Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 20-05-2011, n. 19984 Imputabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Potenza ha confermato la pronuncia di colpevolezza di C.A. in ordine ai reati: : a) di cui all’art. 81 cpv. c.p. e art. 314 c.p.;

b) di cui all’art. 479 c.p. e art. 61 c.p., n. 2; c) di cui agli art. 81 cpv. e 476 c.p. e art. 61 c.p., n. 2; d) di cui all’art. 81 cpv. c.p., della L. n. 497 del 1974, artt. 10, 12 e 14 e della L. n. 110 del 1975, art. 23; e) di cui all’art. 697 c.p.; f) di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis; g) di cui all’art. 349 c.p., comma 2, e art. 61 c.p., n. 2; h) di cui all’art. 110 c.p. e del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1; i) di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 9 e 14 e della L. n. 110 del 1975, art. 23; l) di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 9 e 14, a lui ascritti perchè, in qualità di cancelliere in servizio presso il Tribunale di Lagonegro, si appropriava di numerosissimi corpi di reato, costituiti da anni, parti di esse, munizioni e sostanze stupefacenti di vario tipo;

attestava falsamente nell’apposito registro la consegna agli uffici competenti dei predetti corpi di reato, apponendo false sottoscrizioni dei militari incaricati della ricezione dei reperti;

deteneva e portava in luogo pubblico le armi di cui si era appropriato, alcune delle quali con matricola abrasa; deteneva e cedeva a terzi le sostanze stupefacenti.

Le indagini avevano origine da una telefonata anonima che aveva informato il Nucleo Radiomobile dei C.C. di (OMISSIS) circa l’occultamento di un involucro sospetto in una determinata località.

A seguito di un servizio di appostamento sul luogo indicato veniva individuato il C. mentre prelevava un involucro, occultandolo nella tasca del giubbotto che indossava. Il C. veniva sottoposto a perquisizione personale che portava al rinvenimento di una pistola con matricola abrasa. All’interno dell’auto del C. venivano trovate altre armi e un sacchetto di cellophane contenente 35 grammi di cocaina. Altre armi venivano poi rinvenute nell’abitazione dell’imputato. Mediante successive indagini presso l’Ufficio corpi di reato del Tribunale di Lagonegro ed accertamenti incrociati con gli Uffici dei C.C. e della GG.FF, che in base alla documentazione risultavano falsamente avere ricevuto i corpi di reato, venivano individuate le armi e le sostanze stupefacenti di cui si era appropriato il C..

Per quanto interessa ai fini del giudizio di legittimità la Corte territoriale ha rigettato l’unico motivo di gravame con il quale l’appellante aveva chiesto di essere prosciolto dai reati ascrittigli per incapacità di volere e chiesto l’espletamento di una perizia psichiatrica che lo accertasse.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.
Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli artt. 50 e 191 c.p.p..

Si deduce, in sintesi, che in base al codice di rito le prove devono essere assunte direttamente dal P.M. o per sua delega dalla Polizia Giudiziaria. Nel caso in esame, invece, la identificazione dei corpi di reato che sarebbero stati sottratti dal C. è stata eseguita da una commissione speciale nominata dal Presidente del Tribunale di Lagonegro. Di tale commissione non facevano parte esponenti della Polizia Giudiziaria con la conseguente illegittimità della prova acquisita tramite detta Commissione.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia difetto di motivazione e violazione dell’art. 438 c.p.p..

Con il mezzo di annullamento si denuncia la mancate ammissione da parte del Tribunale prima e successivamente della Corte di appello di una perizia psichiatrica sull’imputato, la cui richiesta era fondata su una consulenza tecnica psichiatrica depositata dalla difesa, attestante una patologia inquadrabile sotto un duplice profilo diagnostico costituito da polidipendenza da GAP e cocaina e disturbo schizoide della personalità. Si deduce che la scelta del rito abbreviato non condizionato non poteva ritenersi ostativa alla ammissione della perizia richiesta.

Con l’ultimo mezzo di annullamento, denunciando violazione dell’art. 190 c.p., del diritto alla prova, e vizi di motivazione si reitera la censura afferente alla mancata ammissione della perizia psichiatrica.

Viene richiamata la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9163 del 25 gennaio 2005 per affermare che può essere riconosciuta una potenziale attitudine ad incidere sulla capacità di intendere e di volere anche ai disturbi della personalità, come quelli riscontrati nell’imputato, e che i giudici di merito non potevano escludere la necessità dell’accertamento tecnico richiesto sulla base di proprie valutazioni.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Osserva la Corte, in relazione al primo motivo di gravame, che l’art. 189 c.p.p. prevede espressamente la possibilità di assumere prove non disciplinate dalla legge, sicchè non vi è alcuna norma del codice di rito ostativa alla possibilità di attribuire valore probatorio ad una relazione amministrativa..

Inoltre per la scelta del rito il ricorrente non può dolersi delle modalità di acquisizione delle prove.

Infine, emerge dalla sentenza impugnata che il P.M. ha disposto la perquisizione dell’Ufficio corpi di reato e che è stata la polizia giudiziaria ad accertare quali e quanti fossero gli oggetti sottratti anche confrontando le risultanze dei registri dell’Ufficio con quelle delle varie Stazioni dei C.C. e Comandi della GG.FF. cui sarebbero stati consegnati i corpi di reato.

Gli accertamenti della Commissione nominata dal Presidente del Tribunale, pertanto, vengono citati dalla sentenza solo per dare atto della loro coincidenza con quelli effettuati dai C.C..

Anche gli ulteriori motivi di ricorso sono manifestamente infondati.

Le sentenze dei giudici di merito non hanno affatto escluso l’ammissibilità della perizia psichiatrica in considerazione della scelta del rito abbreviato non condizionato da parte dell’imputato, scelta pur essa preclusiva della possibilità di dolersi per la mancata ammissione della perizia, ma per la ritenuta superfluità della indagine richiesta in relazione alle risultanze della stessa consulenza medica prodotta dalla difesa dell’imputato.

La sentenza delle sezioni unite citata dal ricorrente (sez. un. 25.1.2005 n. 9163, Raso, RV 230317) attribuisce rilevanza ai disturbi della personalità, quale fattore che può incidere sulla capacità di intendere e di volere, sempre che vi sia un rapporto di causalità tra il disturbo della personalità ed il reato.

Orbene, la sentenza di appello ha escluso proprio resistenza di tale nesso eziologico con motivazione assolutamente esaustiva.

La sentenza, infatti, dopo avere in primo luogo rilevato che il disturbo schizoide descritto nella consulenza non rientra in alcuno dei disturbi della personalità codificati dal cosiddetto Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV), ha rilevato che, in ogni caso, la dipendenza dell’imputato dal gioco d’azzardo può aver costituito l’occasione per la commissione dei reati, per far fronte alla sua ampia esposizione per debiti di gioco, ma non rappresenta la causa degli stessi.

Egualmente per la dipendenza dell’imputato dall’uso di sostanze stupefacenti si è osservato che non sussiste un nesso causale tra la stessa e la cessione a terzi delle predette sostanze e tanto meno con i reati riguardanti l’appropriazione di armi.

Sicchè la mancata ammissione della perizia ha formato oggetto di una motivazione esaustiva e giuridicamente corretta, che perciò si sottrae al sindacato di legittimità (cfr. sez. 3, 11.2.1991 n. 3912, Martinelli, RV 186778; sez. 50 21.10.2008 n. 42996, Marina e altro, RV 241828).

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c..

La declaratoria di inammissibilità del ricorso preclude a questa Corte la possibilità di rilevare l’esistenza di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p..

Ai sensi dell’art 616 c.p.p. segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma alla cassa della ammende.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *