Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-04-2011) 20-05-2011, n. 20087

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 20 aprile 2010, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale Z.G., all’esito di giudizio abbreviato, era stato ritenuto responsabile dei reati di cui all’art. 336 cod. pen. e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, e condannato alla pena di giustizia.

L’imputato era chiamato a rispondere di aver contratto nel giugno 2004, dietro il compenso di 2.500 Euro, un matrimonio fittizio con una cittadina (OMISSIS), al fine di farle ottenere il permesso di soggiorno in Italia, e di aver minacciato nel (OMISSIS) l’ufficiale di P.G. che stava indagando sul predetto reato, per costringerlo ad omettere la denuncia.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, articolando due motivi con cui denuncia:

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’errata interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, in quanto la Corte di appello ha ritenuto integrato il reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini per la sola celebrazione di un matrimonio con una cittadina extracomunitaria, ancorchè non siano ricorrenti i requisiti per ottenere la regolarizzazione del clandestino e non sia stata mai avanzata dalla donna richiesta di permesso di soggiorno.

– la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione ai motivi di appello concernenti la idoneità delle frasi profferite a coartare la volontà del pubblico ufficiale.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.

2, Quanto all’idoneità della condotta posta in essere dall’impuato per configurare il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, deve ribadirsi che è irrilevante che si attivi la procedura di regolarizzazione della posizione degli stranieri e che essa pervenga ad un esito positivo, mediante il rilascio del permesso di soggiorno, non essendo tanto richiesto dalla norma incriminatrice, che contempla qualsiasi attività con cui si favorisca comunque la permanenza degli stranieri nel territorio dello Stato. (Sez. 1, n. 40320 del 09/10/2008, dep. 29/10/2008, Russo, Rv. 241434).

La celebrazione del matrimonio, contrariamente all’assunto del ricorrente, costituiva senz’altro il presupposto per porre comunque la cittadina extracomunitaria, ancorchè clandestina nel nostro Paese, nella condizione di ottenere il permesso di soggiorno.

Infatti, il rapporto di coniugio con il cittadino italiano le consentiva di evitare l’espulsione, ai sensi del D.Lgs. cit, art. 19 e di ottenere quindi il permesso per motivi familiari "a sanatoria" di cui al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, comma 1, lett. b), (cfr, Sez. 1 civ., n. 2539 del 08/02/2005, Rv. 578834).

2. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.

La Corte di appello ha affrontato la questione devolutale con i motivi di appello, relativa alla idoneità della frase pronunciata dall’imputato alla coartazione del soggetto passivo, ravvisando nella stessa la oggettiva attitudine a condizionare l’esercizio dell’attività del pubblico ufficiale.

Il precedente giurisprudenziale citato dal ricorrente (Sez. 6, n. 18282 del 27/02/2007, dep. 11/05/2007, Sorgente, Rv. 236446) non appare pertinente, riguardando una ben differente situazione. In quel caso, la Corte Suprema ha ritenuto che l’agente, sottoposto ad un controllo stradale, con la frase "Se mi fate il verbale, poi vediamo" volesse in realtà significare la volontà di provare in un momento successivo la lecita provenienza del motoveicolo alla cui guida veniva fermato, producendo la relativa documentazione che, al momento, non aveva con sè.

Nella presente fattispecie, invece, la frase pronunciata dall’imputato ("Tu denunci me? Ti faccio vedere io chi sono, la vado a cercare quella donna, la riporto a casa e poi denuncio te. Capito? Vedrai chi sono") era obiettivamente rivolta a coartare l’ufficiale di P.G., per farlo desistere – dietro la minaccia di ritorsioni – dal procedere oltre nelle indagini, dopo che l’imputato aveva dichiarato di non conoscere la donna (OMISSIS) che figurava ufficialmente come sua moglie, vedendosi per tale motivo contestare dall’ufficiale di p.g. di essere indagato per favoreggiamento della permanenza di stranieri nel territorio dello Stato.

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1,000.
P.Q.M.

p.g. di essere indagato per favoreggiamento della permanenza di stranieri nel territorio dello Stato.

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1,000.

P.Q.M. Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *