Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-04-2011) 20-05-2011, n. 19980 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 16 aprile 2010, la Corte d’Appello di Catania ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania, emessa a seguito di giudizio abbreviato il 9 dicembre 2009, con la quale l’imputato era stato condannato, per i reati di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, commi 1 e 1-bis avvinti dal vincolo della continuazione, con l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 2, dello stesso D.P.R. e della recidiva.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e, in particolare, lamentando: 1) la carenza di motivazione circa la sussistenza del reato, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del sesso delle piante di marijuana sequestrate; 2) la carenza di motivazione circa l’utilizzabilità dell’accertamento tecnico svolto sulla sostanza stupefacente, perchè esso non si è svolto nella forma dell’accertamento tecnico irripetibile e la sentenza di appello si è limitata, sul punto, a confermare quella di primo grado; 3) la carenza di motivazione circa l’applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, perchè la quantità di sostanza stupefacente sequestrata non potrebbe essere ritenuta ingente.
Motivi della decisione

1. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

1.1. – Quanto al primo motivo di impugnazione, va rilevato che la sentenza fornisce una motivazione sufficiente e logicamente corretta circa le ragioni della sussistenza del reato di coltivazione abusiva di piante contenenti sostanza stupefacente, laddove ricollega la presenza delle piante di marijuana sequestrate – le quali sono risultate contenere principio attivo della sostanza stupefacente – a quella di attrezzature di precisione e di una grande quantità di stupefacente già confezionato, che fanno presumere un produzione di droga con le piante stesse.

Il motivo è, pertanto, infondato.

1.2. – Quanto al secondo motivo – relativo alla carenza di motivazione circa l’utilizzabilità dell’accertamento tecnico svolto sulla sostanza stupefacente, perchè esso non si è tenuto nella forma e con le garanzie dell’accertamento tecnico irripetibile – va preliminarmente osservato che la sentenza impugnata richiama per relationem, sul punto, la sentenza di primo grado.

Occorre richiamare, perciò, la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice d’appello può legittimamente avvalersi di tale tecnica motivazionale a condizione che le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado non contengano elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati e disattesi dal primo giudice (explurimis, Sez. 5, 8 aprile 1999, n. 4415; Sez. 5, 11 giugno 1999, n. 7572; Sez. 6, 15 luglio 2004, n. 31080; Sez. 3, 16 febbraio 2011, n. 8424). E’ dunque consentito al giudice di appello uniformarsi, tanto per la ratto decidendi, quanto per gli elementi di prova, agli stessi argomenti valorizzati dal primo giudice, specie se la loro consistenza probatoria sia cosi prevalente e assorbente da rendere superflua ogni ulteriore considerazione (ex plurimis, Sez. 5, 23 marzo 2000, n. 3751). In tale circostanza, ciò che si richiede al giudice del gravame è, in definitiva, una valutazione critica delle argomentazioni poste a sostegno dell’appello, all’esito della quale risulti l’infondatezza dei motivi di doglianza (ex plurimis, Sez. 4, 20 gennaio 2004, n. 16886, Sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 8096). E ciò, perchè la conformità tra l’analisi e la valutazione degli elementi di prova posti a sostegno delle rispettive pronunce nelle sentenze di primo e secondo grado determina una saldatura della struttura motivazionale della sentenza di appello con quella del primo giudice tale da formare un unico, complessivo corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 5, 16 febbraio 2006, n. 6221). La tecnica della motivazione per relationem non può, invece, essere utilizzata laddove essa consista in un mero richiamo in termini apodittici o ripetitivi alla prima pronuncia o nella semplice immotivata reiezione delle censure dell’appellante (Sez. 5, n. 6221 del 2006; Sez. 6, 15 settembre 2008, n. 35346; Sez. 4, 14 ottobre 2008, n. 38824; Sez. 3, 24 giugno 2010, n. 24252).

Posta tale premessa in punto di diritto, va osservato che, nel caso di specie, le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado non contengono elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati e disattesi da detta sentenza, perchè egli si è limitato a rilevare genericamente che l’irripetibilità dell’accertamento tecnico da lui prospettata deriverebbe dal fatto che la marijuana è soggetta a deterioramento nel tempo; e ciò, a fronte di un’ampia motivazione, nella quale il primo giudice evidenzia in modo chiaro e logicamente corretto che i reperti oggetto di analisi non sono modificabili in modo da impedire, ove necessario, di risalire al quantitativo di principio attivo originariamente presente.

Ne deriva che la motivazione per relationem contenuta nella sentenza di appello appare, sul punto, sufficiente, con conseguente reiezione del relativo motivo di ricorso.

1.3. – Quanto all’applicazione dell’aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2, va rilevato che la sentenza censurata contiene una sufficiente motivazione, laddove fa riferimento per relationem alla sentenza di primo grado, nella quale la circostanza in questione – dichiarata, insieme con la recidiva, equivalente alle circostanze attenuanti generiche – è ritenuta sussistente in base all’argomento dell’evidenza, sul rilievo che le considerevoli dimensioni e il significativo numero delle piante coltivate dall’imputato, valutati congiuntamente al consistentissimo quantitativo di stupefacente sequestrato (più di 50 kg.), sono certamente sufficienti a costituire un’ingente quantità. A fronte di tale motivazione della sentenza di primo grado, l’imputato non ha prospettato, con l’atto d’appello, elementi nuovi, perchè si è limitato a dedurre che lo stupefacente non potrebbe essere ritenuto ingente sul piano quantitativo, richiamando sul punto la giurisprudenza di legittimità.

Trova, perciò, applicazione, anche in questo caso, l’orientamento sopra richiamato al punto 1.2., secondo cui il giudice d’appello può legittimamente avvalersi della tecnica della motivazione per relationem, a condizione che le censure mosse dall’appellante alla sentenza di primo grado non contengano elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati dal primo giudice.

Anche il terzo motivo di ricorso deve, pertanto, essere dichiarato infondato.

2. – Ne consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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