Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-04-2011) 20-05-2011, n. 20085 Ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

hiedendo che la sentenza sia annullata.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 23 aprile 2009, la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stessa città che aveva dichiarato, all’esito di giudizio abbreviato, P.S. colpevole dei reati di calunnia e di oltraggio ad un magistrato in udienza, condannandolo alla pena di anni due di reclusione.

Al P. era addebitato di aver, nel corso di un’udienza davanti alla Corte d’Assise di Foggia, nella quale rivestiva la qualità di imputato di concorso nell’omicidio di L.G. e dell’occultamento del suo cadavere, accusato, sapendoli innocenti, il P.M. di udienza dei reati di abuso d’ufficio e di calunnia in suo danno, ed i collaboratori di giustizia C.A., R. A. e D.R., che aveva reso in quel procedimento dichiarazioni accusatorie, dei reati di falsa testimonianza e di calunnia in suo danno, rendendo a verbale le seguenti dichiarazioni spontanee: "questo processo è tutto un complotto tra falsi pentiti, compresi i P.M., tutto un complotto"; ledendo, in tal modo, altresì il prestigio del medesimo P.M..

2. Avverso la suddetta sentenza, propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, con cui denuncia la violazione di legge, in relazione agli artt. 110, 368 e 343 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla condotta integrante i reati ascritti all’imputato.

Sostiene il ricorrente che i giudici di merito hanno erroneamente valutato il comportamento dell’imputato, estrapolando il termine "complotto" dal contesto delle complessive dichiarazioni da lui rese.

L’imputato, che intendeva riferirsi al solo collaboratore C., utilizzando impropriamente il termine "complotto", voleva denunciare la circostanza vera che costui aveva modificato le sue precedenti dichiarazioni, rendendole compatibili con risultanze processuali. Di qui la frase "è tutto un complotto, perchè sono cose riferite dal p.m. …".

Rileva il ricorrente che, in ogni caso anche a voler ammettere che le dichiarazioni dell’imputato avessero ipotizzato una sorta di intrigo tra il P.M. e i collaboranti, nessuna indagine è stata svolta per accertare la falsità dell’accusa.

Quanto infine al reato di cui all’art. 343 cod. pen., il ricorrente denuncia la erronea applicazione della legge penale, in quanto la condotta non integrerebbe il suddetto reato.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei termini di seguito indicati.

2. Quanto al reato di calunnia, deve osservarsi che la frase incriminata ("questo processo qua è tutto un complotto"), se letta nell’ambito dell’integrale dichiarazione resa dal P. ai giudici della Corte di assise, appare chiaramente diretta a contraddire, se pur con toni aspri, la tesi dell’accusa della credibilità del collaboratore di giustizia C.A., posto che costui aveva corretto il tiro delle sue dichiarazioni accusatorie rese al P.M, solo dopo che quest’ultimo gli aveva fatto rilevare l’impossibilità fattuale delle circostanze riferite (il C. aveva in un primo tempo dichiarato di aver appreso del coinvolgimento del P. nella vicenda omicidiaria dal complice V.P., modificando poi la versione dei fatti, dopo che il P.M. gli aveva fatto notare che all’epoca dei fatti costui era detenuto in carcere).

Orbene, è vero, come è stato rilevato nella sentenza impugnata, che nell’esercizio del diritto di difesa in senso stretto nell’ambito di un processo penale non può ritenersi scriminata la calunnia. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, infatti, integra il delitto di cui all’art. 368 cod. pen. la condotta dell’imputato che non si limiti a negare la sussistenza dei fatti addebitatigli, ma accusi terzi, di cui conosca l’innocenza, di fatti criminosi, in quanto, in tal caso, non ricorrono le condizioni richieste perchè si configuri il legittimo esercizio del diritto di difesa e quindi la causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen..

Peraltro, perchè possa configurarsi il reato di calunnia è pur sempre necessario che la falsa accusa sia obiettivamente idonea a determinare la possibilità che inizi nei confronti degli accusati un procedimento penale.

Nel caso in esame, la frase pronunciata dall’imputato non appare integrare l’elemento oggettivo di una falsa accusa, in quanto, per la sua assoluta genericità, risulta del tutto inidonea all’apertura delle indagini preliminari. Ne è riprova tra l’altro che nessuna iniziativa venne avviata per dar seguito alle affermazioni dell’imputato.

3. Fondata è anche la censura relativa all’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 343 cod. pen..

Deve rilevarsi che la critica ad un provvedimento del giudice esula dalla fattispecie astratta configurata dagli artt. 341, 343 e 344 cod. pen., in quanto il rispetto, di cui tutti i pubblici funzionari debbono essere circondati, non equivale ad insindacabilità.

Tuttavia, perchè ciò accada, è necessario che le espressioni, attraverso le quali si esercita il diritto di critica, siano immediatamente percepibili come un giudizio che investa la legittimità o l’opportunità del provvedimento in sè considerato e non la persona del pubblico ufficiale (tra le tante, Sez. 6, n. 21112 del 23/03/2004, dep. 05/05/2004, Perniciaro, Rv. 228817).

Nel caso in esame, deve ritenersi che esula dalla fattispecie del reato di oltraggio di cui all’art. 343 cod. pen. la condotta ascritta all’imputato, posto che la stessa costituisce, se esaminata nella sua interezza, soltanto l’espressione di uno sfogo difensivo, quant’anche aspro, rivolto a disapprovare l’operato del pubblico ministero nella gestione dei pentiti (in particolare, l’aver consentito al pentito C., con la contestazione di cui si è detto in premessa, di rivedere le sue precedenti inveritiere dichiarazioni accusatorie).

Le espressioni incriminate appaiono appare infatti non assumere natura oltraggiosa proprio per l’atteggiamento esplicativo dell’imputato, che nella successiva parte della dichiarazione ebbe a chiarire il vero senso dell’espressione usata.

4. Alla luce di quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perchè i fatti non sussistono.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i fatti non sussistono.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *