Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 20-05-2011, n. 20042

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

NI Giuseppina che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26 gennaio 2010, la Corte d’Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la sentenza del Tribunale in sede appellata da D.F., G.N. e M. V., con la quale questi era stato dichiarati colpevoli dei delitti di usura loro rispettivamente ascritti e condannati alla pena di due anni tre mesi di reclusione e seimila Euro di multa ciascuno D. e G. e alla pena di un anno sei mesi di reclusione e quattromila Euro di multa M. nonchè quest’ ultimo anche al risarcimento dei danni in favore della parte civile C.D..

La Corte territoriale nel merito riteneva di dover condividere integralmente la sentenza impugnata perchè le dichiarazioni delle persone offese erano risultate attendibili, al contrario delle giustificazioni addotte dagli imputati perchè illogiche ed inverosimili. Le pene erano state quantificate in misura adeguata e non ricorrevano elementi positivi di valutazione per il riconoscimento delle attenuanti generiche invocate da M..

Contro tale decisione hanno proposto tempestivi ricorsi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, che ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

1) D.F., a mezzo dell’avv. Egidio Albanese: – violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 644 c.p. nonchè per mancanza o manifesta illogicità della motivazione per non avere spiegato quali fossero le circostanze di fatto che rendevano evidente lo stato di indigenza del T. e per avere erroneamente ritenuto il ricorrente quale unico referente del rapporto usurario avendo escluso la responsabilità di A. ma in tal modo ha "smontato" quel dato di comune esperienza per il quale i rapporti usurari sono supportati da deprecabili atti intimidatori; – Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 133 c.p. e lett. e) per mancanza di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio;

2) G.N., a mezzo dell’avv. Rosario Levato: – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 644 c.p. perchè, prima della riforma del 1996, il reato di usura era subordinato all’approfittamento dello stato di bisogno e all’esosità degli interessi, sicchè si sarebbe dovuto accertare la volontà del ricorrente di avvalersi delle condizioni di svantaggio altrui per il proprio profitto usurario attraverso la pattuizione di condizioni contrattuali non solo inique ma anche sproporzionate rispetto all’entità della prestazione principale; – a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) per assenza di motivazione in ordine alla richiesta di integrazione probatoria emersa a seguito dell’esame dell’imputato; – ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in ordine al ritenuto non giustificato interesse di G. di accollarsi le spese di gestione, senza tenere conto del rapporto contrattuale presupposto tra G. e il proprietario dell’immobile (contratto di locazione) e il debito maturato per l’omesso pagamento dei relativi canoni di fitto nonchè delle dichiarazioni rese dallo stesso T. durante l’esame dibattimentale, il debito scaturente dal prestito bancario e il debito scaturente dalle bollette per la fornitura dell’ENEL ed infine i debito contratti dal T. con il D..

3) M.V., a mezzo del difensore avv. Fabrizio La manna: – a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per mancanza di motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato il convincimento di condanna senza alcuna analisi delle deduzioni difensive e delle risultanze probatorie essendosi la sentenza impugnata limitata a ritenere convincenti "le argomentazioni poste a fondamento del giudizio di colpevolezza da parte del primo giudice" senza alcun riferimento ad elementi individualizzanti in termini di responsabilità e a ritenere attendibili e riscontrate "da ulteriori elementi acquisiti in atti" le dichiarazioni della persona offesa, senza individuare quali fossero questi riscontri; – a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea applicazione degli elementi costitutivi integranti sul piano della tipicità la norma di cui all’art. 644 c.p. unitamente alla violazione dei criteri di interpretazione della prova e per contestuale vizio della motivazione per non avere la sentenza individuato ulteriori elementi di supporto probatorio perchè le dichiarazione del testimone-persona offesa non possono essere equiparate a quelle del terzo disinteressato essendo necessario il controllo di attendibilità della persona offesa costituita parte civile, indagine che nel caso non è stata compiuta;

– mancata considerazione dell’attenuante di cui all’art. 62-bis c.p. con criterio di prevalenza sulle aggravanti; – in conclusione occorre sottolineare che risultano ormai pressochè maturati i termini di prescrizione, tenuto conto del reato di usura a fattispecie istantanea ovvero ad azione prolungata o a consumazione frazionata.
Motivi della decisione

1. Ricorso nell’interesse di D.F..

1.1. Il primo motivo di ricorso è:

– infondato nella parte in cui rimprovera alla sentenza impugnata di avere fondato il convincimento di responsabilità sulle sole dichiarazioni della persona offesa prive di "alcun ulteriore elemento di riscontro", perchè la dichiarazione testimoniale della persona offesa non è assoggettata alla disciplina di cui all’art. 192 c.p., comma 3. – Va invero ribadita la regola ermeneutica secondo la quale:

"In tema di valutazione della testimonianza della persona offesa dal reato, le dichiarazioni della stessa vanno vagliate con opportuna cautela, compiendone un esame penetrante e rigoroso, atteso che tale testimonianza può essere assunta da sola quale fonte di prova unicamente se sottoposta ad un riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva, senza peraltro che ciò implichi la necessità di riscontri esterni" (Cass. Sez. 3, 27.4-12.10.2006 n. 34110);

– infondato nella parte in cui addebita alla sentenza impugnata di non aver indicato "le circostanze di fatto" dalle quale ha desunto la consapevolezza in capo all’imputato dello stato di indigenza della persona offesa, perchè la Corte territoriale le ha individuate nelle modalità di erogazione del prestito assoggettato alla dazione di un interesse, sul limitato arco temporale di un mese, pari a un milione di lire a fronte della dazione di tremilioni di lire con l’ulteriore pretesa di un assegno in garanzia a firma della moglie dell’importo di L. 3.450.000;

– inammissibile nella parte in cui introduce un elemento di natura fattuale, quale l’esclusione della responsabilità di A., che (non risultando dal testo della sentenza impugnata e non essendo rappresentato come oggetto di specifica doglianza mossa con l’appello alla quale non è stata data risposta) non può essere oggetto di esame in questa sede. Non risulta invero che la Corte territoriale abbia mandato assolto A. e quindi che in tal modo abbia "smontato" il dato di comune esperienza secondo il quale "i rapporti usurari sono supportati da deprecabili atti intimidatori". 1.2. Il secondo motivo di ricorso, che denuncia omessa risposta a specifico motivo di appello con il quale si invocava la riduzione della pena, è infondato, perchè la sentenza risponde al motivo di appello (genericamente dedotto) attraverso il richiamo all’adeguatezza della pena inflitta.

2. Ricorso nell’interesse di G.N..

2.1. Il primo motivo di ricorso è dedotto in maniera generica, perchè, dopo aver dato conto dei condivisibili canoni ermeneutici che regolavano l’individuazione degli elementi costitutivi del delitto di usura, prima della modifica introdotta con L. n. 108 del 1996, si limita ad addebitare alla sentenza impugnata di non aver proceduto all’accertamento della volontà e della consapevolezza in capo al ricorrente di approfittarsi della situazione di svantaggio in cui versava la controparte, senza tenere conto della parte della motivazione che ha ricostruito in maniera puntuale e specifica le circostanze di fatto che hanno portato il ricorrente a divenire l’unico "interlocutore" di T., nella piena consapevolezza sia del suo grave stato di bisogno sia della natura usuraria degli interessi pretesi perchè a fronte dell’accollo del debito complessivo di ventimilioni di lire aveva preteso il rilascio di dodici assegni bancari, a firma della moglie di T., per complessivi trentaseimilioni di lire (debito poi aumentato fino a L. sessantamilioni).

2.2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, perchè la sentenza impugnata ha spiegato le ragioni per le quali si è ritenuto non necessario procedere all’audizione come testimoni dei legali che avevano assistito il ricorrente per il recupero del suo credito, al rilievo che il loro intervento era stato successivo agli accordi raggiunti fra gli interessati e quindi nulla di scienza diretta potevano riferire sulla genesi di essi. Si tratta di motivazione che non stata specificamente criticata e che quindi rimane come argomento idoneo a giustificare la decisione assunta sul punto.

2.3. Alle stesse conclusioni deve pervenirsi in ordine al terzo motivo di ricorso, perchè la Corte territoriale non ha trascurato di considerare la genesi del debito del T. nei confronti di G.. In particolare, come già ricordato, ha evidenziato che a fronte di un debito di L. ventimilioni pretese ed ottenne assegni a firma di Gi.An. per L. trentaseimilioni. Non ha trascurato di considerare la versione difensiva che ha giudicato inverosimile e incomprensibile, con ragionamento che, in quanto non manifestamente illogico e comunque non criticato in maniera specifica, rimane come congruo apparato argomentativo della decisione adottata.

3. Ricorso nell’interesse di M.V..

3.1. Il primo motivo di ricorso è infondato, perchè la sentenza impugnata, dopo aver affermato che la difesa con l’atto di appello non aveva introdotto argomentazioni valide a contestare la tesi accusatoria, ha rinviato alle motivazioni del primo Giudice in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa anche perchè "riscontrate dagli ulteriori elementi acquisiti in atti, ben evidenziati dal primo Giudice e che, per ragioni di economia espositiva, non appare necessario qui richiamare". Pertanto il richiamo agli "ulteriori elementi acquisiti in atti" non è generico, perchè la loro indicazione è formulata1 attraverso il rinvio per relationem alle argomentazioni contenute sul punto nella sentenza di primo grado. Il ricorrente non critica tale motivazione con osservazioni specifiche (ad esempio l’inesistenza nella sentenza di primo grado della individuazione di tali elementi probatori asseverativi dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa) e quindi le obiezioni sul punto si rivelano generiche.

3.2. Anche il secondo motivo di ricorso è in conseguenza infondato, perchè non tiene conto che la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi completata da quella di primo grado, alla quale ha fatto integrale rinvio.

Ed inverso sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), solo quando il giudice del gravame si sia limitato a respingere i motivi d’impugnazione specificamente proposti dall’appellante e a richiamare la contestate motivazione del giudice di primo grado in termini apodittici meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sull’inconsistenza ovvero sulla non pertinenza delle relative censure (cfr. Cass. Sez. 6, 12.6-15.9.2008 n. 35346) . Nel caso in esame la Corte territoriale ha rinviato alla motivazione del Tribunale perchè in essa era contenuta l’indicazione degli elementi probatori che giustificavano il convincimento di attendibilità della persona offesa. La difesa sostiene che tali risultanze dibattimentali erano prive delle caratteristiche dei "riscontri esterni individualizzanti", ma dimentica che l’art. 192 c.p.p., comma 3 impone tale tipo di conferma probatoria solo in relazione alle dichiarazioni del coimputato nel medesimo reato e della persona imputata in procedimento connesso a norma dell’art. 12 c.p.p..

3.3. L’ultimo motivo di ricorso muove dalla doglianza (generica e quindi inammissibile) relativa al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche (negate per l’inesistenza di elementi positivi di valutazione a favore dell’accoglimento della richiesta difensiva), per poi rilevare che il reato si è nel frattempo prescritto.

Anche tale motivo di ricorso è infondato perchè la condotta è contestata fino all’aprile 1996. Tenuto conto del periodo di sospensione dal 24.9 al 17.11.2009, la prescrizione (il cui termine massimo nel caso è di quindici anni) non è ancora maturata.

4. Segue il rigetto dei ricorso e la condanna alle spese.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *