Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-04-2011) 20-05-2011, n. 20127

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

on sono comparsi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’appello di Messina, in parziale riforma della decisione di primo grado, rideterminava la pena inflitta ad A.R. e R. G. per i reati di tentata estorsione, detenzione e porto illegale di arma e danneggiamento aggravati dalla L. n. 152 del 1991, art. 7. L’accusa ha avuto ad oggetto il tentativo di estorcere una cospicua somma di denaro a B.A. imprenditore edile, mediante molteplici atti di intimidazione compiuti anche con danneggiamenti e con uso di armi. In relazione alla posizione di R. osservava che il teste P., presente nel cantiere di B., aveva riconosciuto il R., quale persona autrice delle intimidazioni, perchè lo aveva incontrato per strada ed aveva subito corretto un precedente riconoscimento effettuato in fotografia ai danni di altra persona.

Il trattamento punitivo dell’imputato era stato equo, visto che allo stesso non potevano riconoscersi le attenuanti generiche per i suoi collegamenti con la criminalità organizzata, in particolare col boss M.G., e per i suoi precedenti penali. Sussisteva l’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 in quanto l’azione condotta ai danni di B. si inseriva nei piani della cosca di riferimento per il controllo sul territorio e sulle attività imprenditoriali e i mezzi utilizzati erano tipici delle intimidazioni maliose; le azioni di intimidazione si erano protratte per mesi e vi erano stati rifiuti sprezzanti ai tentativi di trovare un accordo per somme minori. Non vi era stata alcuna desistenza visto che le azioni erano cessate solo perchè l’imprenditore aveva chiuso il cantiere.

Quanto alla posizione di A. osservava che il suo ruolo nel concorso in estorsione era stata quello di emissario del boss, anche se non aveva proferito alcuna minaccia esplicita, tanto che la sua presenza all’appuntamento aveva come unico scopo quello di trattare per conto del boss. In relazione alla sua posizione, sintomatiche erano alcune intercettazioni dalle quali emergeva che il suo compito era quello di riportare le proposte di B. al boss e di far sapere alla vittima quali erano le esigenze del boss.

La pena per ambedue doveva essere rideterminata in quanto le attenuanti dovevano essere applicate sulla pena già aumentata ai fini dell’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7.

Avverso la decisione presentava ricorso R. e deduceva violazione di legge e mancanza di motivazione in relazione all’avvenuto riconoscimento dell’imputato, avendo la sentenza adottato solo formule di stile, e in relazione al diniego delle attenuanti generiche e alla richiesta esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7, avendo la corte utilizzato non la motivazione della sentenza di primo grado ma quella contenuta nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere; inoltre l’aggravante era stata contestata non sotto il profilo del metodo mafioso ma del fine di agevolare l’attività dell’associazione; mancava ogni motivazione in relazione ai delitti in materia di armi e di danneggiamento.

Presentava ricorso anche A. e deduceva violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al concorso nella tentata estorsione visto che l’imputato si era limitato ad assistere ad un incontro solo, non aveva proferito alcuna minaccia e poi non aveva più partecipato ad atti inerenti l’estorsione e quindi non aveva nè agevolato nè rafforzato l’altrui proposito criminoso. B., dopo aver subito dei danneggiamenti, si era rivolto a Mo. il quale a sua volta aveva coinvolto A., e quest’ultimo, dopo aver ricevuto le proposte di B. si era limitato a riferirle a M. e poi non aveva più avuto alcun ruolo. A tutto voler concedere A. aveva agito nell’esclusivo interesse della vittima per trovare una transazione e quindi non poteva rispondere di tentata estorsione, così come non era stato chiamato a rispondere di tale reato Mo. che pure aveva chiamato in causa A..

La Corte ritiene che ambedue i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili. Il ricorso di R. appare generico e apodittico, limitandosi a ritenere che la corte territoriale non aveva risposto alle sue richieste senza indicare neppure quali sarebbero stati i motivi disattesi. La circostanza che la corte territoriale avesse usato la motivazione dell’ordinanza cautelare, pur essendo contraria a quanto stabilito dall’art. 238 c.p.p., non era causa di annullamento della sentenza in quanto gli elementi addotti a sostegno della motivazione erano stati desunti anche aliunde da quella ordinanza cautelare e cioè da deposizioni testimoniali e intercettazioni. Il riconoscimento effettuato dal teste P. era stato ampiamente chiarito e la sua attendibilità era stata attentamente valutata con motivazione congrua e logica. L’aggravante di cui alla L. n. 152 del 1991, art. 7 era stata correttamente ritenuta non con riguardo al metodo mafioso ma proprio con riguardo a quanto contenuto nella contestazione che si riferisce allo scopo di agevolare l’associazione per la realizzazione dei fini di conquista delle attività economiche del territorio.

Quanto agli altri reati deve rilevarsi che nei motivi di appello non vi era alcun accenno ai reati satellite e quindi nessuna risposta era dovuta in sentenza.

Anche il ricorso di A. appare manifestamente infondato visto che il suo intervento nella vicenda si giustificava solo per la sua vicinanza al boss M.; infatti aveva ascoltato le proposte di B. e le aveva riferite al boss, dal quale aveva per altro ricevuto uno specifico mandato a trattare, come emergeva dalle intercettazioni; ogni questione inerente l’interpretazione di quelle conversazioni non è prospettabile in sede di legittimità. Infine la circostanza che Mo. non sia stato coinvolto nella vicenda, non incide sulla posizione di A. che appunto era del tutto autonoma di portavoce del boss.

I ricorrenti debbono essere condannati ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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