CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – SENTENZA 8 gennaio 2010, n.75 LOCAZIONE E INTERESSI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Motivi della decisione

Preliminarmente occorre procedere ex art. 335 c.p.c., alla riunione dei ricorsi, principale e incidentale, avverso la medesima sentenza.

L’esame muove dal ricorso principale della UNIVER.

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza e del procedimento, violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., comma 2, artt. 433, 437 e 345 c.p.c. e art. 1284 c.c., nonché difetto assoluto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

1.1. Il motivo riguarda la determinazione della misura degli interessi di mora sui canoni scaduti e insoluti, che il Tribunale aveva liquidato al tasso legale, per la considerazione che la richiesta degli interessi al tasso previsto dall’art. 16 del contratto “pur essendo stata richiamata nella parte narrativa della comparsa, non era stata poi oggetto di specifica richiesta nelle conclusioni formulate, rispetto alle quali non erano intervenute modifiche nei termini di cui all’art. 420 c.p.c.” (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata, laddove viene riprodotto il testo di quella di primo grado) e che, invece, la Corte territoriale ha riconosciuto nella misura convenzionale, osservando che la clausola di cui all’art. 16 cit. (secondo cui “…il mancato o tardivo versamento del canone di affitto e delle spese comporta la rescissione immediata del contratto di locazione e l’addebito degli interessi di mora del 10% annuo”) assolve all’obbligo di previsione scritta di cui all’art. 1284 c.c., comma 3.

1.1.1. Il ricorrente lamenta la genericità di siffatta statuizione e osserva che nessuna domanda di interessi convenzionali era stata formulata nel ricorso per ingiunzione (essendo stati chiesti, in quella sede, gli interessi legali) e neppure nei termini di cui all’art. 416 c.p.c., posto che la DEL SOGLIO-NOTARIO, pur enunciando la pretesa nel corpo della comparsa di costituzione del 28-4-2000, nelle conclusioni rassegnate in calce allo stesso atto, si era limitata a chiedere la conferma del decreto ingiuntivo; rileva che solo nelle note difensive del 14-5-2003 l’opposta-ingiungente aveva assunto conclusioni difformi, sollecitando il pagamento degli interessi convenzionali. A parere del ricorrente – anche a prescindere dalle motivazioni addotte dal Tribunale – siffatta richiesta era tardiva e inammissibile, con conseguente vizio di ultra petizione della decisione impugnata, dal momento che l’opposta-ingiungente avrebbe dovuto formulare una domanda riconvenzionale per il pagamento degli interessi convenzionali e chiedere a tali effetti lo spostamento dell’udienza di discussione.

1.2. Il motivo è infondato.

Va innanzitutto osservato – quanto alla dedotta genericità del portato argomentativo della statuizione impugnata – che la motivazione in parte qua deve intendersi integrata con le considerazioni, precedentemente svolte dai giudici di appello con riguardo ad analoga censura della UNIVER relativa al riconoscimento degli accessori sull’importo dei danni (richiesti dalla DEL SOGLIO-NOTARIO in via di reconventio reconventionis), laddove viene evidenziata l’esigenza, nella determinazione delle domande delle parti, di far riferimento non tanto e non solo alle conclusioni formalmente – ed eventualmente erroneamente – assunte, quanto, piuttosto, al complesso di argomentazioni e conclusioni, con una lettura complessiva dell’atto processuale che le contiene (cfr. pag. 22 della sentenza impugnata).

Si tratta di principio conforme alla giurisprudenza di questa Corte, la quale costantemente avverte che il petitum sul quale il giudice di merito deve pronunciarsi non è fissato, in maniera fiscale e rigorosa, dal contenuto delle conclusioni definitive prese dalla parte. Invero ai fini di una corretta interpretazione della domanda, il giudice di primo grado è tenuto ad interpretare le conclusioni contenute nell’atto di citazione, alle quali si è riportato l’attore in sede di precisazione delle conclusioni, tenendo conto della volontà della parte quale emergente non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte nella citazione, ma anche dall’intero complesso dell’atto che le contiene, considerando la sostanza della pretesa, così come è stata costantemente percepita dalle parti nel corso del giudizio di primo grado, tenendo conto non solo delle deduzioni e delle conclusioni inizialmente tratte nell’atto introduttivo, ma anche della condotta processuale delle parti, nonchè delle precisazioni e specificazioni intervenute in corso di causa. (Cass. civ., Sez. II, 16/09/2004, n. 18653; Cass. civ., Sez. I, 08/09/2004, n. 18068).

1.2.1. Va, altresì, considerato che la fase monitoria del procedimento d’ingiunzione (art. 633 c.p.c., e segg.) non ha subito modifiche a seguito dell’entrata in vigore dell’attuale rito del lavoro (applicabile anche in materia locatizia) che va però osservato nel giudizio di cognizione ordinaria, instaurato mediante opposizione al decreto ingiuntivo, con la conseguenza che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ex plurimis le sentenze n. 5045, 5340/99, 13445/2000, 3114/2001, 5526, 8502, 16386/2002) – la memoria difensiva dell’opposto, attesa la sua posizione sostanziale di attore, deve osservare la forma della domanda (di cui all’art. 414 c.p.c.) e, pertanto, deve recare, tra l’altro, la “determinazione dell’oggetto della domanda” e “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda” (n. 4 e 5 dello stesso art. 414 c.p.c.) – fatta valere, tuttavia, con il ricorso per ingiunzione – e con la conseguenza ulteriore che, nella stessa memoria difensiva, è possibile specificare e meglio chiarire detti elementi – al fine, tra l’altro, di adeguare al carattere ed ai principi della cognizione ordinaria la pretesa azionata in sede monitoria – nonché modificare (ai sensi dell’art. 420 c.p.c.) nei termini della emendatio, e non della mutatio libelli, la domanda proposta, appunto, in sede monitoria.

Orbene, lungi dal costituire modifica della domanda originaria o addirittura (come asserito da parte ricorrente principale) dall’integrare una domanda riconvenzionale, la richiesta degli interessi convenzionali contenuta nella comparsa di costituzione costituisce emendatio libelli, trattandosi di un mero ampliamento del petitum al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere.

Il motivo va, dunque, respinto.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza e del procedimento, violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1243, 1282 e 1219 c.c., nonché difetto assoluto di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

2.1. Il motivo si riferisce sempre alla statuizione concernente il riconoscimento degli interessi convenzionali sui canoni e attiene all’attribuzione dei detti interessi “dalla scadenza al saldo”, anziché dalla data dell’ingiunzione, come riconosciuti dal Tribunale.

2.1.1. Secondo il ricorrente i giudici di appello hanno violato il comma secondo dell’art. 1282 c.c., avendo invece correttamente il Tribunale ritenuto necessario l’atto di messa in mora; inoltre gli stessi giudici non avrebbero tenuto conto della compensazione giudiziale operata con la sentenza di primo grado in data 28 maggio 2003, in particolare risulterebbe incomprensibile la condanna al pagamento degli interessi sino al “saldo”, dal momento che nella stessa sentenza impugnata gli interessi sono liquidati sino al 28 maggio 2003.

2.2. Il motivo è, in parte, infondato e, in parte, inammissibile per genericità.

Invero – per quanto riguarda la decorrenza degli interessi – si osserva che all’obbligazione di pagamento dei canoni di locazione risulta applicabile dell’art. 1182 c.c., comma 3, secondo cui l’obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio del creditore, per cui la mora del debitore si determina (come per tutte le obbligazioni portabili), ai sensi dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 3, alla scadenza del termine in cui il pagamento deve essere eseguito (mora ex re). Correttamente, dunque, sono stati riconosciuti gli interessi convenzionali di mora dalle singole scadenze.

L’altra doglianza, concernente il momento finale del calcolo degli interessi, è generica, giacché non enuncia alcuna violazione di legge; la censura è anche oscura e non tiene conto della circostanza che la compensazione giudiziale operata dal primo giudice riguardava somme diverse da quelle “ricalcolate” dalla Corte di appello; per di più, essa fa riferimento a un conteggio (a pag. 23 della sentenza), che risulta incompleto (ancorché già esponga, un “avere” della locatrice), in quanto precede l’esame dell’appello incidentale e la statuizione sul punto della misura e decorrenza degli interessi di cui trattasi (con ulteriore “avere” della locatrice per interessi).

Il motivo va, dunque, rigettato.

3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia nullità della sentenza e del procedimento, violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1243 e 1282 c.c., nonché difetto assoluto di motivazione e contraddittorietà in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

3.1. Il motivo attiene al prospetto del dare e avere tra le parti come riportato a pag. 23 della sentenza impugnata, con l’evidenza di una differenza a credito della DEL SOGLIO-NOTARIO di L. 4.369.606.

3.1.1. Parte ricorrente deduce: a) che la statuizione contrasta con quella contenuta a pagg. 17 e 18 laddove, in parziale accoglimento del terzo motivo di appello, è stato revocata l’ordinanza ingiunzionale relativa al canone di luglio 1999, essendo stato riconosciuto alla locatrice il solo periodo 1-19 luglio: ciò in quanto il relativo credito restitutorio della UNIVER per L. 4.316.000 non risulta nel prospetto a pag. 23; b) che gli interessi su cauzione sono stati riconosciuti solo sino al 30-4-2003 e non sino alla data della compensazione giudiziale, per cui andrebbero riconosciute ulteriori L. 46.602; c) che gli interessi sul rateo di canone di luglio 1999 sono stati calcolati dal 29-7-1999, laddove avrebbero dovuto essere calcolati dal di della costituzione in mora (con la comparsa di costituzione del 28-4-2000) e avrebbero dovuto essere computati sino alla data del 27-9-2001, in cui avvenne il pagamento;

d) che è errata la somma di L. 6.625.000 indicata a credito della DEL SOGLIO-NOTARIO a titolo di danni, dal momento che a pag. 21 della sentenza lo stesso credito era stato rideterminato in L. 6.325.000 anziché in L. 6.400.000, come statuito dal primo giudice.

3.2. Il motivo non merita accoglimento.

In particolare – ribadito anche per la “parte” di canone di luglio 1999 l’applicabilità del comb. disp. dell’art. 1182 c.p.c., comma 3 e art. 1219 c.p.c., comma 2, n. 3 – occorre osservare che per il resto la ricorrente propone questioni di stretto merito, inammissibilmente sollecitando a questo giudice di legittimità un ricalcolo delle varie poste a credito o a debito e/o la rettifica di presunti errori materiali, che non è consentita in questa sede.

Infatti gli errori materiali in cui sia incorso il giudice del merito, suscettibili di correzione con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., non possono essere dedotti come motivo di ricorso per cassazione, dando questo origine ad un giudizio diretto al solo controllo di legittimità delle decisioni impugnate (Cass. civ., Sez. III, 20/02/2006, n. 3656).

Preme in ogni caso sottolineare che nel citato prospetto a pag. 23 la mensilità di luglio 1999 è posta a credito della DEL SOGLIO-NOTARIO limitatamente alla parte maturata alla data del rilascio; tale impostazione tiene, dunque, conto del parziale accoglimento del motivo di appello della UNIVER relativamente al credito portato dall’ordinanza ingiunzionale.

Il motivo va, dunque, respinto.

4. Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza e del procedimento, violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 653 c.p.c., nonché difetto assoluto di motivazione e contraddittorietà in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

4.1. Il motivo riguarda la statuizione sulle spese della fase monitoria, che la Corte di appello ha lasciato a carico dell’opponente, pur avendo confermato il parziale accoglimento dell’opposizione con conseguente revoca del decreto.

4.1.1. A parere della parte ricorrente la decisione sarebbe illegittima e contraddittoria, posto che la revoca comporta il venire meno di ogni effetto dell’ingiunzione; peraltro – per effetto dell’accoglimento dei precedenti motivi – sussisterebbe un credito della UNIVER.

4.2. Il motivo è infondato.

Invero il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma da luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione.

Perciò, il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sé, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite. Nel liquidare tali spese, il giudice può bensì escludere dal rimborso quelle affrontate dalla parte vittoriosa per chiedere il decreto di ingiunzione, qualora mancassero le condizioni di ammissibilità di tale domanda, ma non viola affatto il disposto degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., qualora ritenga di non farlo, lasciandole a carico della parte opponente che, all’esito del giudizio, è rimasta soccombente sulla pretesa dedotta in lite. (Cass. civ., Sez. I, 01/02/2007, n. 2217). Ed è quanto è accaduto nel caso di specie, posto che – pur revocando il decreto per effetto della parziale compensazione con il credito restitutorio della cauzione – i giudici del merito hanno accertato che residuava una posizione creditoria della parte locatrice. E ciò è confermato dal rigetto dei precedenti motivi.

Il motivo va respinto.

5. Con il quinto motivo si denuncia nullità della sentenza e del procedimento, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., nonché difetto assoluto di motivazione e contraddittorietà in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

5.1. Il motivo riguarda la regolazione delle spese di opposizione e la parziale compensazione operata con la seguente motivazione: “considerando anche i motivi quinto e sesto di appello principale e quarto di appello incidentale, si deve considerare che la domanda complessiva di parte appellata è stata accolta nella misura del 71%, mentre la domanda assolutoria di parte appellata è stata respinta, sussistendo ancora un debito attuale, onde pare del tutto congrua una compensazione nella misura del 30% per i due gradi del giudizio”.

5.1.1. Secondo la ricorrente sarebbe stato violato il principio di soccombenza, perché residuerebbe un credito della UNIVER; in ogni caso la statuizione sarebbe contraddittoria, perché attribuirebbe una rilevanza del 77% alla reiezione di due motivi di appello principale e del quarto motivo dell’appello principale.

5.2. Il motivo non merita accoglimento.

Va premesso che – contrariamente a quanto opinato da parte ricorrente – la percentuale del 77%, indicata in sentenza, si riferisce alla misura in cui è stata accolta la domanda dell’appellata (parte attrice in senso sostanziale) e non ai motivi di appello.

In punto di diritto occorre precisare che la violazione del principio della soccombenza, di cui all’art. 91 c.p.c. è denunciabile in sede di legittimità sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, solo nell’ipotesi in cui le spese di causa siano state poste, da parte del giudice del merito, interamente (o, eventualmente, anche parzialmente) a carico della parte che risulti totalmente vittoriosa.

Ne deriva, pertanto, che qualora il giudice d’appello, lungi dal porre – anche solo parzialmente – le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vincitrice, si sia limitato a disporre la compensazione delle spese stesse, la denunciata violazione di legge non sussiste (Cass. civ., Sez. III, 09/12/2003, n. 18744). Invero la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della sussistenza di giusti motivi; in particolare, in caso di riforma in tutto o in parte in sede di appello della sentenza impugnata, il criterio di individuazione della soccombenza deve essere unitario e globale anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite per reciproca parziale soccombenza, condannando poi per il residuo una delle due parti; in tal caso, l’unitarietà e la globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione all’esito finale della lite, il giudice deve individuare quale sia la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale deve essere liquidata quella parte delle spese processuali che sia residuata all’esito della disposta compensazione parziale (Cass. civ., Sez. III, 11/06/2008, n. 15483).

Ed è ciò che è avvenuto nel caso in esame, posto che la Corte di appello – valutata la misura in cui era risultata fondata la pretesa della locatrice – ha ritenuto che la principale soccombenza gravasse sulla UNIVER. In definitiva il ricorso principale va respinto.

Si passa, dunque, ad esaminare il ricorso incidentale della DEL SOGLIO-NOTARIO.

6. Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dei norme di diritto in relazione alla condanna parziale al pagamento del canone del mese di luglio 1999.

6.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, con il quale, in parziale riforma della decisione di primo grado, è stata revocata l’ordinanza ingiunzionale di pagamento della mensilità di luglio 1999 e riconosciuto il solo rateo di canone sino alla data del rilascio avvenuto il 19 luglio 1999 per la considerazione che il contratto si era sciolto, non già per recesso della conduttrice (il che avrebbe richiesto un preavviso di dodici mesi), ma per mutuo consenso tra le parti, onde la locatrice accettò di porre termine al contratto alla data di riconsegna delle chiavi.

6.1.1. In contrario senso la ricorrente incidentale deduce che tale motivazione “non convince” dal momento che ai sensi dell’art. 3 del contratto il canone era dovuto anticipatamente il primo giorno del mese al domicilio del locatore; rileva, altresì, che per puro errore materiale la Corte di appello ha convertito la somma di L. 4.854.500 del mese di luglio in Euro 2.316,42 anziché in Euro 2.507,14 con una differenza a favore della DEL SOGLIO-NOTARIO di Euro 190,72.

6.2. Il motivo non merita accoglimento. Deve qui ribadirsi che quando nel ricorso per cassazione, pur denunziandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con la interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina il motivo è inammissibile poiché non consente alla Corte di cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12 maggio 1998 n. 4777). In altri termini è inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la pronunzia impugnata (Cass. 21 agosto 1997 n. 7851).

Orbene con il motivo all’esame la ricorrente incidentale lamenta in termini assertivi la violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, senza neppure enunciare la disposizione normativa con la quale la statuizione impugnata sarebbe in contrasto, limitandosi a definire la relativa decisione “non convincente”. Peraltro lo stesso motivo non coglie la ratio decidendi, la quale riposa nella considerazione di un accordo tra le parti in ordine alla risoluzione del contratto alla stessa data in cui avvenne il rilascio; donde l’inesistenza del vinculum iuris (o di un rapporto di fatto con il bene) che giustificasse la pretesa di pagamento del canone per il periodo successivo. Sotto questo profilo il motivo è generico per la mancata correlazione con le argomentate ragioni della decisione; mentre è inammissibile, in ragione della natura del vizio dedotto, per la parte con cui si denuncia un errore materiale (cfr. Cass. n. 3656 del 2006 sopra cit.).

Non appare superfluo aggiungere che l’errore materiale denunciato è irrilevante, perché il conteggio di dare/avere è in Lire ed è fatto correttamente riportando la somma di L. 4.854.500.

7. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione di norme di diritto e difetto di motivazione in relazione al mancato addebito dell’importo di IVA sulle voci di danno (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

7.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, con il quale la Corte di appello ha negato il riconoscimento dell’IVA sull’importo di spesa riconosciuto alla locatrice a titolo di risarcimento danni, ritenendo che non fosse dimostrato che la danneggiata non avesse diritto alla detrazione dell’IVA versata a tale titolo.

In particolare la Corte territoriale ha evidenziato che il costo dell’IVA non è detraibile D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19 bis, per le sole operazioni attive tassativamente indicate nell’art. 10 dello stesso D.P.R.; ha, quindi, rilevato che nella fattispecie, sotto il profilo oggettivo, si trattava di operazioni passive (il pagamento di prestazioni di terzi ai fini di ripristino dell’immobile) e, quindi, l’IVA era detraibile, non ricorrendo una delle ipotesi di esclusione della detrazione previste dall’art. 19 bis cit. D.P.R.; mentre, sotto il profilo soggettivo, di cui all’art. 17, comma 1 D.P.R. cit. spettava alla DEL SOGLIO-NOTARIO l’onere di provare la non detraibilità dell’imposta, in quanto si trattava di un fatto costitutivo della domanda.

7.1.1. In contrario senso osserva la ricorrente incidentale che, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo, la DEL SOGLIO-NOTARIO non è soggetto passivo dell’imposta e non è di fatto titolare di partita IVA, in quanto per le società semplici non opera la presunzione di cui al comma 2 dell’art. 4 del cit. D.P.R. e perché l’attività svolta, di gestione del patrimonio immobiliare – quale pacificamente svolta in via esclusiva dalla stessa società – non rientra tra le operazioni commerciali o agricole di cui agli artt. 2135 e 2195 c.c.

7.2. Il motivo è infondato.

In via di principio occorre dire che ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, sono soggetti passivi dell’imposta coloro che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo.

Sotto il profilo oggettivo si osserva che le cessioni e le prestazioni imponibili sono quelle di cui all’art. 4 dello stesso D.P.R. In particolare questa Corte ha precisato che, ai fini dell’IVA assumono rilievo, ai sensi dell’art. 4 cit. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole e che pertanto – poiché nell’ambito delle attività commerciali rientrano solo quelle che siano svolte in forma di impresa – sono imprescindibilmente qualificate dai caratteri dell’abitualità (ancorché non dell’esclusività) e della professionalità dell’esercizio (cfr. Cass. n. 2021/96, n. 3406/96; n. 10430/2001, n. 13999/03). Si considerano, però, in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese (tra l’altro) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società cooperative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società estere di cui all’art. 2507 cod. civ., e dalle società di fatto.

Ciò posto, si osserva che la circostanza che la DEL SOGLIO-NOTARIO, quale società semplice, non rientri tra quelle società per le quali opera siffatta presunzione, non significa affatto che la stessa non possa essere soggetto passivo dell’imposta in ragione dell’attività effettuata. Invero l’attività di gestione immobiliare consistente nella locazione di immobili di proprietà (qual è l’attività della DEL SOGLIO-NOTARIO, per quanto riferito dalla stessa parte) – se esercitata con i caratteri della sistematicità e dell’abitualità – deve essere considerata esercizio d’impresa ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 sopra cit. In ogni caso sarebbe spettato alla stessa parte dimostrare, in relazione alle concrete modalità ed al contenuto oggettivo e soggettivo dell’attività svolta, la sussistenza dei presupposti per escludere la detraibilità dell’IVA ai sensi dell’art. 19 stesso D.P.R.

Anche il presente motivo va, dunque, rigettato.

8. Con il terzo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e difetto di motivazione in relazione al calcolo degli interessi sulla cauzione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

8.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, con il quale sono stati negati gli interessi sulla cauzione al tasso convenzionale, in considerazione del carattere imperativo della norma di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 11, che prevede il riconoscimento dei soli interessi legali sulla cauzione.

8.1.1. A parere della ricorrente la statuizione stravolgerebbe la portata della L. n. 392 del 1978, art. 79, dal momento che il pagamento degli interessi nella misura riconosciuta dalle banche non avrebbe comportato alcun lucro per la locatrice, che, anzi, vedeva ridursi l’importo della cauzione anno per anno, ricevendo dalla banca interessi a tasso inferiore a quello legale. La Corte di appello, inoltre, non avrebbe fornito alcuna risposta convincente all’argomento speso in appello, secondo cui non sempre parte locatrice è la parte debole del rapporto.

8.2. Il motivo è infondato.

L’obbligo del locatore di un immobile urbano, di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale, previsto dalla L. n. 392 del 1978, art. 11, ha natura imperativa, in quanto persegue finalità di ordine generale, consistenti nella tutela del contraente più debole (individuato dal legislatore nel conduttore) e nell’impedire che i frutti della relativa somma, percepibili dal locatore, possano tradursi in un surrettizio incremento del corrispettivo della locazione. Perciò, tale norma imperativa determina la nullità, per contrasto con la stessa, di qualsiasi clausola contrattuale difforme. (Cass. civ., Sez. III, 19/08/2003, n. 12117, Cass. civ., Sez. III, 03/05/2004, n. 8330).

In conclusione anche il ricorso incidentale va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione sono interamente compensate per la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa interamente le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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