Cons. Stato Sez. VI, Sent., 20-05-2011, n. 3006

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ssarelli;
Svolgimento del processo

Il ricorrente, cittadino del Marocco, residente in Italia dal 1990, titolare di un’impresa di coltivazione di fiori e piante ornamentali, ha presentato in data 15 novembre 2002, domanda diretta ad ottenere la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 91 del 1992.

Il Ministero dell’interno ha respinto la sua istanza sostenendo che la concessione della cittadinanza sarebbe ampiamente discrezionale, dovendo l’amministrazione valutare l’opportunità della concessione al fine di evitare che l’introduzione in modo stabile di un soggetto nell’ordinamento nazionale non procuri allo Stato danni o lacerazioni.

Nel casi di specie, dalla disamina della nota del Dipartimento della Pubblica sicurezza n. 400/C/7521/J4/2005/514/06/R del 6 marzo 2006 sarebbero emersi elementi tali, sotto il profilo della sicurezza della repubblica, da non ritenere opportuna la concessione della cittadinanza.

La sentenza impugnata ha ritenuto che la sussistenza in capo allo straniero dei requisiti previsti dall’art. 4 l. 13 giugno 1912, n. 555, per ottenere la cittadinanza italiana, non obbliga la p.a. ad adottare in ogni caso provvedimenti positivi, essendo tale valutazione ampiamente discrezionale e subordinata ad una valutazione degli interessi collettivi, alla cui salvaguardia è appunto preordinato il potere discrezionale (Cons. Stato, sez. IV, 02 giugno 1999, n. 942).

Ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. C), della legge n. 91/1992, tra le ipotesi che precludono l’acquisto della cittadinanza ai sensi del precedente art. 5, vi è "la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della repubblica".

Poiché nell’attuale quadro normativo il decreto di concessione della cittadinanza – in quanto attributivo di uno status – risulta irrevocabile, è del tutto ragionevole che l’amministrazione eserciti con cautela il proprio potere di concedere la cittadinanza e ravvisi un impedimento quando, dagli accertamenti compiuti, non si evinca l’integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale (C.S. I, 14 gennaio 2004, n. 5267) e invece siano emersi – come nel caso di specie – contatti con appartenenti a movimenti fondamentalisti islamici, come dichiarato dal Dipartimento della pubblica sicurezza nel parere richiamato nel provvedimento impugnato. (…).

Ai sensi dell’art. 6 comma 1 lett. c), l. 5 febbraio 1992 n. 91, la motivazione del diniego di concessione della cittadinanza italiana non necessita di una dettagliata esternazione dei fatti e delle circostanze inerenti la valutazione del grado di pericolosità del soggetto (T.A.R. Lombardia Brescia, 03 giugno 1996, n. 654).

In altre parole, la motivazione è sufficiente – secondo la giurisprudenza – quando consente di comprendere l’iter logico seguito dall’amministrazione nell’adozione dell’atto, non essendo necessario che vangano espressamente indicate tutte le fonti ed i fatti accertati sulla base dei quali è stato reso il parere negativo.

È appena il caso di aggiungere, infine, che gli accertamenti riservati non sono stati posti a base di misure limitative della libertà o di altri diritti costituzionalmente garantiti, ma hanno dato luogo alla formulazione di una valutazione riferibile al potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (e che può essere risollecitata dopo cinque anni dall’emanazione del diniego, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge n. 91 del 1992) (C.S. VI, 29 luglio 2008, n. 3783).

Nella specie, il decreto impugnato risulta quindi sufficientemente motivato con il richiamo ai motivi inerenti alla sicurezza della repubblica (motivi svolti in modo più che esaustivo nella nota del Dipartimento della pubblica sicurezza più volte citato).

Il ricorrente ha proposto appello contestando i presupposti del parere reso dal Dipartimento della pubblica sicurezza, sostenendo che non sarebbe affiliato ad alcun movimento fondamentalista, che sarebbe impegnato politicamente e frequenterebbe il centro di preghiera, svolgendo quindi attività lecite.

All’udienza del 21 gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

La Sezione ritiene di dover condividere il tradizionale orientamento giurisprudenziale in materia di vaglio sui provvedimenti denegatori della concessione della cittadinanza italiana a tenore del quale "l’amministrazione, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale. Deve in proposito rammentarsi che ai sensi dell’art. 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana è adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l’esistenza di un’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale.

Infatti, l’amministrazione dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione delle ragioni che inducono il richiedente a scegliere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli della solidarietà economica e sociale, posti dalla Costituzione (Cons. Stato, sez. I, 17 giugno 1998, n. 3145/98 e 28 luglio 1998, n. 2254/96).

Sotto altro profilo, il Collegio non può che rammentare, in via di principio, che l’art. 9 della citata legge n. 91/1992 si limita ad indicare i presupposti per l’ammissibilità della domanda di cittadinanza; ma tali requisiti sono necessari, ma non sufficienti per conseguire il beneficio, né costituiscono una presunzione di idoneità al conseguimento dell’invocato status.

V’è accordo, in dottrina e giurisprudenza, che le determinazioni in materia siano assistite da latissima discrezionalità: l’atto concessorio (o denegatorio) in questione costituisce atto c.d. di "alta amministrazione".

Detto genere di atti, infatti, ha una valenza, di alta amministrazione ed implica, in quanto tale, un elevato tasso di discrezionalità, sia nell’accertamento, sia soprattutto nella valutazione dei fatti acquisiti al procedimento. Di conseguenza, il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Cons. St. VI, 26 luglio 2010, n. 4862).

L’appartenenza, nel caso di specie, ad una determinata rete di missionari itineranti, che non viene contestata dal ricorrente, è elemento sufficiente per negare la concessione della cittadinanza non potendo il giudice amministrativo valutare la pericolosità, ai fini della sicurezza dello Repubblica, di tale organizzazione.

Il ricorso va quindi respinto con compensazione delle spese di giudizio per giusti motivi.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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