Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-04-2011) 20-05-2011, n. 20089

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.S. e S.K. ricorrono avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento del 25 ottobre 2010, sezione distaccata di Bolzano, che in parziale riforma della pronuncia resa dal Gup di quel tribunale, ha ridotto la pena inflitta alla C. per due fattispecie di spaccio di stupefacente di tipo eroina e confermato, invece il trattamento sanzionatorio del S..

La ricorrente C. denuncia difetto di motivazione in ordine alla assunzione della pena base sopra il minimo edittale, e in ordine alla mancata riduzione nella misura massima della pena in applicazione della attenuante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73, comma 7; ancora rileva l’omesso esame di uno specifico motivo concernente il contenimento dell’aumento per continuazione nella misura minima consentita; invece l’aumento sarebbe stato superiore ad un terzo della pena base, in violazione dei principi espressi in tema dalle Sez. Un. n 35738 del 2010. Il S. denuncia mancato riconoscimento del ne bis in idem rispetto i fatti giudicati con altra sentenza definitiva, avente n. 338/08, di cui era stata disposta la acquisizione e nonostante che alla C., in forza dello stessa decisione, fosse stata riconosciuta la sussistenza dell’ostacolo del precedente giudicato e ridotta la pena.

Con il secondo motivo denuncia mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante ex art. 114 c.p.; stante la marginalità del suo ruolo e con il terzo rileva che la Corte si è limitata a definire generiche le doglianze, sottraendosi all’obbligo motivazionale.
Motivi della decisione

1. I ricorsi sono entrambi inammissibili.

2. Innanzi tutto, per quanto riguarda la posizione della C., è da mettere in evidenza che la Corte di Appello non si è affatto sottratta all’onere motivazionale su di essa gravante in relazione alle censure impunto di pena da costei avanzate ed ha in primo luogo adeguatamente enunciato la adeguatezza del trattamento sanzionatorio inflitto dal primo giudice in misura di poco superiore al minimo e la congruità della misura della riduzione per la metà della pena per effetto della attenuante speciale.

3. Tale motivazione, che comporta valutazioni di puro merito, in quanto rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente le ragioni circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, è sottratta al giudizio di legittimità, nè d’altronde la C. ha messo in luce elementi – non esaminati dal giudice di appello – che avrebbero potuto incidere sull’iter motivazionale adottato.

4. Quanto poi alla denunciata violazione dei criteri di determinazione della pena inflitta in continuazione, è da osservare che la Corte ha detratto la pena che il primo giudice, in violazione del ne bis in idem aveva applicato in continuazione per due fatti di spaccio a e b ed un terzo giudicato cui alla sentenza del Gup di Bolzano del 7.7.2008, in realtà costituente il solo fatto sub b) ed ha mantenuto lo stesso criterio di calcolo seguito dal primo giudice per la determinazione della pena, dimezzando l’aumento ex art. 81 da 30 mesi (per due episodi) a mesi 15 (per un episodio).

5. Non si è verificata alcuna determinazione peggiorativa e sul punto peraltro la C., recidiva, non si è confrontata con la statuizione, che esplicitamente ha richiamato quanto alla percentuale dell’aumento la disposizione di cui all’art. 81 c.p., comma 4, che impone appunto, l’incremento non inferiore al terzo – nella specie matematicamente rispettato.

6. Parimenti inammissibile è il motivo con cui S.S. si duole del mancato riconoscimento a suo favore del ne bis in idem in relazione al capo b dell’epigrafe, trovandosi egli nella medesima situazione della C..

7. Invero, risulta dalla lettura dei motivi di appello che il S. non ha proposto tale specifica censura, sicchè la Corte non ha affatto violato il disposto dell’art. 606 c.p.p., lett. e omettendone l’esame.

8. Vale rammentare che l’atto di impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, i motivi con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta e che sono inammissibili, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., in sede di legittimità i motivi che siano diversi da quelli, enunciati nell’atto di appello, con i quali sono stati investiti capi della sentenza,diversi da quelli costituenti oggetto del motivo di impugnazione.

9. Altrettanto inammissibili sono i rimanenti motivi, che attengono al trattamento sanzionatorio e possono essere esaminati congiuntamente. . 10. In tema di determinazione delle pena e di riconoscimento di attenuanti, e del correlativo giudizio ex art. 69 c.p., il giudice di merito, come già richiamato per la posizione della C., ha esposto, con adeguato sviluppo motivazionale, le ragioni per cui per il S. non ricorrevano l’attenuante di cui all’art. 114 c.p., nè i presupposti per la riduzione invocata della pena, rilevando che la sentenza di primo grado aveva esaurientemente escluso che costui avesse avuto un ruolo marginale nella vicenda – ossia che la sua opera avesse avuto un’importanza oggettivamente minima, così da risultare nell’economia generale del fatto ed anche in termini assoluti del tutto marginale e non indispensabile, e che egli comunque ,avesse esplicitamente indicato nei motivi elementi di fatto che consentissero una revisione in senso favorevole del quantum di pena.

11. E’ da sottolineare che tanto basta ad escludere che la pronuncia sia affetta da patenti vizi; da un canto deve rilevarsi che quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello può saldarsi con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo, sicchè risulta possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello.

12. Dall’altro, è pacifico che non vi è un obbligo motivazionale esteso a tutte le deduzioni che compongono il gravame. Infatti, per adempiere compiutamente l’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a prendere in esame espressamente ed analiticamente tutte le circostanze e le argomentazioni dedotte dall’imputato e dal suo difensore, essendo, invece, sufficiente – e necessario – che il giudice medesimo enunci con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del suo convincimento, in modo che risulti l’iter logico seguito per addivenire alla decisione adottata, la quale non deve lasciare spazio per una valida alternativa a quelle deduzioni difensive che pur non essendo state espressamente valutate, siano con essa incompatibili e devono, pertanto, ritenersi implicitamente disattese. Tanto è da riscontrare nel caso in esame, specie considerando che il rinvio alla pronuncia di primo grado riguarda proprio quelle deduzioni che il giudice aveva esaminato e considerato irrilevanti.

13. Peraltro in merito alla attenuante, ex art. 141 c.p., S. ripercorre la vicenda, introducendo elementi di fatto e proponendo una diversa valutazione degli stessi, che esula dai poteri della Corte di Cassazione, che non può procedere alla "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito.

14. Quanto poi alle altre censure in punto di pena, anche in questa sede, come già in appello, il S. ha avanzato mere osservazioni generali sul dovere motivazionale del giudice senza confrontarsi – come già in sede di appello rilevato – con l’iter argomentativo esposto in sentenza, sicchè non può che reiterarsi il rilievo di aspeciificità della doglianza.

15. In conseguenza della ritenuta inammissibilità, i ricorrenti sono da condannare al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro mille ciascuno.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla somma di Euro mille ciascuno a favore della cassa delle ammende.

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