenere assolto, invero, il dovere di motivare del quale si sta discutendo, il Comune avrebbe dovuto esplicitare le ragioni sopravvenute a sorreggere la scelta effettuata, anche in relazione all’incompatibilità dell’intervento già assentito con la finalità pubblica perseguita attraverso il progetto "Belvedereparco attrezzato", soprattutto se si considera che quest’ultimo non era affatto di rilevanti dimensioni essendo relativo ad un’area inferiore a 1000,00 mq. ed inoltre altre aree a confine di esso, secondo quanto dedotto dall’appellante e non contestato dal Comune, erano disponibili nonché pienamente compatibili con le veduta finalità.

Con i motivi aggiunti al ricorso n.4372/1993, poc’anzi esaminato, la società ricorrente ha impugnato; deliberazione della Giunta Comunale n. 3442 del 17.11.1995, con la quale l’ente ha disposto "l’asservimento ed espropriazione degli immobili siti nel Comune di Roma e necessari per la costruzione di un "Belvedere" a via dell’Assunzione con sistemazione alle pendici verso via M. Battistini a parco attrezzato";la delibera della Giunta regionale n. 3077 del 16.4.1994, con la quale la Regione ha approvato la variante urbanistica adottata dal Comune di Roma con delibera di C.c. n. 332 del 18.12.1992; la delibera di G.C.n.1187 del 12.4.1996 con cui con cui è stato nuovamente

approvato il progetto ed è stata indetta la gara per la realizzazione del primo lotto dei lavori relativi alla predetto progetto di opera pubblica; ulteriori atti intermedi e l’ordinanza del Sindaco n. 253 del 17.11.2000 con la quale viene stabilita l’indennità provvisoria di esproprio.

L’impugnazione è stata proposta deducendo oltre che profili d’illegittimità per vizi propri anche l’illegittimità per vizi derivati dagli atti impugnati con il ricorso principale.

Ne deriva che l’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati con il ricorso principale determina anche l’illegittimità in via derivata degli atti impugnati con i motivi aggiunti.

In accoglimento del gravame deve di conseguenza essere integralmente riformata la sentenza di primo grado.

Traendo ora le conseguenze da quanto fin ora argomentato in ordine alla condotta illegittima del Comune di Roma e ancorchè in minima parte della Regione Lazio, il collegio ritiene che la vicenda esaminata con ogni evidenza pone in luce una insistita iniziativa del Comune di Roma che con una serie di atti illegittimi ha inteso impedire che il villino bifamiliare da esso stesso assentito con la concessione edilizia rilasciata alla Società appellante venisse ad esistenza.

In tale situazione, non sembra si possa dubitare che la società ricorrente possa aver subito un danno che conseguenza di un comportamento colpevole dell’Amministrazione comunale

E ciò emerge al di là degli atti illegittimamente adottati avendo essa agito con palese disconoscimento di norme fondamentali dell’attività amministrativa quando incide si posizioni di interesse qualificato. come interpretate dalla risalente quanto univoca giurisprudenza del giudice amministrativo in tema di attività provvedimentale e da cui discende, nella fattispecie, il sacrificio ingiusto della legittima aspettativa di chi è titolare titolarità d una concessione edilizia.

Nella fattispecie sono quindi presenti le condizioni per procedere all’esame della domanda risarcitoria di parte appellante, dovendosi ravvisare la colpa dell’amministrazione per l’inescusabilità della condotta tenuta dal Comune.

Non essendo però sufficiente l’illegittimità dei provvedimenti adottati e la colpa dell’amministrazione(T.A.R Lazio Sez. II 3 maggio 2011 n.3766) deve ora essere esaminato il tema dei vari profili di danno che la Società appellante assume d’aver subito e di cui essa chiede il risarcimento.

Sotto tale profilo la parte danneggiata in base al principi discendente dall’art.2697 c.c. è tenuta a fornire una prova specifica.(Cons. Stato, Sez. IV, 27112010 n.8253)

In tal ambito il collegio ritiene che la domanda risarcitoria in esame non possa essere integralmente accolta recando richieste che non tengono conto del concreto svolgimento della vicenda che ha caratterizzato la fattispecie.

In tal ottica, invero, va tenuto distinto il periodo durante il quale alla società è stato impedito di realizzare il villino bifamiliare come pur avrebbe potuto in forza della concessione edilizia, dal periodo, ad esso successivo, in cui ha effettivamente perduto l’area sulla quale tale manufatto sarebbe stato realizzato se non fosse intervenuta l’ occupazione d’urgenza, prima e l’ espropriazione,poi.

Tanto chiarito va collegata con il primo periodo la parte della domanda risarcitoria in esame riguardante sia la restituzione degli oneri concessori corrisposti al momento del rilascio della concessione edilizia n.2207//1991 sia la perdita dello jus aedificandi per l’impedimento illegittimo opposto alla realizzazione del villino bifamiliare.

Il collegio ritiene certamente fondata la richiesta di restituzione della somma corrisposta al Comune di Roma per gli oneri concessori, essendo somma che alla luce di quanto verificatosi è più propriamente qualificabile come indebito oggettivo che come debito di valore.

Il pagamento effettuato per ottenere la concessione edilizia seppure dovuto nel momento del rilascio di quest’ultima essendone la condizione, s’è trasformato, dal lato del Comune, per quanto già considerato, in riscossione senza titolo di una somma che quest’ultimo è tenuto a restituire a mente dell’art.2033 con decorrenza degli interessi dalla data della domanda non potendo ritenersi la sua mala fede al momento della riscossione stessa.

Deve invece essere respinta la domanda risarcitoria connessa con la perdita dello jus aedificandi che parte appellante riconduce al "valore economico della palazzina, dedotti i costi di costruzione, precisando che quest’ultimi sono "di facile stima sulla base del progetto approvato".

Ed invero in relazione a tale domanda parte appellante si sottrae del tutto all’onere di provare fatti che pure, in relazione al valore economico della palazzina, sono nella sua piena possibilità di rappresentare, eventualmente attraverso propria consulenza tecnica, e che, peraltro, non possono essere desunti automaticamente né dal progetto assentito.nè dalla titolarità della concessione edilizia n.2207/C/1991, quest’ultima essendo un condizione giuridica strumentalmente collegata ma comunque affatto diversa dal "valore economico" di cui qui viene richiesto il risarcimento,

D’altra parte se è vero che la titolarità della concessione edilizia ha un valore di mercato, di questo non solo non è data la prova ma neppure v’è domanda in questo giudizio.

La domanda risarcitoria nella parte in cui è correlata alla perdita del valore di mercato della palazzina che avrebbe potuto essere realizzata, deve pertanto essere respinta per assenza di prova circa l’effettiva esistenza ed entità di tale valore.

Può giungersi ora all’esame della domanda risarcitoria per equivalente con la quale la società appellante chiede che gli venga corrisposto il valore di mercato del terreno di sua proprietà sul quale è stata realizzato il progetto del "Belvedereparco attrezzato".

Chiede anche parte appellante che il Comune venga condannato per la "perdita della proprietà del terreno che residuava dalla superficie coperta della palazzina assentita dalla concessione".

In relazione a quest’ultima richiesta non è chiaro a cosa parte appellante abbia inteso esattamente riferirsi, ed in tale contesto può essere utile chiarire che se viene richiesto il ristoro del "deprezzamento" dei c.d. "reliquati", alcun risarcimento può essere riconosciuto, avendo la parte appellante colpevolmente omesso di esercitare la facoltà conferita dall’art.23 l.2359/1865, applicabile alla fattispecie ratione temporis, presentando istanza al Comune affinchè anche le superfici in argomento fossero ricomprese nell’espropriazione preordinata alla realizzazione del progetto "Belvedere.parco pubblico attrezzato".

Addentrandosi ora nella parte della domanda risarcitoria concernente la condanna dell’Amministrazione al pagamento del valore venale del terreno illegittimamente occupato ed espropriato, essendo stata annullata in questo giudizio la dichiarazione di p.u. ex art.1 l. "78, contenuta nella deliberazione consiliare n.332/1992 e tutti gli atti ad essa conseguenti, inclusi il decreto di espropriazione (n.153), peraltro adottato il 20 maggio 2002 e quindi oltre il quinquennio (v.atti depositati dal Comune di Roma).

Insorge, pertanto, il dovere dell’Amministrazione di addivenire a un accordo transattivo con la ricorrente che determini il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile, accompagnandosi anche al doveroso risarcimento del danno da occupazione illegittima (come meglio appresso sarà precisato).

Una volta venuta meno,invero, la norma che attribuiva al soggetto pubblico il potere di determinare unilateralmente l’effetto traslativo (l’art.43 t.u. d.p.r. n.327/201 è stato dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte Cost. n.293/2010), è chiaro che tale effetto non può prescindere dal concorso della volontà dell’espropriato.

Ricorrendo conseguentemente l’ipotesi dell’occupazione usurpativa, e non avendo l’Agenzia del Territorio di Roma fatto conoscere (omettendo di adempiere all’ordinanza di questa Sezione n.608/2011), il valore di mercato delle aree espropriate, il collegio ai fini della determinazione del danno ritiene di dover provvedere ai sensi dell’art. 34, comma 4, cod. proc. amm., orientandosi del resto in tale direzione una specifica richiesta di patte appellante.

In particolare, dovrà farsi riferimento al periodo di illegittima occupazione decorrente dall’impossessamento illegittimo delle aree disposto con deliberazione di G.C n.1578 del 5 maggio 1997, e fino alla data dell’atto con il quale, nei sensi sopra precisati, si realizzerà l’effetto traslativo della proprietà in favore dell’espropriata, mentre per quanto concerne i criteri per la fissazione della somma da corrispondere, occorre distinguere tra due voci distinte: il danno da occupazione illegittima che consegue alla mancata utilizzazione dell’immobile per il periodo di illegittimo spossessamento da un lato, e il corrispettivo che le parti dovranno concordare per la cessione della proprietà.

Sotto tale ultimo profilo, dovrà aversi riguardo al valore di mercato delle aree non già alla data di trasformazione delle stesse, essendo venuta meno, com’è noto, la c.d. accessione invertita, e nemmeno a quella di proposizione del ricorso introduttivo che è del tutto irrilevante ai fini dell’effetto traslativo, bensì alla data in cui sarà adottato il più volte citato atto transattivo, di qualsiasi tipo, al quale consegua l’effetto traslativo de quo.

Quanto al primo profilo, i danni da risarcire per il mancata godimento delle aree, corrisponderanno agli interessi moratori sul valore del bene, assumendo quale "capitale" di riferimento il relativo valore di mercato in ciascun anno del periodo di occupazione considerato; le somme così calcolate andranno poi incrementate per rivalutazione monetaria ed interessi legali, calcolandoli separatamente anno per anno dalla data di proposizione del ricorso e fino alla data di deposito della presente sentenza.

In tal senso, e conclusivamente, l’Amministrazione dovrà formulare un’offerta risarcitoria e addivenire a un accordo con la parte ricorrente per la determinazione del corrispettivo della cessione secondo il criterio innanzi indicato, detraendo quanto già eventualmente corrisposto a titolo di indennità, provvisoria o definitiva, di espropriazione.

La Sezione si riserva, nella sede e con i poteri propri del giudizio di ottemperanza, non solo di provvedere alla liquidazione del danno risarcibile in caso di mancato accordo sul quantum di esso, ma anche, più in generale, nell’ipotesi in cui non si addivenga all’accordo transattivo sopra indicato, di valutare la condotta successivamente tenuta dalle parti ai fini dell’eventuale riconoscimento della risarcibilità dei nuovi danni cagionati dall’ulteriore protrarsi dell’illegittima occupazione.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano per entrambi i gradi di giudizio come da dispositivo che segue ponendole a carico del Comune di Roma.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso di primo grado ed annulla gli atti impugnati. Provvede sulla domanda di risarcimento danni di cui al ricorso nei sensi che seguono;

condanna il Comune di Roma a restituire alla società appellante la somma da essa versata per oneri connessi al rilascio della concessione edilizia n.2207/C, con gli accessori come da motivazione.

– pone a carico dell’Amministrazione, in relazione ai danni conseguenti all’espropriazione illegittima, l’onere di addivenire ad un accordo transattivo secondo i criteri indicati in motivazione.

Condanna il Comune di Roma al pagamento delle spese di lite che si liquidano per entrambi i gradi di giudizio in euro 3.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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